(Video) ‘Ndrangheta: arrestato in Spagna il ‘boss dei boss’ Paviglianiti. La Cassazione ha posto rimedio all’errore di calcolo del GIP che lo aveva scarcerato anticipatamente (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 6 ottobre 2020, n. 27712).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIANI Vincenzo – Presidente –

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere –

Dott. BINENTI Roberto – Consigliere –

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –

Dott. SARACENO Rosa Anna – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE di BOLOGNA

nel procedimento a carico di:

PAVIGLIANITI DOMENICO nato a SAN LORENZO il 04/05/1961;

avverso l’ordinanza del 18/10/2019 del GIP TRIBUNALE di BOLOGNA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSA ANNA SARACENO;

lette/sentite le conclusioni del PG;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 18 ottobre 2019 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, in accoglimento dell’opposizione proposta con le forme dell’incidente di esecuzione nell’interesse di Domenico Paviglianiti, annullava l’ordine di esecuzione di pene concorrenti emesso l’8 agosto 2019 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, ordinando la scarcerazione del ricorrente se non detenuto per altra causa.

1.1. Detto provvedimento di cumulo sopraggiungeva a conclusione di un’articolata vicenda procedimentale, avente ad oggetto altro provvedimento di cumulo emesso il 12.7.2012 dalla Procura Generale di Reggio Calabria che aveva determinato, ai sensi dell’art. 73, comma 2, cod. pen., la pena dell’ergastolo in relazione a otto titoli esecutivi.

1.1.2. Paviglianiti aveva proposto un primo incidente di esecuzione, rappresentando di essere stato destinatario di due richieste di estradizione in relazione a dodici ordinanze di custodia cautelare e due ordini di esecuzione; di essere stato consegnato dal Regno di Spagna con garanzia che non sarebbe stato sottoposto all’ergastolo, pena non conosciuta nell’ordinamento dello Stato di provenienza, ovvero che, in caso di condanna all’ergastolo, “la pena non fosse immancabilmente a vita”.

Assumeva, dunque, che la pena portata dall’opposto provvedimento era da ritenersi illegale e che tale dovesse comunque essere considerata perché irrispettosa degli impegni assunti dallo Stato italiano, che qualificavano chiaramente la pena irroganda con connotazioni specifiche finalizzate ad escludere la indefettibilità dell’ergastolo attraverso la concessione dei benefici penitenziari, cui non aveva avuto accesso in ragione del regime limitativo previsto dall’art. 4 bis ord. pen.; chiedeva, quindi, che il trattamento sanzionatorio in esecuzione fosse ricondotto nell’alveo della legalità.

1.1.3. Con ordinanza del 3 marzo 2017 il giudice dell’esecuzione respingeva l’opposizione, osservando che lo Stato italiano non aveva violato gli impegni estradizionali, conseguendo la pena perpetua al cumulo di pene concorrenti, nell’ambito del quale non era compresa alcuna condanna all’ergastolo.

1.1.4. Dopo l’ annullamento con rinvio di detto provvedimento da parte della Corte di cassazione con sentenza in data 27 febbraio 2018, il G.i.p. del Tribunale di Bologna, con provvedimento del 4 agosto 2019, ritenuta la pena dell’ergastolo, caratterizzata dal regime limitativo previsto dall’art. 4 bis ord.pen, contraria alle condizioni poste dallo Stato iberico e alle garanzie prestate dallo Stato italiano, ne disponeva la sostituzione con quella di anni trenta di reclusione.

1.1.5. Il Procuratore della Repubblica di Bologna, con provvedimento del 6 agosto 2019, ordinava la scarcerazione di Paviglianiti, avendo individuato il fine pena -computati presofferto, fungibilità e 1.530 giorni di liberazione anticipata- all’11.2.2019.

L’8.8.2019, acquisita l’integrale documentazione relativa alla posizione esecutiva del condannato, la Procura della Repubblica, re melius perpensa, procedeva a nuovo cumulo, previo scioglimento di quello del 2012 al fine di distinguere i reati commessi prima del 21.11.1996 -data di arresto di Paviglianiti- e quelli commessi dopo l’inizio dell’esecuzione.

