Vigilanza scavi archeologici di Pompei. Appalto di servizi, nessun riconoscimento automatico della qualifica prevista (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 9 settembre 2020, n. 18686).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 323-2016 proposto da:

ALES – ARTE LAVORO E SERVIZI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO, 23/A, presso lo studio degli avvocati GIAMPIERO PROIA e MAURO PETRASSI, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

MARINO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL VIMINALE, 38, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA ALFANO, rappresentato e difeso dall’avvocato FLAVIO CAPUOZZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5020/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/06/2015 R.G.N. 6550/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SILVESTRI MATTEO per delega verbale Avvocato PROIA GIAMPIERO;

udito l’Avvocato CAPUOZZO FLAVIO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 30 giugno 2016, la Corte d’appello di Napoli dichiarava il diritto di Giuseppe Marino all’inquadramento nel quarto livello retributivo del CCNL del commercio relativo ai servizi e condannava ALES (Arte Lavoro e Servizi) s.p.a. al pagamento, in suo favore a titolo di differenze retributive, della somma di C 6.793,87 oltre accessori: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la relativa domanda del lavoratore.

Pur nella condivisa qualificazione dell’azione proposta dal lavoratore come di accertamento, non già di espletamento di mansioni superiori, ma del suo diritto ad inquadramento nel livello superiore, la Corte territoriale riteneva, contrariamente al Tribunale, l’esistenza di uno specifico obbligo a ciò della sua datrice ALES s.p.a., originato dal rapporto contrattuale con il Ministero dei Beni e Attività Culturali, recante una clausola di contratto, a norma dell’art. 1411 c.c., in favore del terzo lavoratore rimasto ad esso estraneo.

In particolare, la Corte partenopea individuava un tale obbligo nell’art. 6, p.to 6.4 del contratto di appalto di servizi del 15 maggio 2000 della società con la Soprintendenza archeologica di Pompei, in esecuzione della Convenzione quadro stipulata con il Ministero, che ne esplicitava nell’art. 2 l’interesse, in quanto parte stipulante, alla sottoscrizione a carico di ALES s.p.a. (società partecipata dallo stesso Ministero in misura del 30% e dal Ministero dell’Economia e del Tesoro per la parte residua) con gli utenti interessati delle modalità inerenti la prestazione dei propri servizi, in esse comprese le unità dei lavoratori da utilizzare.

Sicché, costituiva suo obbligo la messa a disposizione del servizio di custodia e vigilanza del sito di “idoneo personale” organizzato in squadre e formato attraverso appositi corsi.

Più specificamente, il punto 5 del progetto esecutivo (allegato quale parte integrante del contratto di servizio) individuava espressamente la presenza di un caposquadra e di cinque addetti per il servizio di vigilanza, con inquadramento dal quarto al terzo livello del CCNL del commercio relativo ai servizi.

Con atto notificato il 29 dicembre 2015, la società ricorreva per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resisteva il lavoratore con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto l’inammissibilità, pure eccepita dalla società datrice nella sua memoria difensiva, dell’appello del lavoratore, in quanto generico in riferimento particolare alle doglianze contenute nei suoi capi:

A) sul riconoscimento della qualifica di “custode”,

B) sull’applicazione del CCNL Commercio e la qualificazione del contratto di servizio quale contratto a favore di terzo, di censura esclusiva alle argomentazioni difensive di controparte al momento della costituzione nel giudizio di primo grado;

C) sull’interpretazione giurisprudenziale di merito, di solo richiamo di precedenti giurisprudenziali a sé favorevoli;

D) sull’interpretazione del Giudice di prime cure, di mero richiamo delle argomentazioni della sentenza impugnata, senza una loro confutazione specifica, né intelligibile.

