Vincita al Lotto. Chiede al gestore della ricevitoria il risarcimento del danno subito per il ritardo con cui quest’ultimo aveva inviato la matrice della giocata vincente all’Intendenza di Finanza.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 gennaio 2017, n. 920)

Svolgimento del processo

1. Nel 1994, D.D.D. convenne in giudizio D.G.G. per sentirlo condannare al risarcimento danno derivante dalla mancata riscossione della vincita di Lire 24.583.330 realizzata al gioco del Lotto, certificata dalle bollette giocate presso la ricevitoria gestita dal convenuto, da imputarsi a esclusiva colpa del medesimo convenuto, il quale aveva inoltrato con ritardo all’Intendenza di Finanza di Benevento le matrici delle giocate del giorno (omissis) .

Si costituì il convenuto eccependo l’infondatezza della domanda.

Il Tribunale di Larino, Sezione Stralcio, con la sentenza n. 66/2002, rigettò la domanda, ritenendo che il D.G. fosse privo di legittimazione passiva, in quanto il gioco del Lotto è gestito direttamente dal Ministero delle Finanze, cui avrebbe dovuto essere notificato l’atto di citazione.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Campobasso, con sentenza n. 104/2011 del 30 giugno 2011.

La Corte, rigettate le eccezioni di improcedibilità ed inammissibilità dell’appello formulate dal D.G. per inesistenza, nullità e tardività della notifica, ha accolto l’appello proposto dal D.D. , condannando il D.G. al risarcimento del mancato guadagno, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

In particolare, il Giudice di seconde cure ha ritenuto che: nel caso di specie, non rileva il rapporto di pubblico impiego intercorrente tra il ricevitore dell’atto e la pubblica amministrazione ma semplicemente la valutazione del comportamento del D.G. quale produttiva di danno ai sensi dell’art. 2043 c.c.; che il ritardo nell’invio va senz’altro imputato al ricevitore, che non ha considerato l’insorgenza del giorno festivo del 6 gennaio precedente a quello di estrazione dei numeri, non ottemperando a quanto prescritto in casi simili dall’art. 16 della legislazione regolamentare del gioco (secondo cui, quando per variazioni dell’orario postale o per qualsiasi altra causa, i ricevitori prevedono che attenendosi allora stabilita per chiudere il gioco il sacchetto delle matrici non possa giungere in tempo utile all’Intendenza della Finanza, essi devono ovviare all’inconveniente anticipando la chiusura del gioco); il D.G. ha così violato un precetto dettato dalla prudenza e dalla diligenza, causando l’impossibilità della partecipazione all’estrazione delle matrici giocate dal D.D. .

3. Avverso tale pronunzia, propone ricorso in Cassazione il signor D.G.G. , sulla base di sei motivi.

3.1. L’intimato non ha svolto difese.

Motivi della decisione

4.1. Con il primo motivo, si denuncia “violazione, falsa applicazione, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 82 R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, 10 e 17 R.D.L. 27/11/1933 n 1578, 327, 330 e 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.

La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere rituale la notifica dell’atto di citazione in appello, eseguita, in mancanza di elezione di domicilio da parte del D.G. , al procuratore dello stesso presso la Cancelleria del Tribunale di Larino.

Tale notifica, sarebbe invece inesistente perché effettuata in luogo e presso un soggetto che non hanno nessun collegamento con il destinatario dell’atto.

Infatti, l’elezione di domicilio ex lege prevista dall’art. 82 del R.D. 37/1934 sarebbe applicabile sono in mancanza di elezione di domicilio da parte del procuratore costituito e non della parte.

Inoltre, il D.G. , nel giudizio di primo grado, avrebbe eletto domicilio presso il proprio difensore, con studio in Termoli (nel medesimo circondario del Tribunale di Larino) e domicilio legale in Larino presso lo studio dell’avv. Beniamino Petrucci, dove gli erano state notificate tutte le comunicazioni di Cancelleria del Tribunale.

Peraltro, poiché il difensore del D.G. era assegnato allo stesso circondario del Tribunale di Larino, non sarebbe stato nemmeno tenuto ad eleggere domicilio in luogo diverso dal proprio studio.

Essendo la precedente notifica inesistente, la Corte di Appello non avrebbe potuto disporre la rinotifica dell’atto di appello, essendo ampiamente decorso il termine perentorio previsto per proporre impugnazione.

Il motivo è infondato.

A norma dell’art. 170 c.p.c., dopo la costituzione delle parti in giudizio, tutte le notificazioni e comunicazioni si fanno, salvo che la legge disponga altrimenti, al procuratore costituito e nel suo domicilio, senza necessità che la parte abbia eletto domicilio presso di lui (Cass. n. 3254/1995).

