Violenza sessuale, commessa da un Maresciallo dei CC con abuso della sua qualità.

(Corte di Cassazione Penale, sez. IV, sentenza 26 settembre 2016, n. 39832)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROMIS Vincenzo – Presidente –
Dott. IZZO Fausto – rel. Consigliere –
Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere –
Dott. PICCIALLI Patrizia – Consigliere –
Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

G.M. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 4634/2015 CORTE APPELLO di MILANO, del 9 novembre 2015;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 26 maggio 2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. IZZO FAUSTO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DELEHAYE Enrico, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza;

udito l’Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) per la parte civile (Ndr: testo originale non comprensibile) che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. Padovan Paola per la parte civile G.M. che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il difensore Avv. Di Zenzo Carmine per l’imputato che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 10 dicembre 2013, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 5 dicembre 2012, con la quale G.M., maresciallo dei Carabinieri, comandante della stazione di (OMISSIS), era stato condannato per varie ipotesi di violenza sessuale e concussione a lui ascritte ai capi da 1) a 33), assolveva l’imputato appellante dai reato di cui ai capi 5), 21), 25), 33), e dai reati di concussione consumata contestati al capo 23) perchè il fatto non sussiste, eliminando la pena per essi inflitta a titolo di continuazione; rideterminava inoltre la pena per le residue imputazioni, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 9, nonchè quella di cui all’art. 61 c.p., n. 5, in anni 16 e mesi 1 di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza, anche con riferimento alle statuizioni civili.

2. Con sentenza n. 1880 del 25 marzo 2015, la 3 Sez. di questa Corte annullava senza rinvio la sentenza impugnata in ordine ai reati di cui ai capi 4 e 24 (quest’ultimo limitatamente ai fatti commessi nell’anno (OMISSIS)) perchè estinti per prescrizione; e con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, quanto alla configurabilità dei reati di cui all’art. 317 c.p.. Rigettava il ricorso nel resto.

Rilevava la Corte di legittimità la correttezza della motivazione della sentenza laddove aveva ritenuto attendibili le dichiarazioni delle persone offese relativamente ai delitti di violenza sessuale, commessi dall’imputato con abuso della sua qualità di sottoufficiale dei Carabinieri.

Riteneva invece fondato il motivo di ricorso relativamente ai delitti di cui all’art. 317 c.p.

Dopo avere premesso che era indubitabile che il reato di violenza sessuale, commessa mediante abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale, possa concorrere formalmente con il reato di concussione, trattandosi di reati che tutelano beni giuridici diversi, evidenziava che per la configurabilità del delitto era necessario che ricorressero gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 317 c.p., in particolare la costrizione o la induzione, che non potevano essere identificati nella superiorità, nell’influenza o nell’autorità che il pubblico ufficiale può vantare in ragione della carica ricoperta o della funzione svolta, occorrendo, invece, ai fini dell’integrazione del reato, una costrizione o induzione qualificata, ossia prodotta dal pubblico ufficiale con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, così che l’azione indebita si caratterizzi per essere l’effetto di tale costrizione o induzione e cioè conseguenza della coazione psicologica esercitata dal pubblico ufficiale mediante l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri.

Evidenziava la Cassazione che sul punto la corte territoriale, dopo essersi preoccupata di affermare che, secondo la giurisprudenza, per la configurabilità del reato di concussione occorreva qualcosa di più e di diverso dalla costrizione, con abuso di qualità o poteri pubblicistici, della vittima a subire atti sessuali, che costituisce il nucleo del reato di violenza sessuale, non aveva però poi motivato adeguatamente in ordine alle singole fattispecie.

Tale motivazione si rendeva ancor più necessaria, a seguito di un rigoroso esame delle risultanze processuali, dal momento che nella maggior parte delle imputazioni si faceva alternativamente riferimento a costrizioni o comunque ad induzione.

Inoltre, la precisa individuazione della fattispecie appariva assolutamente necessaria anche alla luce della normativa sopravvenuta che ha distinto in due ipotesi di reato la concussione per costrizione (art. 317 c.p.) dalla induzione indebita (art. 319 quater c.p.), problematica che la Corte di merito non si era posta.

