Carabinieri. Gli undici che difesero la democrazia.

Quando gli undici si sono alzati in piedi, tutti in fila, dal pubblico stipato nell’anfiteatro è partito un applauso di viscere e di cuore.

Per un istante i più giovani non hanno capito esattamente chi fossero quei signori. Poi hanno fatto massa pure loro. Ed è stato un attimo di storia.

Quegli undici non erano una squadra di calcio, memoria di coppe e glorie lontane. Ma una squadra molto diversa: protagonista di una sfida vittoriosa di trenta, quarant’anni fa. Più importante di una finale mondiale. Erano gli uomini dell’antiterrorismo.

L’anfiteatro, infatti, era l’aula magna del palazzo di giustizia di Torino, intitolata all’avvocato Fulvio Croce, ucciso nel 1977 dalle Brigate Rosse. Che volevano così, uccidendo il loro difensore d’ufficio, negare il diritto dello Stato a processarle.

E lì, tra centinaia di persone, si stava parlando da un paio d’ore proprio di un libro su mafia e terrorismo. Il giornalista della “Stampa” Cesare Martinetti aveva ben ricostruito gli anni di piombo nella capitale della Fiat.

Preciso, teso, commosso, aveva ricordato la sequenza sanguinosa delle vittime. Gli agenti uccisi a freddo dalle Bierre, l’incursione di Prima Linea nella scuola di direzione aziendale della Fiat, il rastrellamento di docenti e studenti e le gambizzazioni dei prescelti, i colpi di granata contro una caserma.

Cose dell’altro mondo. O meglio, di un’altra epoca, dove tutto questo era vita quotidiana e oggi appare appartenere al regno degli incubi.

Aveva parlato anche Gian Carlo Caselli, che nulla dimentica -per nostra fortuna- di quegli anni e sempre li sa narrare. Il celebre processo al gruppo storico delle Brigate Rosse e l’indisponibilità atterrita dei cittadini torinesi a parteciparvi come giurati popolari.

Il deserto civile auspicato dai terroristi che sembrava diventare realtà. Nemmeno nei processi di mafia era mai successo qualcosa del genere.

Poi era intervenuto anche l’attuale procuratore capo di Torino, Armando Spataro, che la lotta al terrorismo la fece da Milano, giovane magistrato alle prime armi. Una rievocazione collettiva intensa, che per forza di cose era dovuta riandare al racconto di come il partito armato fosse stato alla fine battuto, e perché, e per merito di chi.

Era stato così che un po’ alla volta, tra filmati e memorie personali, si era iniziato a parlare dei carabinieri appartenenti a quel famoso nucleo speciale antiterrorismo costituito con ottimi risultati nella prima metà degli anni settanta, poi dissennatamente sciolto e finalmente ricostituito dopo il delitto Moro (in foto il ritrovamento del cadavere di Moro in via Caetani a Roma).

I relatori snocciolavano ritratti ed episodi. Uomini che giuravano al loro generale che per il proprio incarico al servizio dello Stato avrebbero dimenticato la famiglia, sarebbero diventati clandestini, fingendo vita diversa anche con amici e parenti.

Tranne quei marescialli che pedinavano i brigatisti con le proprie mogli, fingendosi coppie in attesa di salire in casa o in amore dentro le auto, perché non c’erano donne né in polizia né nell’Arma.

Uomini di cui nulla si è mai saputo, ma sulle cui spalle e sul cui coraggio ha pesato in anni decisivi la tenuta della democrazia italiana, la capacità dello Stato di resistere a un attacco di virulenza sconosciuta. Giovani spesso senza grandi studi alle spalle che dovevano abituarsi a leggere documenti straripanti ideologia e parole prima mai sentite. Per capire, per non procedere alla cieca.

Sicché in tanti presenti, man mano che i ricordi fluivano nell’aula, si faceva strada la voglia di conoscerli, questi uomini, di vederne qualcuno in un filmato d’epoca. Di più: si faceva largo un inconfessato senso di colpa per non averli mai ringraziati.

Finché è arrivato dal comandante dell’Arma, il generale Tullio Del Sette, l’invito a quegli uomini, “che so essere presenti”, ad alzarsi, a farsi vedere. Con imbarazzo, ma disciplinatamente, gli undici si sono alzati quasi nello stesso secondo.

Ed è stato a quel punto che è partito l’applauso riparatore a decenni di silenzio e di rimozione della nostra storia. Momenti di brivido, capaci di volare sopra i discorsi, sopra il libro, sopra tutti. Davanti alla squadra vittoriosa.

Eccola, decenni dopo la partita:

Michele Rossi, Giuseppe Mazzillo, Amleto Selleri, Gennaro Tessari, Domenico Romano, Mario Galleri, Marco Moncalero, Matteo Capizzi, Calogero Mistretta, Eduardo Lucente, Calogero Mascellino.

Nomi sconosciuti. Che valgono per tanti altri. Argine all’urto furibondo che sembrò mettere in ginocchio leggi e istituzioni. E a cui quasi nessuno ha stretto mai la mano.

Fonte

1 thought on “Carabinieri. Gli undici che difesero la democrazia.”

  1. Sconosciuti eroi di un’epoca che sta volgendo le spalle alle istituzioni più nobili della nostra Patria:
    scusateci Carabinieri, ma io sono con voi SEMPRE!

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