2. Esso è infondato.

3. In via di premessa, è noto che, quando con il ricorso per cassazione sia denunciato un vizio attinente all’applicazione dell’art. 342 c.p.c. in ordine alla specificità dei motivi di appello, il giudice di legittimità non debba limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito abbia vagliato la questione, ma sia investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fondi, restando fermo che l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi è legittimamente dichiarata solo allorché l’incertezza investa l’intero contenuto dell’atto (Cass. 10 settembre 2012, n. 15071; Cass. 28 novembre 2014, n. 25308).

La parte ricorrente ha quindi rispettato il principio di specificità, da osservare in ottemperanza alla prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c. anche qualora la Corte di cassazione esamini direttamente gli atti di causa (Cass. 23 gennaio 2004, n. 1170; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410; Cass. 2 febbraio 2017, n. 2771), avendo adeguatamente trascritto per relationem i punti specifici e le pagine dell’atto d’appello oggetto di doglianza (a pg. 9 del ricorso), così da consentire a questa Corte l’esercizio del proprio potere di giudice del fatto processuale.

3.1. Secondo indirizzo di legittimità consolidato, gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. 83/2012, conv. con modif. dalla I. 134/2012, devono essere interpretati nel senso che l’impugnazione debba contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, con affiancamento alla parte volitiva di una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza la necessità di utilizzare particolari forme sacramentali o di redigere un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero di trascrivere completamente o parzialmente la sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. s.u. 16 novembre 2017, n. 27199; Cass. 30 maggio 2018, n. 13535).

3.2. Ebbene, il ricorso in appello del lavoratore risponde, ad un esame diretto di questa Corte, ai suddetti requisiti, per la chiara e più che adeguata prospettazione delle questioni e la chiara confutazione, in particolare al p.to sub C (pagg. 6 e 7 dell’appello), delle ragioni argomentative del Tribunale (p.to sub D, in particolare pagg. da 8 a 13): come anche la Corte territoriale ha ritenuto nella illustrazione e nello scrutinio dell’articolato motivo di censura” (così al primo capoverso dello “Svolgimento del processo”, a pag. 1 della sentenza).

4. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2071, 2095, 2103 c.c. e 96 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto al lavoratore il diritto all’inquadramento nel IV livello del CCNL (riguardante mansioni relative ad attività comportanti specifiche competenze tecniche e particolari capacità tecnico-pratiche), anziché nel V livello attribuitogli (per mansioni relative a lavori qualificati per la cui esecuzione sono richieste normali conoscenze e adeguate capacità tecnico- pratiche, comunque conseguite), corrispondente alle mansioni di custode (presso la Villa Rustica di S. Antonio Abate) effettivamente svolte.

E ciò senza alcun accertamento in concreto, ma sulla semplice base del Contratto di Servizio tra ALES s.p.a. e la Soprintendenza archeologica di Pompei particolare riferimento all’obbligo, assunto dalla prima nei confronti della seconda, di mettere a disposizione del servizio di custodia e vigilanza, in tale sito, “idoneo personale” organizzato in squadre e formato attraverso appositi corsi, con la specifica individuazione al punto 5 del progetto esecutivo allegato di un caposquadra e di cinque addetti per il servizio di vigilanza, inquadrati dal quarto al terzo livello del CCNL: contratto estraneo alla contrattazione collettiva, cui in via esclusiva è rimesso l’inquadramento del personale nell’impresa e che in esso la società si era pure riservata di mutare nell’ambito del vigente CCNL.

5. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1411 c.c., per inesistenza nel Contratto di servizio stipulato tra ALES s.p.a. e la Soprintendenza archeologica di Pompei dei requisiti di: “vantaggio per il terzo”, in difetto di una volontà inequivoca di tale attribuzione al lavoratore (in particolare riferimento al tenore del punto 5 del progetto esecutivo allegato, di previa individuazione delle figure professionali prevedibilmente utilizzate dalla società per lo svolgimento del servizio richiesto, in considerazione delle peculiarità dei luoghi di interesse storico-artistico); “interesse dello stipulante” (la Sopraintendenza) alla pattuizione in favore del terzo, non individuabile nella fruizione di una prestazione lavorativa di un certo livello qualitativo in quanto di natura pubblica generale, dovendo l’interesse invece essere strettamente personale (jure proprio), così da potere, nell’ipotesi di revoca della stipulazione o di rifiuto del terzo di profittarne, pretendere in proprio favore la prestazione promessa dalla società (ossia l’inquadramento promesso ai lavoratori), ai sensi dell’art. 1411, terzo comma c.c.

6. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati.

7. Oggetto dell’odierna controversia è l’esistenza o meno del diritto del lavoratore all’inquadramento nel IV livello del CCNL (riguardante mansioni relative ad attività comportanti specifiche competenze tecniche e particolari capacità tecnico- pratiche), anziché nel V livello attribuitogli (per mansioni relative a lavori qualificati per la cui esecuzione siano richieste normali conoscenze e adeguate capacità tecnico-pratiche, comunque conseguite).

Tale diritto risiederebbe, secondo la Corte territoriale a prescindere da ogni accertamento in ordine alle mansioni effettivamente svolte, in uno specifico obbligo assunto dalla sua datrice con la Soprintendenza archeologica di Pompei, in esecuzione della Convenzione quadro stipulata con il Ministero dei Beni e Attività Culturali, che in particolare all’art. 2 ne esprimeva l’interesse, in quanto parte stipulante, alla sottoscrizione a carico di ALES s.p.a. (società partecipata dallo stesso Ministero in misura del 30% e dal Ministero dell’Economia e del Tesoro per la parte residua) con gli utenti interessati delle modalità inerenti la prestazione dei propri servizi, in esse comprese le unità dei lavoratori da utilizzare.

Sicché, in virtù del contratto di appalto di servizi stipulato con la Soprintendenza il 15 maggio 2000, e segnatamente dell’art. 6, essa si obbligava a mettere a disposizione del servizio di custodia e vigilanza del sito “idoneo personale” organizzato in squadre e formato attraverso appositi corsi (p.to 6.4), individuando espressamente la presenza di un caposquadra e di cinque addetti per il servizio di vigilanza, con inquadramento dal quarto al terzo livello del CCNL del commercio relativo ai servizi (p.to 5 del progetto esecutivo, allegato quale parte integrante del contratto di servizio).

Il diritto del lavoratore sarebbe pertanto fondato sul detto rapporto contrattuale tra la Soprintendenza archeologica di Pompei, in qualità di parte committente (stipulante) e ALES s.p.a., quale appaltatrice (datrice) promittente, recante una clausola di contratto, in favore del lavoratore medesimo quale terzo, ad esso estraneo, a norma dell’art. 1411 c.c.

7.1. Giova allora preliminarmente ribadire come il contratto a favore di terzo sia ritenuto da autorevole dottrina una sottocategoria del contratto di scambio (necessariamente a due sole parti), per l’inserzione appunto di un terzo soggetto, estraneo al contratto, che diviene destinatario, ossia creditore, di una prestazione (così realizzando una delle ipotesi di deroga al principio generale di efficacia del contratto tra le sole parti stipulanti, a norma dell’art. 1372 c.c.) nei confronti della parte promittente. E questa, prima ancora che nei confronti del terzo, è obbligata nei confronti della parte stipulante, promotrice dell’obbligazione della promittente, divenendone a titolo diverso creditrice.

È quindi decisivo, per una corretta qualificazione del rapporto contrattuale trilatero, sottolineare come il promittente resti obbligato in una duplice direzione: verso lo stipulante ad adempiere verso il terzo, con la conseguenza che, non adempiendo nei suoi confronti, sia considerato inadempiente anche verso lo stipulante medesimo; e nei confronti del terzo, titolare di una prestazione patrimoniale che, a norma dell’art. 1411, secondo comma c.c., è diretta e non il risultato meramente riflesso (o mediato) della prestazione dovuta dal promittente allo stipulante. Sicché, il diritto che il terzo acquisisce trae la propria origine da quello che lo stipulante acquista, in base al contratto, verso il promittente; tuttavia, sebbene discenda da quello, è un diritto proprio, per l’assunzione da parte del promittente di un obbligo di prestazione verso il terzo direttamente e di contenuto autonomo.