La distinzione si rendeva necessaria anche per la determinazione del trattamento sanzionatorio per ognuna delle contestazioni, pur se avvinte dalla continuazione con il reato (ritenuto più grave) di cui al capo 1), risultando il reato di cui all’art. 319 quater c.p. sanzionato meno gravemente rispetto all’originario reato di cui all’art. 317 c.p..

Infine, precisava ancora la Corte di legittimità, che nella individuazione, per ognuna delle singole ipotesi di concussione, del quid pluris ritenuto necessario per configurabilità della fattispecie, la Corte distrettuale non doveva fare riferimento a generici rilievi o al metus, derivante dalla funzione ricoperta, ma specificare da quali risultanze processuali emergesse la condotta di costrizione ovvero di induzione.

Sulla base di tali considerazioni la sentenza veniva annullata, con rinvio limitatamente alla configurabilità del reato di cui all’art. 317 c.p. e per la rideterminazione della pena.

3. Con sentenza del 9 novembre 2015, emessa in sede di giudizio di rinvio, la Corte di Appello di Milano assolveva il G. dal delitto di cui al capo 31) perchè il fatto non sussiste e dopo avere confermato la ricorrenza dell’ipotesi delittuosa di concussione per costrizione (art. 317 c.p.) in tutte le ipotesi contestate, ad eccezione del capo 10) qualificato induzione indebita ai sensi dell’art. 319-quater c.p., rideterminava la complessiva pena in anni 15 e mesi 3 di reclusione, confermando le statuizioni civili.

La Corte di merito analizzava specificamente i singoli episodi, rilevando come il G. avesse creato o colto l’occasione che gli si presentava, per commettere gli atti di abuso sessuale costringendo le vittime a subirli paventando esplicitamente o implicitamente danni che avrebbe potuto procurare.

Solo nel caso di cui al capo 10) la sinallagmaticità tra la protezione del comandante e prestazione sessuale (possibilità di rimanere in Italia per una cittadina non comunitaria), consentiva di riqualificare il fatto nella previsione di nuovo conio di induzione indebita di cui all’art. 319-quater c.p.

La corte rideterminava la pena riducendola, tenendo conto dei proscioglimenti per la dichiarata prescrizione, dell’assoluzione per il capo 31) e della riqualificazione del capo 10).

4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato lamentando la mancanza ed illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle concussioni e di induzione indebita.

Invero il giudice di merito, violando il dictum della Cassazione in sede di rinvio, non aveva individuato il quid pluris idoneo a consentire l’individuazione delle concrete condotte costrittive o induttive. Con ciò era stato violato il principio di necessaria materialità del diritto penale.

In particolare:

– quanto al capo 2), p.o. S., dalle deposizioni raccolte era emerso che la ragazza aveva avuto un atteggiamento disinvolto ed aveva cercato la liberazione in cambio delle prestazioni sessuali;

– quanto al capo 10), p.o. D., nessuna condotta induttiva era stata provata, in particolare, non vi era traccia delle rassicurazioni offerte dal maresciallo alla donna per evitare l’espulsione;

– quanto ai capi 11) e 13), concussione tentata e consumata in danno della B., la motivazione della conferma della condanna era stata affidata a mere clausole di stile svincolate dalle considerazioni fatte nei motivi di appello. In particolare il maresciallo non aveva minacciato di rivelare al marito della donna il suo passato di prostituzione per soggiogarla, ma le aveva solo fatto presente che se voleva presentare la denuncia, non poteva evitare di narrare il suo passato. In ordine ai complimenti rivolti alla donna si trattava di un mero corteggiamento;

– quanto al capo 15), p.o. P., la donna era stata accusata di furto o appropriazione indebita dai suoi datori di lavoro. Alla vista dei carabinieri aveva iniziato a piangere in modo esasperato ed egli si era limitato a dire di stare tranquilla mentre aveva iniziato ad accarezzarla. Non emergeva pertanto alcun quid pluris idoneo ad integrare il delitto di concussione, rispetto alla violenza sessuale;