Osservava, in particolare, che le condanne eseguibili erano otto e che, avuto riguardo alla data di commissione dei reati ai quali si riferivano, occorreva:

– da un lato cumulare tutte le condanne per i reati commessi sino al 21.11.1996 e per le quali era stata concessa l’estradizione, indicate ai numeri 1), 2), 3), 4), 5), 7) e 8) del provvedimento, sulle quali andava applicato il criterio moderatore e, quindi, operate le detrazioni per presofferto e fungibilità;

– sommare, quindi, a detto residuo pena, la pena di anni diciassette di reclusione inflitta dalla sentenza (indicata al n. 6) emessa dalla Corte di appello di Reggio Calabria in data 10/6/2005 (definitiva 1’1.11.2005) per fatti commessi, dopo l’estradizione e nel corso della detenzione, sino al 3.7.2001, così da pervenire, applicato il criterio moderatore dell’art. 78 cod. pen., alla pena residua di anni trenta di reclusione con decorrenza dal 3.7.2001 e scadenza al 3.7.2031, scadenza retrodatata al 24.1.2027 per effetto di 1.620 giorni complessivi di liberazione anticipata.

1.1.6. I difensori di Paviglianiti proponevano, dunque, nuovo incidente di esecuzione, non contestando il calcolo seguito per giungere alla nuova determinazione del fine carcerazione, ma stigmatizzando l’arbitrario passaggio dal criterio del cumulo unico a quello del cumulo parziale, in quanto indebitamente operato sulla medesima base esecutiva già presa in considerazione sia dalla Procura Generale di Reggio Calabria in data 12.7.2012, sia dal G.i.p. di Bologna in data 4.8.2019.

1.2. Il giudice dell’esecuzione ha reso l’ordinanza di annullamento, qui impugnata, osservando che la rivalutazione dell’ultimo titolo esecutivo compiuta dal Pubblico ministero confliggeva con il giudicato esecutivo: la sentenza del 10 giugno 2015, che aveva dato luogo all’individuazione del diverso fine pena, non costituiva un elemento di novità sopraggiunto, ma era stata già considerata – siccome ricompresa nel cumulo unico del 2012- sia dall’organo dell’esecuzione, sia dal G.i.p. di Bologna, il quale, «pur occupandosi in quella sede di altri aspetti complessi della vicenda esecutiva delle pene da espiare», aveva tuttavia considerato tutti i titoli inseriti nel cumulo, in base ai quali era stata determinata la pena dell’ergastolo, e stabilito, con provvedimento non impugnato, che la pena perpetua non potesse essere espiata dal condannato, ma dovesse essere sostituita con quella di anni trenta di reclusione.

2. Propone ricorso il Procuratore della Repubblica di Bologna, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Deduce violazione di legge (in relazione agli artt. 656 e 663 cod. proc. pen.) e, sostanzialmente, vizio della motivazione.

Ricapitolata la vicenda esecutiva del condannato nei termini sopra riportati, osserva che l’elemento di novità, di cui è stata apoditticamente negata l’esistenza, è costituito proprio dal contenuto decisorio dell’ordinanza 4.08.2019 (allegata al ricorso), esclusivamente incentrata sulla questione dell’applicabilità o meno dell’ergastolo- e relativo regime in punto di applicazione dei benefici penitenziari- in rapporto alle garanzie fornite dallo Stato italiano in sede estradizionale.

Con la sentenza di annullamento era stato demandato al giudice del rinvio di procedere a rinnovato vaglio dei titoli esecutivi, relativi ai fatti di reato contemplati dalle procedure di consegna attivate presso lo Stato spagnolo, e degli impegni assunti dallo Stato italiano, al fine di accertare se l’esecuzione del trattamento sanzionatorio patito dal ricorrente fosse conforme agli accordi estradizionali e se il regime detentivo speciale di cui all’art. 41 bis ord. pen. fosse stato o meno applicato in violazione degli stessi.