Questo spiega perché il beneficio per il terzo debba essere intenzionale, ossia consapevolmente assunto dalle parti quale oggetto di un deliberato proposito.

Con ciò esso si distingue dalle situazioni nelle quali un vantaggio per il terzo (per lo più economico) nasca soltanto casualmente, o indirettamente, quando le parti non si siano prefigurate di giovare al terzo e di attribuirgli un diritto soggettivo: in tale caso avendo il terzo un mero interesse a godere del vantaggio e a conservarlo, ma non una pretesa fondata su un diritto soggettivo.

Ed è insegnamento giurisprudenziale di legittimità consolidato che, nel contratto a favore di terzo, il diritto di questo sia autonomo rispetto a quello dello stipulante e possa pertanto essere fatto valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessità di intervento in giudizio dello stipulante, azionando nei confronti del primo il diritto alla realizzazione del suo credito (Cass. 18 settembre 2008, n. 23844).

E che, proprio per questa ragione non sia sufficiente, per la configurabilità di un contratto a favore di terzo, che questi riceva un vantaggio economico indiretto dal contratto intervenuto tra altri soggetti, ma sia necessario che questi ultimi abbiano inteso direttamente attribuirglielo, nel senso che i soggetti stessi, nella qualità di contraenti, abbiano previsto e voluto una prestazione a favore di un terzo estraneo al contratto, come elemento del sinallagma (Cass. 4 ottobre 1994, n. 8075; Cass. 19 agosto 1997, n. 7693; Cass.25 gennaio 2018, n. 1865).

Peraltro, il contratto a favore di terzo può non esaurire il proprio contenuto nella prestazione in suo favore, ma questa costituire soltanto una parte (accessoria) di quello, come si verifica appunto in presenza di una clausola in favore del terzo nell’ambito di un diverso contratto (di appalto di servizi, come nel caso di specie) tra le parti stipulante e promittente.

7.2. Ebbene, l’istituto della clausola in favore del terzo appartiene all’ordinamento lavoristico sub specie di clausola sociale ed è esplicitamente normata, quale obbligo dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche (art. 36 I. 300/1970).

Ed infatti, la giurisprudenza tradizionalmente qualifica la cosiddetta clausola sociale (che prevede l’obbligo per il datore di lavoro, il quale benefici di agevolazioni economico-finanziarie nei rapporti con lo Stato e gli enti pubblici, di praticare nei confronti del personale dipendente condizioni non inferiori a quelle previste dal CCNL di categoria) alla stregua di clausola a favore di terzo (Cass. 25 luglio 1998, n. 7333), posto che attribuisce ai lavoratori un autonomo diritto soggettivo, non già all’applicazione diretta di tutto il contratto collettivo di categoria (essa non comportando un’estensione dell’efficacia soggettiva del contratto), bensì al rispetto del trattamento minimo previsto dal suddetto contratto.

Nello stesso senso, si è affermato che la previsione dell’art. 17 del capitolato generale d’appalto di opere pubbliche, in base alla quale l’appaltatore assuma l’obbligo di applicare ai lavoratori dipendenti condizioni normative e retributive non inferiori a quelle stabilite dai contratti collettivi vigenti, si configura come un contratto a favore del terzo, che fa sorgere in capo ai lavoratori impiegati nella esecuzione delle opere appaltate un diritto soggettivo, nei confronti del datore di lavoro, all’osservanza della contrattazione collettiva e nel quale l’interesse dello stipulante, richiesto dall’art. 1411, primo comma c.c., è quello della pubblica amministrazione alla regolare esecuzione dei lavori, che sarebbe compromessa dalla litigiosità dei lavoratori, motivata da un loro trattamento meno favorevole di quello stabilito dalla contrattazione collettiva (Cass. 5 giugno 1981, n. 3640; Cass. 21 dicembre 1991, n. 13834).