– quanto ai capi 17) e 19), pp.oo. De.So. e M., anche in tal caso la corte di merito si era schermata dietro frasi di stile disancorate dalle emergenze processuali. Se l’imputato avesse voluto approfittare della situazione delle due donne avrebbe avuto l’occasione propizia quando costoro avevano offeso i carabinieri. La stessa minaccia di strappare il permesso di soggiorno era correlata a tale offesa;

– quanto al capo 23), p.o. G. (tentativo), lo stesso fatto che la donna aveva reagito minacciando di scendere dall’auto quando il maresciallo l’aveva toccata dopo un controllo stradale, lascia trasparire l’assenza di una posizione di soggezione della G.;

– quanto al capo 27), p.o. Pa.Ro., anche in tal caso il maresciallo si era limitato a fare delle avances, disancorate da qualsiasi minaccia.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.

2. La Corte di Appello di Milano in sede di rinvio con riferimento alla ritenuta affermazione di responsabilità ai sensi degli artt. 317 e 319 quater c.p. si è premurata di argomentare con motivazione logica, congrua ed esaustiva il quid pluris che permetteva di qualificare i fatti per cui vi è stato annullamento, come concussione ovvero induzione indebita nella nuova formulazione.

La Corte di merito, attenendosi al dictum della Corte di Cassazione, non incorrendo quindi in alcuna violazione di legge, ha inoltre tenuto conto del criterio discretivo tra condotta di costrizione e condotta di induzione, delineata nella sentenza di annullamento, secondo i principi sanciti dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12228 del 24 ottobre 2013, Maldera e altri, Rv. 258470).

Invero il delitto di concussione di cui all’art. 317 c.p., nel testo modificato dalla L. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sè viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione e o con la promessa – non dovuta – di denaro o altra utilità e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater c.p. introdotto dalla richiamata legge la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’ induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perchè motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Nel caso di specie la corte di merito, in sede di rinvio, è stata chiamata a valutare se nella condotta del G. fosse presente o meno quel quid pluris atto ad integrare, secondo i casi, l’ipotesi di concussione o di induzione indebita (in concorso formale con la violenza sessuale), facendo attenzione a che tale quid non fosse ravvisato esclusivamente nel metus derivante dalla funzione ricoperta ed esercitata dall’imputato, bensì una vera e propria autonoma ed identificabile condotta costrittiva ovvero induttiva.

3. La Corte d’appello, nell’adempimento di tale onere, ha confermato quasi integralmente la sentenza di condanna annullata, operando una scrupolosa ed attenta analisi delle diverse imputazioni individuando la presenza del quid pluris preteso dalla pronuncia di annullamento, ciò facendo con una motivazione coerente e non manifestamente illogica, che si sottrae alle censure formulate dalla difesa del G.. In particolare:

3.1. Capo 2), p.o S.M.J..

La Corte di merito ha evidenziato lo stato di soggezione in cui si era trovava la donna, in stato di arresto durante il fine settimana ed in attesa dell’udienza di convalida in sede di giudizio direttissimo. Il G. abusando della propria qualità e posizione, aveva mostrato in un primo momento cortesia, ma poi aveva cambiato atteggiamento, imponendo alla S. di subire i propri desideri sessuali. Costei aveva compreso che l’autore degli abusi era il comandante e si era trovata ad accettare passivamente i gesti lascivi, nel timore implicitamente indotto che un suo eventuale rifiuto avrebbe potuto ulteriormente restringere i suoi spazi di relativa libertà e considerato che tali atti erano stati consumati in luoghi appartati ove era stata condotta da sola (in bagno ed in cantina).

3.2. Capo 10), p.o. D.G..

Tale capo è stato riqualificato in sentenza nella fattispecie di cui all’art. 319- quater c.p. La D., che svolgeva l’attività di prostituta, era stata accompagnata più volte presso la caserma ed aveva avuto più volte (circa 10-15) rapporti sessuali con il maresciallo G., offerti gratuitamente. Ha ricordato la Corte come la donna avesse riferito che aveva ricevuto dall’imputato l’avvertimento che doveva acconsentire alle sue richieste poichè il rifiuto si sarebbe tradotto in un allontanamento dall’Italia; la sua docilità, invece, le avrebbe garantito l’impunità e la permanenza in Italia. Nel momento in cui ella aveva rifiutato l’ennesimo rapporto, le era stato notificato il foglio di via.