Il giudice dell’esecuzione, in coerenza con il mandato affidato, ha ritenuto che l’ergastolo applicato a Paviglianiti, proprio perché caratterizzato dal regime limitativo di cui all’art. 4 bis ord. pen, fosse contrario al principio di buona fede internazionale e, dunque, da sostituire con la pena di anni trenta di reclusione.

Ma in nessun passaggio della decisione è stato affermato o sottinteso che la statuizione avrebbe dovuto riguardare anche i titoli relativi a fatti commessi dopo l’estradizione, né è stata determinata la residua pena espianda o indicato il fine-pena, di guisa che non v’era nessuna preclusione alla valutazione della sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria, che aveva condannato Paviglianiti alla pena di anni diciassette di reclusione per fatti- reato commessi fino al 3.07.2001, in tempo successivo alla consegna dell’estradato e nel corso della espiazione della pena.

In altri termini, sostiene il ricorrente, il giudicato consolidatosi in sede esecutiva non ha consumato il potere-dovere del Pubblico ministero di aggiornare la posizione esecutiva del condannato alla luce della nuova statuizione e di verificare se effettivamente il medesimo avesse scontato l’intera pena, attraverso una valutazione da svolgersi, sì, in ossequio al principio che escludeva l’applicabilità dell’art. 73, comma 2, cod. pen., ma nel rispetto dei criteri di calcolo frazionato, doverosamente applicabili, e correttamente applicati, nel capo di specie.

3. La difesa di Paviglianiti ha depositato memoria, svolgendo le seguenti deduzioni:

– nessun valore può annettersi al fatto che il Pubblico ministero di Bologna abbia emesso l’ordine di scarcerazione nell’agosto 2019 senza esaminare la documentazione completa, tanto non giustificando un successivo ricalcolo della pena, giacché il provvedimento di cumulo del 2012 e i titoli in esso confluiti erano ben noti all’ufficio di Procura fin dal momento dell’incidente di esecuzione del 2016, conclusosi con la decisione del 4 agosto 2019, non impugnata;

– la base esecutiva su cui è avvenuto il ricalcolo non presenta nessun elemento di novità;

– non si rinviene nell’ordinamento nessuna norma che consenta al pubblico ministero di superare in danno dell’interessato una decisione giudiziale definitiva e la carcerazione patita da Paviglianiti dall’8 agosto 2019 in poi è illegittima anche per violazione dell’art. 5 CEDU, quanto al principio per cui la qualità della legge in tema di misure restrittive deve essere accessibile, precisa e prevedibile.

COSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione appare fondata nei termini di seguito indicati.

1.1. Il ricorso, pur formalmente evocando la violazione di legge, lamenta in realtà, e sostanzialmente, la carenza di motivazione del provvedimento impugnato nell’interpretazione del giudicato consolidatosi in sede esecutiva.

2. Non è, dunque, qui in discussione il principio, secondo cui il criterio della unicità delle pene concorrenti agli effetti dell’art. 78 cod. pen. è applicabile solo quando vengono in considerazione pene inflitte prima dell’inizio della esecuzione, sicché ove, durante o dopo l’espiazione, il condannato commetta un nuovo reato, si deve procedere a nuovo cumulo, comprendente assieme alla pena per il nuovo reato la sola parte residua del cumulo precedente e la decorrenza del nuovo cumulo va fissata nella data dell’ultimo reato ovvero in quella del successivo arresto, a seconda che il nuovo reato sia stato commesso durante l’espiazione della pena precedente, ovvero dopo la sua interruzione.

3. Nemmeno è in discussione il principio, altrettanto consolidato, secondo il quale il cosiddetto cumulo – il provvedimento cioè con cui il Pubblico ministero, quale organo dell’esecuzione, procede al calcolo delle pene da eseguire, provvedendo a sommarle, scomputando il presofferto ed applicando i criteri moderatori – non ha carattere giurisdizionale bensì amministrativo, e può essere sempre revocato o modificato al fine di tenere esattamente aggiornata la posizione giuridica del condannato, riconoscendosi la medesima facoltà di revoca anche ove sorga la necessità di correggere eventuali errori nei quali sia incorso, autonomamente, l’organo dell’esecuzione, giacché il titolo esecutivo resta formato dai provvedimenti giurisdizionali e non può ammettersi che un errore non emendabile del Pubblico ministero si risolva in una alterazione della pena espianda.