E più recentemente si è ritenuto, a riguardo della clausola del contratto di appalto, in virtù della quale un Consorzio si sia impegnato nei confronti del committente ad assicurare non solo la prestazione contrattuale attraverso le cooperative associate, ma si sia specificamente impegnato ad assicurare al personale dipendente adibito alle attività oggetto del contratto le condizioni normative e retributive non inferiori a quelle risultante dai contratti nazionali di lavoro applicabili: tale garanzia non potendo che riguardare i dipendenti delle consorziate esecutrici dell’appalto; avendo, infatti, la clausola un contenuto specifico che, precisando l’oggetto dell’impegno assunto, vale ad obbligare giuridicamente il promittente non solo ad una influenza verso le consorziate al rispetto degli standards di lavoro, ma anche ad una responsabilità diretta per il caso che le consorziate non rispettino le condizioni economiche e normative pattuite.

E recando detta clausola l’impegno in favore del personale comunque adibito alle attività oggetto del contratto di appalto, in tal modo rendendo irrilevante che detto personale sia dipendente da soggetti interposti (quali nel caso le cooperative consorziate), essendo comunque il consorzio (che esegue l’appalto aggiudicatosi per il tramite delle consorziate e di cui ha percepito il corrispettivo) tenuto alla garanzia derivante dalla clausola sociale, ove il datore di lavoro non assicuri il rispetto delle condizioni economiche e normative del contratto collettivo applicabile al settore (Cass. 8 settembre 2014, n. 18860; nello sesso senso: Cass. 29 settembre 2015, n. 19299).

7.3. Ebbene, nel caso di specie deve essere ribadito che ALES s.p.a., in esecuzione della Convenzione quadro stipulata con il Ministero dei Beni e Attività Culturali, si è obbligata nei confronti della Soprintendenza archeologica di Pompei, con l’art. 6 del contratto di appalto di servizi stipulato il 15 maggio 2000 a mettere a disposizione del servizio di custodia e vigilanza del sito “idoneo personale” organizzato in squadre e formato attraverso appositi corsi (p.to 6.4), individuando espressamente la presenza di un caposquadra e di cinque addetti per il servizio di vigilanza, con inquadramento dal quarto al terzo livello del CCNL del commercio relativo ai servizi (p.to 5 del progetto esecutivo).

Ma un tale impegno è il frutto di una pattuizione tra le due parti diretta a definire lo standard qualitativo del servizio da realizzare, esigente la presenza di figure professionali adeguate alla peculiarità dei luoghi, di particolare pregio storico e artistico, attraverso l’assunzione di dipendenti di livello non inferiore al terzo e quarto livello del CCNL del commercio relativo ai servizi, anche attraverso una formazione preventiva dei lavoratori destinati a tale compito.

Non risulta invece che, per ciò solo, ALES s.p.a. si sia con il contratto in parola, oltre che con la Sopraintendenza committente, al tempo stesso obbligata nei confronti del terzo lavoratore, rendendolo titolare di una prestazione patrimoniale diretta così da attribuirgli, in base al contratto, un diritto che egli possa autonomamente azionare nei suoi confronti di datrice di lavoro promittente, in assenza di un diritto proprio del lavoratore in tale senso.

Né tanto meno è configurabile un vantaggio per il terzo, che le parti abbiano consapevolmente assunto quale oggetto di un deliberato proposito: distinto, come detto, da situazioni di vantaggio casuale o indiretto (foriere di un mero interesse a godere del vantaggio e a conservarlo), non essendosi le parti proposte di giovare al terzo né di attribuirgli un diritto soggettivo, su cui fondare una pretesa tutelabile in giudizio.