La Corte d’Appello ha ben rimarcato l’atteggiamento dell’imputato che, conscio della situazione di irregolarità della donna, approfittava della stessa, nell’esercizio delle sue funzioni, ottenendo che ella si assoggettasse ai suoi voleri senza alcuna reazione.

Correttamente, però, la condotta è stata ricondotta nella fattispecie di cui all’art. 319-quater c.p. in considerazione del rapporto sinallagmatico intercorrente tra l’imputato e la D.. Invero la Corte territoriale ha evidenziato come le prestazioni sessuali a cui non si rifiutava la D., non erano frutto delle sole minacce del G., ma erano volte all’ottenimento della protezione da parte dell’imputato, che nel caso de quo è resa evidente dalle rassicurazioni circa la possibilità di continuare a compiere il meretricio e soggiornare in Italia nonostante l’illiceità delle condotte; ciò rendeva esplicita quella dialettica utilitaristica che permette la riconduzione del fatto al paradigma dell’art. 319-quater c.p..

3.3. Capi 11) e 13): p.o. B.E..

Le imputazioni sono riferite, rispettivamente, ad una concussione tentata (del (OMISSIS)) e concussione consumata (del (OMISSIS)).

Nel primo caso la donna si era recata in caserma per denunciare un furto subito; il maresciallo disinteressandosi della denuncia aveva svolto un veloce accertamento sul suo passato, informandola di sapere che aveva precedenti per fatti di prostituzione. Ella aveva risposto che si vergognava del suo passato e non aveva detto nulla al marito. Approfittando di questa circostanza, il Maresciallo si era presentato nei giorni successivi presso l’abitazione della B., la prima volta, in presenza del marito, senza però rendere noto a quest’ultimo il passato della donna. La seconda volta, in assenza del marito, le aveva fatto notare di non avere riferito nulla al coniuge in merito al suo passato, facendola sentire in debito ed iniziandola a toccare (mano sul ginocchio). La condotta non era proseguita per il rifiuto della B. a subire le attenzioni del maresciallo. Ha evidenziato la Corte di merito come la minaccia implicita di svelare al marito il segreto del suo passato (circostanza resa palese dalle due visite domiciliari fatte alla donna e dalla diversità del comportamento tenuto in presenza ed in assenza del marito), costituisse quel quid idoneo ad integrare il delitto di tentata concussione.

Nel (OMISSIS) B. subiva una detenzione domiciliare per i reati di falso e favoreggiamento della prostituzione e in occasione di un suo ingresso in caserma, volto a giustificare un allontanamento portando al seguito un certificato medico, era stata accolta dal Maresciallo G. il quale l’aveva stretta contro il seno e le aveva messo dietro la schiena. In tali circostanze si era offerto di aiutarla. Anche in tale ipotesi, con coerente motivazione, la corte distrettuale ha ritenuto che l’offerta di aiuto correlata alla violenza sessuale ed alle pregresse condotte del G., erano state idonee ad indurre nella donna il metus dei poteri che avrebbe potuto esercitare il maresciallo e delle informazioni che avrebbe potuto dare al marito. Anche su tale punto la motivazione della sentenza non palesa alcuna erronea applicazione della legge o manifesta illogicità.

3.4. Capo 15): p.o. P.M..

La ragazza, all’epoca diciannovenne (nel (OMISSIS)), era stata portata incaserma in seguito ad una denuncia dei titolari di un negozio di telefonia ove lavorava, per avere effettuato alcune ricariche telefoniche senza pagare il prezzo. La P. temeva di finire in carcere, e tale timore l’aveva esternato piangendo anche al G., il quale non la tranquillizzava circa l’esito della sua vicenda, ma alternava frasi del tipo poi vediamo, con affermazioni che lasciavano intendere la gravità della sua situazione. In tale contesto il maresciallo, approfittando di una occasione scaturita dall’adempimento delle proprie funzioni e dalla evidente posizione di soggezione in cui la giovane si trovava, aveva compiuto gli atti di violenza sessuale descritti nel capo 14). Ne consegue che correttamente la corte di merito, nel comportamento subdolo del G., che alternava frasi tranquillizzanti ad altre severe, ha ritenuto sussistente il quid pluris integrante il delitto di cui all’art. 317 c.p..