Tutto ciò a condizione, però, che sul provvedimento di cumulo non si sia pronunciato il giudice dell’esecuzione.

3.1. Ed è questo il nucleo centrale della questione dibattuta: il giudice dell’esecuzione afferma che il nuovo cumulo dell’8.8.2019 comprendeva i medesimi titoli esecutivi già oggetto del cumulo del 2012, sul quale era intervenuto il pregresso e non impugnato pronunciamento del giudice dell’esecuzione che, accertata la contrarietà agli accordi estradizionali della pena dell’ergastolo, conseguente all’applicazione della previsione di cui all’art. 73, comma 2, cod. pen., ne aveva disposto la sua sostituzione con quella di trenta anni di reclusione.

Non era, pertanto, consentito, al Pubblico ministero determinare, in applicazione del regime del cumulo parziale, una nuova data di fine pena, non più all’11.2.2019, ma al 24.1.2027, considerando a tal fine la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 2005 relativa a reati commessi dopo l’estradizione e nel corso dell’esecuzione.

La citata sentenza non era un sopraggiunto elemento di novità, in quanto titolo già inserito nel cumulo del 2012, ed era già “stata valutata e decisa” dal GIP di Bologna che “pur occupandosi in quella sede di altri aspetti complessi della vicenda esecutiva delle pene da espiare del Paviglianiti, ha valutato i titoli esecutivi che in precedenza hanno determinato l’ergastolo ed ha sostituito la pena con anni 30 di reclusione”.

4. Ebbene, le conclusioni, cui perviene la decisione impugnata, non appaiono sorrette da adeguata motivazione e non sfuggono alla critica mossa dal ricorrente che lamenta l’omessa, effettiva valutazione della portata del giudicato esecutivo evocato nell’impugnato provvedimento.

4.1. E’ canone pacifico nell’interpretazione di questa Corte che il principio generale dell’ordinamento, esplicitato dall’art. 649 cod. proc. pen. per il giudizio di cognizione, sia riferibile anche all’esecuzione penale, settore in cui detta limitazione trova ulteriore esplicito riscontro normativo nella disposizione di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. a tenore della quale è preclusa, e sanzionata con l’inammissibilità, la riproposizione delle medesime questioni già esaminate e decise con provvedimento suscettibile di impugnazione, quando questa non sia esperita ovvero sia attivata con esito infruttuoso.

L’effetto preclusivo del giudicato, nel settore della giurisdizione esecutiva, non giunge però ad impedire la valida riproposizione della richiesta quando siano allegati a suo corredo fatti nuovi.

E la novità delle circostanze di fatto o delle ragioni di diritto è ravvisabile quando le deduzioni riguardino fatti cronologicamente sopravvenuti alla decisione, ovvero pregressi o coevi che, tuttavia, non abbiano formato oggetto di considerazione da parte del giudice nell’ambito della precedente decisione.

In altri termini, estendendosi la preclusione del giudicato esecutivo alle sole questioni “dedotte ed effettivamente decise” (Sez. 1, n. 30496 del 03/06/2010, Nicolini, Rv. 248319), a fronte di una determinazione già assunta e non impugnata ovvero inutilmente impugnata, ciò che rileva è che quanto dedotto a sostegno della nuova istanza non sia stato apprezzato in precedenza, a prescindere dalla circostanza che gli elementi di fatto o di diritto fossero o meno oggettivamente preesistenti o successivi alla decisione, poiché la preclusione debole, correlata al divieto del bis in idem, copre esclusivamente “il dedotto” e non anche “il deducibile”, ossia le questioni proponibili, ma non dedotte o non valutate nemmeno implicitamente nella decisione.

4.2. Di tali condivisi principi, sicuramente valevoli anche per il caso in disamina, non è stata fatta corretta interpretazione ed esatta applicazione.

