Morte di Mauro Guerra a Sant’Urbano, maresciallo accusato di omicidio volontario. Il giovane fu centrato da un colpo di pistola mentre picchiava con le manette un carabiniere.

Diciannove mesi di indagine. E ora l’accusa è di omicidio volontario per il maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro, 42enne vicentino d’origine, il comandante della stazione dell’Arma di Sant’Urbano che ha puntato la pistola d’ordinanza contro il trentaduenne Mauro Guerra, ha premuto il grilletto e poi ha sparato.

Un solo colpo e il giovane è morto, seminudo, in un campo vicino a casa nella frazione di Carmignano. Un giovane con la laurea in tasca e una vita drammatica vissuta tra fragilità e problemi psichici. Era il 29 luglio 2015.

Spazzata via l’ipotesi più lieve (il maresciallo era stato indagato per omicidio colposo), ora l’indagine rischia di avviarsi al vaglio del processo con la più pesante accusa di omicidio volontario. Un’accusa maturata in un contesto inquietante.

Primo: non c’era nessun Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) firmato da chi (come il sindaco) ha il potere di far ricoverare in via obbligatoria una persona in un reparto psichiatrico (peraltro solo per una settimana e in base ai certificati firmati da due specialisti). Un Tso che, a tragedia appena consumata, era stato sbandierato per giustificare la visita dei carabinieri, mentre i familiari avevano sempre ribadito che Mauro era scappato impaurito per difendere la sua libertà.

Di più. Non c’era nessun altro provvedimento dell’autorità giudiziaria a carico del 32enne, l’unico organo dello Stato che può limitare la libertà di una persona. E allora, di fronte alla richiesta di farsi ricoverare, Mauro Guerra aveva il diritto di dire “no”. E aveva il diritto di sottrarsi a quel tentativo di essere trasferito in ospedale in maniera coatta. E contro la sua volontà. Ma forse, nel farlo, avrebbe reagito andando troppo oltre? È stata legittima difesa da parte del maresciallo Pegoraro?

E qui il secondo rilievo della procura rodigina. Nessuna legittima difesa. Quando ha affrontato Mauro, il militare era vestito con la divisa e armato della pistola d’ordinanza; la vittima indossava un paio di slip e di calzini ed era fuggito tra il verde perché non voleva (né avrebbe potuto) essere costretto a seguire in Psichiatria i carabinieri.

Secondo la procura mancherebbero due dei fondamentali requisiti della legittima difesa che esige una proporzionalità tra azione (il comportamento dell’aggressore) e reazione (la “risposta” dell’aggredito che si difende). Ma reclama pure una proporzionalità tra i cosiddetti mezzi adoperati da chi si difende e da chi offende. Due presupposti inesistenti visto che Guerra era a mani nude e semi-svestito.

Ecco il quadro emerso dagli accertamenti ordinati dal pm Suriano, il magistrato che ha formalmente chiuso l’indagine, atto preliminare alla richiesta di spedire a processo il maresciallo Pegoraro. E lo ha fatto contestando l’omicidio volontario, reato punito con una sanzione pesante: «chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21» scrive il codice penale.

La sequenza della morte. Quel 29 luglio 2015, verso le 12, i carabinieri si presentano a casa di Mauro Guerra in via Roma 36 e lo invitano a salire a bordo di un’ambulanza: spiegheranno poi che appariva fuori di sé e in preda a un comportamento violento e pericoloso.

Lui chiede di andare in bagno, è solo una scusa per allontanarsi. È sportivo e corre per 200 metri verso un campo di grano, staccando tutti tranne il brigadiere Stefano Sarto, l’unico capace di raggiungerlo. Quest’ultimo comincia ad ammanettarlo. Guerra reagisce, lo stende a terra e inizia a colpirlo mentre sopraggiunge il maresciallo Pegoraro.

Secondo la procura il comandante voleva convincere il giovane a sottoporsi al Tso «ma non c’era nessun provvedimento formale». Facile prevedere la reazione aggressiva di Guerra: la lotta con il brigadiere si fa pesante.

È allora che il maresciallo esplode in aria tre colpi con la sua pistola semiautomatica calibro 9 per 19 millimetri (la Beretta in dotazione all’Arma). Il 32enne non si ferma, si piazza in ginocchio sopra il militare, sferra pugni e colpi al volto e al capo, utilizzando le manette che aveva attaccate al polso destro.

Il brigadiere viene ferito: lesioni gravi sostiene la procura, ma non in grado di metterlo in pericolo di vita. È allora che Pegoraro mira. E spara. Guerra è colpito, il colpo lo trapassa da fianco a fianco a una distanza di circa 150 centimetri.

La tragedia in un video. All’inizio il sottufficiale dell’Arma era finito nel registro degli indagati per omicidio colposo: era stato contestato una comportamento negligente e imprudente nell’uso dell’arma e della forza. Poi all’atto di chiudere l’inchiesta, tutto cambia. Il pm avrebbe acquisito dei video realizzati con cellulari: analizzati da alcuni esperti avrebbero ricostruito la sequenze di quel delitto.

Fonte

La giornalista, nel raccontare quella mattina drammatica, ha omesso (volutamente o no) un piccolo dettaglio che riteniamo di dover essere aggiunto.

“Quella famosa mattina il Mauro, che di stazza arrivava ad essere circa 120Kg., si trovava presso la sua abitazione e dopo una discussione con i famigliari, era andato in escandescenza iniziando a spaccare tutto quello che si trovava davanti a lui. In poco tempo aveva demolito l’interno dell’abitazione. Da quì la decisione della madre di chiamare i Carabinieri.

La Centrale Operativa, raccolto l’aiuto della donna inviava una pattuglia del Radiomobile e, contemporaneamente, avvisava il Comandante della locale Stazione sui fatti che si stavano verificando presso la famiglia Guerra nonché il 118.

L’equipaggio dell’autoradio, raggiunto il luogo, accertato quanto era accaduto, iniziava un dialogo con il Mauro cercando di convincerlo a farsi visitare presso l’ospedale. Inizialmente sembrava che lo stesso ragazzo volesse collaborare fino a quando è stato ora di farlo salire sull’ambulanza, nel frattempo giunta e con essa anche il Comandante della Stazione, il Mauro chiede di andare in bagno cosa che gli venne concessa ma una volta all’interno del bagno scappò dalla finestra iniziando a correre in direzione dei campi. Il Brig. Sarto si mise a corrergli dietro fino a raggiungerlo riuscendo ad ammanettarlo. La reazione del giovane non si fece attendere iniziando una colluttazione che, stando la sua stazza, ebbe la meglio sul Carabiniere fino a farlo cadere a terra. Una volta sopra al Brigadiere iniziò a colpirlo, con forza inaudita, in testa con le manette (ferro). I due venivano raggiunti dal Maresciallo il quale tentò di allontanare il ragazzo senza riuscirvi …”

Solo per completezza del racconto.