3.5. Capi 17) e 19): pp.oo. D.S. e M..

Le due sorelle albanesi, non ancora quindicenni, venivano chiamate spesso con le scuse più disparate tanto in caserma, quanto nell’ufficio a disposizione del maresciallo, sito a fianco alla biblioteca del paese. Venivano convocate per delle presunte denunce, non corroborate da alcuna documentazione. Il maresciallo approfittando della situazione di evidente debolezza delle ragazze, perpetrava nei loro confronti le violenze sessuali descritte nei capi 16) e 18). Le due sorelle venivano chiamate separatamente, il militare da un lato le impauriva (con minaccia di strappare il permesso di soggiorno), dall’altro le tranquillizzava facendo loro implicitamente intendere che avrebbe potuto porre rimedio alle loro situazioni in cambio di favori sessuali. Il quid pluris è stato individuato dal giudice di merito nella condotta del maresciallo, il quale artificiosamente creava le situazioni per poter venire in contatto con le minori e mettere loro le mani addosso.

3.6. Capo 23): p.o. G.M..

La Corte d’Appello ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato, per tentata concussione, per l’episodio dell’aprile 2001. In primavera il G. aveva fermato la donna mentre si trovava alla guida di un’auto. Le aveva chiesto di accostare e mentre le contestava di averla vista guidare con il cellulare in mano, le aveva chiesto se aveva il perizoma ed aveva perpetrato il tentativo di violenza di cui al capo 22), tentando di alzarle la gonna. Il quid pluris è stato correttamente individuato dalla corte distrettuale nella condotta del maresciallo che aveva commesso il tentativo di violenza, rappresentando velatamente le possibili conseguenze dell’irregolare condotta di guida. La reazione della vittima, lungi dall’escludere la tipicità del fatto come sostenuto dalla difesa, integra un post factum ostativo solo alla consumazione dell’illecito.

3.7. Capo 27: p.o. Pa.Ro.Sh..

Si tratta di due vicende accadute nell’anno (OMISSIS). La Pa.Ro. era una donna separata dal marito; tra i due coniugi vi era conflittualità attestata dalla presentazione di reciproche denunce. Alla fine del 2008 o inizio (OMISSIS) la Pa. si era recata in caserma per la presentazione e la ricezione di alcune denunce. In tale occasione il maresciallo poneva in essere la violenza sessuale di cui al capo 26), dopo avere chiuso a chiave la porta dell’Ufficio ed avere abbassato la veneziana, nonchè avere incaricato una carabiniere di intrattenere la figlia della donna. In una seconda occasione, nel (OMISSIS), convocata per la notifica di una denuncia del marito, la p.o. si era recata in caserma e, memore dall’esperienza passata, si era fatta accompagnare da un’amica. Il G. aveva intimato a quest’ultima di attendere fuori e con le medesime cautele utilizzate la volta precedente, aveva consumato le violenze descritte nel capo 26) analoghe a quelle della volta precedente (palpazione del seno e masturbazione).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, il G. non si è limitato a mere avances, ma come osservato dalla Corte di merito, in maniera coerente ed esaustiva, il fatto è stato commesso approfittando dello stato di soggezione della donna al momento della comunicazione delle denunce del marito e nell’implicita rappresentazione delle possibili conseguenze negative derivanti dall’eventuale rifiuto della donna, ovvero nei possibili benefici che avrebbe potuto trarre dall’acquiescenza.

In considerazione di quanto esposto, il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Consegue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, lo condanna inoltre a rimborsare alle parti civili le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 2.500.00, oltre accessori come per legge, in favore di ciascuna di esse.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2016.