La decisione impugnata non svolge congrue argomentazioni a sostegno della ritenuta efficacia preclusiva del giudicato, limitandosi, di fatto, da un lato, a rilevare che il titolo controverso (la sentenza del 2005) era presente nel provvedimento di cumulo del 2012; dall’altro, ad asserire che esso era stato considerato e valutato (“deciso”, sici) nel provvedimento giurisdizionale esecutivo, che detto cumulo aveva verificato.

Ma tale netta affermazione pare basata esclusivamente sulla parte dispositiva del pregresso provvedimento (in cui si statuisce la sostituzione della pena dell’ergastolo, come determinata nel provvedimento di cumulo del 2012, con la pena di anni trenta di reclusione), trascurandosi di considerare che, se il dispositivo segna l’ambito della motivazione della sentenza, giacché, come tradizionalmente si afferma, in esso si contiene essenzialmente il giudicato e si rappresenta la pronunzia sintetica imperativa, analoga regola non ha ragion d’essere per i provvedimenti (ordinanze e decreti) che hanno una stabilità rebus sic stantibus, che non sono cioè destinati alla immutabilità del giudicato perché suscettibili di modificazione e revoca, e che ben possono e “devono”, di conseguenza, sempre essere interpretati alla luce della motivazione.

E’ la motivazione del provvedimento che ha la funzione di spiegare e chiarire le ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e di individuare la sostanza dell’opzione decisoria.

Ora, la lettura del provvedimento in scrutinio consente di escludere che di tale doverosa verifica si sia fatto carico il Giudice dell’esecuzione, il quale, pur incidentalmente dando atto che nella precedente decisione erano stati affrontati “altri” complessi aspetti della vicenda esecutiva del Paviglianiti, ha mancato di interpretarne la portata, conducendo un puntuale vaglio del suo iter argomentativo e tenendo, altresì, conto che l’ambito della decisione, e della conseguente preclusione, non può non considerarsi limitato agli aspetti effettivamente devoluti.

Per affermare la preclusione avrebbe dovuto, dunque, puntualmente verificare se, nel disporre la sostituzione della pena perpetua con quella temporanea per la riscontrata violazione degli accordi estradizionali, quel giudice avesse effettivamente esaminato ed escluso esattamente il profilo in esame, ossia il ricalcolo della pena, con il criterio dei cumuli parziali, imposto dalla presenza di titoli, per i quali non valevano i limiti estradizionali, relativi a fatti-reato successivi all’estradizione e commessi dopo l’inizio dell’esecuzione.

Potendosi qui solo aggiungere che la rimarcata valutazione della sentenza del 2005 già in sede amministrativa, confluita nel novero dei titoli unificati nel cumulo unico del 2012, con esclusione, dunque, dell’applicazione della regola dei cumuli parziali, è argomento del tutto inconferente, in quanto l’applicato criterio legale, portato dall’art. 73, comma 2, cod. pen., di commutazione in pena di specie e durata diversa, ossia l’ergastolo, comporta che in esso confluiscono tutte le concorrenti pene temporanee, quale conseguenza di un sistema che prevede di per se stesso limiti agli aumenti, sicché nemmeno è applicabile l’isolamento diurno di cui all’art. 72, comma 2, cod. pen. in caso di ulteriore cumulo con pena detentiva superiore ad anni cinque (Sez. 1, n. 38052 del 17/07/2017, Alfiero, Rv. 270978; Sez. 1, n. 24925 del 14/05/2014, Mal, Rv. 262134).

5. In conclusione il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale Bologna perché, nel rispetto dei superiori principi e in piena libertà cognitiva, proceda a nuovo giudizio, colmando le evidenziate carenze e rendendo motivazione effettiva.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al GIP del Tribunale di Bologna.

Così deciso l’1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Carabinieri: latitante di ‘ndrangheta arrestato a Madrid: Domenico Paviglianiti era in libertà nel 2019 per un calcolo erroneo della pena …

  

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  1. Sempre grande l’Arma nella sua costante attività di repressione! Onore ai fratelli!

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