Ed infatti, la Corte territoriale ha postulato, sulla base di una mera petizione di principio, il diritto del lavoratore al superiore inquadramento per effetto del suindicato impegno di ALES s.p.a. nei confronti della Soprintendenza archeologica di Pompei (in particolare, al terz’ultimo e quart’ultimo capoverso di pag. 2 della sentenza), senza individuare l’inequivocabilità volontà delle due parti di attribuirgli la titolarità di una prestazione patrimoniale diretta, autonomamente azionabile siccome fondata su un diritto proprio e, prima ancora, neppure la sua sussistenza.

7.4. Dalle argomentazioni svolte discende allora l’accoglimento dei due motivi congiuntamente esaminati, comportanti l’accertamento da parte del giudice di rinvio delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore sulla base del seguente principio di diritto: “Qualora, in un contratto di appalto pubblico di servizi, un’impresa appaltatrice assuma nei confronti dell’amministrazione committente l’obbligo di fornire e organizzare idoneo personale, debitamente formato in relazione alle peculiarità del servizio, indicandone anche il livello di inquadramento, la pattuizione tra le due parti è diretta alla definizione dello standard qualitativo del servizio esigente la presenza di figure professionali adeguate.

Ma non si configura un vantaggio per il terzo lavoratore, dipendente della prima, che le parti abbiano consapevolmente assunto quale oggetto di un deliberato proposito, comportante l’obbligo dell’impresa, quale promittente, nei confronti dell’amministrazione, quale stipulante, in favore del terzo, che lo renda titolare di una prestazione patrimoniale diretta, attribuendogli per ciò solo il diritto ad una qualifica superiore che egli possa autonomamente azionare”.

8. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2943 c.c., per erronea esclusione della prescrizione di ogni eventuale somma spettante al lavoratore in epoca anteriore al 21 settembre 2004, quinquennio antecedente la data di notificazione del ricorso introduttivo del giudizio (21 settembre 2009), in assenza di alcun atto interruttivo: tale non essendo (come invece ritenuto dalla Corte territoriale) la raccomandata del 9 novembre 2007, di richiesta da parte del lavoratore di esperimento del tentativo di conciliazione, in assenza della formulazione di alcuna pretesa economica nei confronti della società datrice e pertanto senza effetto di costituzione in mora.

9. Esso è infondato.

10. Secondo insegnamento giurisprudenziale di legittimità consolidato è stato affermato, in tema di prescrizione con riferimento all’idoneità ad acquisire efficacia interruttiva, che l’atto di interruzione della prescrizione non deve necessariamente consistere in una richiesta o intimazione (che è caratteristica riconducibile all’istituto della costituzione in mora), ma può anche emergere da una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti semplicemente l’intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante, così dovendosi interpretare estensivamente l’articolo 2943, quarto comma c.c., in sinergia ermeneutica con la più generale norma dell’articolo 2934 c.c. (Cass. 12 luglio 2006, n. 15766; Cass. 18 gennaio 2018, n. 1166).

Quand’anche, tuttavia, si ritengano necessarie l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, per la manifestazione dell’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (Cass. 14 giugno 2018, n. 15714), la Corte territoriale ha comunque accertato l’idoneità della lettera 7 novembre 2007 ad interrompere la prescrizione (al terzo capoverso di pag. 4 della sentenza).

E ciò secondo un’interpretazione della richiesta di esperimento di tentativo obbligatorio di conciliazione, in essa contenuta, insindacabile in sede di legittimità, in assenza di alcuna denuncia di violazione di canoni ermeneutici, tanto meno con indicazione dei criteri interpretativi violati, meramente enunciati nel loro tenore letterale, né specificazione delle ragioni e del modo in cui si sarebbe realizzata l’asserita violazione (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350).

11. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento del secondo e del terzo motivo, rigettati gli altri, con la cassazione della sentenza, in relazione ai Il RG 323/2016 motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.