L’art. 82 del R.D. 22.1.1934 n. 37, integra il contenuto precettivo dell’art. 170 c.p.c., stabilendo che i procuratori esercenti il proprio ufficio al di fuori della circoscrizione del Tribunale cui sono assegnati, devono, all’atto della costituzione, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’ufficio giudiziario adito, intendendosi altrimenti il domicilio eletto presso la cancelleria di detto ufficio.

Tale norma non è invece applicabile quando il procuratore sia iscritto nell’albo del medesimo tribunale nella cui circoscrizione si svolge il giudizio.

In quest’ultimo caso, l’eventuale elezione di domicilio assume il valore di mera indicazione del luogo in cui ha sede lo studio del procuratore e non richiede, quindi, necessariamente la specificazione dell’indirizzo, dovendo le notificazioni essere effettuate, in mancanza, non già presso la cancelleria del giudice adito, bensì nel luogo, risultante dall’albo professionale, dove il procuratore ufficialmente risiede, in ragione del suo ufficio, a norma degli artt. 10 e 17, primo comma, n. 7, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36 (Cass. n. 23384/2013; Cass. n. 14360/2009).

Infatti, laddove sia controverso il luogo nel quale deve essere notificata l’impugnazione presso il procuratore, questa Corte ha affermato che tale luogo è rappresentato dal domicilio effettivo dello stesso, quale risulta dall’albo professionale o altrimenti dagli atti processuali, non avendo egli alcun obbligo di dichiarare nel giudizio un domicilio (cfr. Cass. Sez. Unite, n. 3818/2009; Cass. n. 14033/2005; Cass. n. 4746/1997; Cass. n. 7990/1992).

L’accertamento del domicilio professionale, in quanto essenziale alla validità ed all’astratta efficacia della richiesta di notifica, costituisce un adempimento preliminare che non può che essere a carico del notificante ed essere soddisfatto altrimenti che con il previo riscontro di esso presso l’albo professionale, che rappresenta la fonte legale di conoscenza del domicilio degli iscritti e nel quale il procuratore ha l’obbligo di fare annotare i mutamenti della sua sede.

All’onere di verificare presso l’albo professionale il domicilio del procuratore presso il quale notificare l’impugnazione, corrisponde l’assunzione da parte del notificante del rischio dell’esito negativo della notifica richiesta in un domicilio diverso da quello effettivo e sono manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità sollevati rispetto ad essi per l’impossibilità che ne deriverebbe al notificante di fruire per l’intero dei termini di impugnazione, sia perché l’effettività della tutela del diritto di agire e di difendersi nel processo è assicurata nelle forme e nei limiti ragionevolmente previsti dall’ordinamento processuale e sia in quanto l’accertamento del domicilio effettivo del procuratore risultante dall’albo professionale nessun significativo pregiudizio temporale può comportare alla parte, considerata che l’agevole consultazione degli albi e, in particolare, la loro attuale informatizzazione ed accessibilità telematica (Cass. S.U., n. 3818/2009).

Nel caso di specie, indubbiamente la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e sul punto la motivazione deve essere corretta.

Infatti, rilevato che il D.G. era costituito nel primo grado di giudizio attraverso l’avv. Leonardo dell’Orco, sarebbe stato onere dell’appellante verificare il domicilio di tale professionista attraverso la consultazione dell’albo professionale, al fine di procedere correttamente alla notificazione.

È peraltro circostanza incontestata che l’avv. dell’Orco sia iscritto all’Ordine degli Avvocati di Latino e che il Comune di Termoli, dove il medesimo difensore ha il proprio studio, rientri nel circondario del Tribunale di Latino.

Di conseguenza, il giudice di seconde cure avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’atto di appello, notificato presso la Cancelleria del Tribunale di Larino.

Una simile notifica, effettuata in un luogo ed a persona non aventi alcuna relazione con il destinatario, doveva essere considerata del tutto inesistente, non suscettibile quindi di né di rinnovazione né di sanatoria per effetto della costituzione del convenuto.

Ed in quest’ordine di idee che la motivazione deve essere corretta: la parte non ha alcun onere di eleggere esplicitamente domicilio presso il suo difensore (unitamente al mandato), essa si intende domiciliata presso il suo difensore e presso questo devono essere notificati tutti gli atti.

Tuttavia, il giudice del merito, benché abbia erroneamente motivato in diritto, è pervenuto comunque ad una conclusione conforme a diritto. Infatti, la recentissima pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 14916/16 ha ristretto l’ipotesi d’inesistenza della notifica ai soli casi in cui la stessa sia omessa, mentre negli altri casi possono individuarsi solo ipotesi di nullità.

Nella specie, è vero che l’atto doveva essere notificato alla parte presso il suo procuratore, nel domicilio di questo stesso (in quanto attivo intra districtum), tuttavia, la parte destinataria s’è costituita e così ha sanato la nullità, a nulla rilevando che nel costituirsi abbia eccepito la predetta nullità.

In questo senso, il motivo non può essere accolto.

4.2. Con il secondo motivo, si lamenta “violazione, falsa applicazione, nonché omessa, insufficiente,e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 291, 307, 348 e 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.

La Corte avrebbe dovuto ordinare la cancellazione della causa dal ruolo con conseguente estinzione del processo a norma degli artt. 291 e 307, comma 3, c.p.c. per inattività dell’appellante.

Infatti, il D.D. , non solo non avrebbe rinotificato l’atto di appello entro il termine perentorio del 30 maggio 2008 fissato dalla Corte di Appello di Campobasso con ordinanza del 5 marzo 2008, ma non sarebbe neppure comparso alla successiva udienza del 21 ottobre 2008.

Inoltre, l’appello sarebbe già stato improcedibile, per difetto di attività di impulso processuale, perché l’appellante non era comparso neppure alle precedenti udienze del 20 luglio 2004 e del 19 ottobre 2004, tanto che la causa veniva cancellata dal ruolo e riprendeva il suo corso solo a seguito di una comparsa di riassunzione e di un provvedimento mai notificati all’appellato, nonché alle udienze del 16 maggio 2006 e del 19 settembre 2006.

Il secondo motivo è inammissibile.

A parte quanto già sopra evidenziato nel rigetto del primo motivo di ricorso in merito alla notifica, per tutte le altre questioni sollevate in realtà non risultano essere state poste nel giudizio d’appello, né, del resto, il ricorrente menziona dove e quando le abbia fatte valere.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia “violazione, falsa applicazione, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 327 e 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.

Anche ritenendo che la notifica del 30 giugno 2003 non fosse inesistente ma solo nulla, la sanatoria sarebbe stata ammissibile solo a condizione che, medio tempore, non si fosse determinato il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Anche questo motivo è inammissibile. Oltre a quanto già sopra detto, il giudice del merito ha motivato nella sentenza che il D.G. non tiene conto della sospensione dei termini processuali previsto dal D.L. 245/2002 e convertito in legge n. 286/2002 concernente disposizioni per contenere l’emergenza creatasi nella Regione Molise a causa dei noti eventi tellurici (sentenza C.A. pag. 5).

4.4. Con il quarto motivo, si lamenta “violazione, falsa applicazione, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 24 della Costituzione, 101 e 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.

L’appellante avrebbe dovuto rinotificare non solo l’atto di appello ma anche tutti i verbali del giudizio di appello, la comparsa di riassunzione, il provvedimento emesso in seguito al deposito di tale comparsa, nonché l’ordinanza del 5 marzo 2008.

Il D.D. , invece, si sarebbe limitato a rinotificare l’atto di appello e solo alcuni dei verbali di udienza, in violazione sia del principio del contraddittorio ex articolo 101 c.p.c. che del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione.

Anche tale motivo è inammissibile. Il motivo è anche contraddittorio con quanto affermato in precedenza e con quanto accerta il giudice circa la mai avvenuta rinotifica in quanto sembra dire che l’atto è stato effettivamente rinotificato.

4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta “violazione di norme di diritto, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.”.

La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che il D.G. abbia violato l’obbligo di chiudere anticipatamente il gioco previsto dalla legislazione regolamentare del gioco.

Un tale obbligo non si rinverrebbe nella legge regolante la materia del gioco all’epoca vigente (L. 2 agosto 1982 n. 528).

In ogni caso, la norma richiamata dalla Corte territoriale non avrebbe potuto far ritenere il D.G. responsabile di un fatto illecito.

Infatti la norma sarebbe stata dettata per situazioni imprevedibili e non regolamentabili, rimesse alla valutazione del singolo ricevitore.

La ricorrenza di un giorno festivo antecedente l’estrazione, invece, non sarebbe fatto né straordinario né imprevedibile, che quindi avrebbe dovuto essere oggetto di specifica regolamentazione generale da parte dell’amministrazione finanziaria, non potendosi consentire comportamenti diversi e contrastanti da parte dei vari ricevitori.

4.6. Con il sesto motivo, il D.G. denuncia “violazione degli artt. 2043 c.c. e 112 c.p.c.”.

Il Giudice di seconde cure avrebbe erroneamente liquidato in favore del D.D. anche la rivalutazione monetaria sebbene questa non sia stata chiesta né in primo grado né in appello.

Il quinto e sesto motivo sono inammissibili.

Oltre a richiedere un riesame nel merito della vicenda le questioni sollevate sono generiche, non specifiche e non autosufficienti.

Per quanto poi riguarda in particolare il sesto motivo il ricorrente non dimostra neppure che la controparte non abbia mai richiesto la rivalutazione monetaria.

5. Non occorre provvedere sulle spese in quanto l’intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.