Perdita del grado per rimozione (TAR Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione III, Sentenza 6 novembre 2013, n. 2432).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Adriano Leo, Presidente

Dott.ssa Silvana Bini, Consigliere

Dott. Antonio De Vita, Primo Referendario, Estensore

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 48 del 2009, proposto da:

– G. G., rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), ed elettivamente domiciliato in Milano, Via (OMISSIS) n. xx, presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);

contro

– il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, e domiciliato presso la sede della stessa in Milano, Via Freguglia n. 1;

per l’annullamento

– del provvedimento disciplinare del 16 ottobre 2008, notificato il 19 ottobre 2008, con cui è stata inflitta al ricorrente la sanzione della perdita del grado per rimozione, con decorrenza dal 10 dicembre 2002;

– nonché di ogni altro atto presupposto, successivo o connesso, compreso l’atto di contestazione degli addebiti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore il primo referendario Dott. Antonio De Vita;

Udito, all’udienza pubblica dell’8 ottobre 2013, il procuratore dell’Amministrazione resistente, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato in data 16 dicembre 2008 e depositato il 12 gennaio 2009, il ricorrente ha impugnato il provvedimento disciplinare del 16 ottobre 2008, notificato il 19 ottobre 2008, con cui gli è stata inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione, con decorrenza dal 10 dicembre 2002.

Il ricorrente, già finanziere scelto e posto in congedo su propria richiesta in data 10 dicembre 2002, essendo stato sottoposto ad indagini penali nell’anno 2000, subiva una condanna a due anni di reclusione e 1.800 € di multa, in seguito a patteggiamento, con sentenza del 28 aprile 2006, emessa dal G.U.P del Tribunale di (OMISSIS).

In data 23 luglio 2008, l’Amministrazione notificava al ricorrente la contestazione degli addebiti. Il procedimento si concludeva con il provvedimento impugnato nella presente sede.

A sostegno del ricorso vengono dedotte le censure di violazione dell’art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, dell’art. 9 della legge n. 19 del 1990 e degli artt. 103 e 104 del D.P.R. n. 3 del 1957.

Vengono inoltre dedotti l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e la violazione del principio del giusto procedimento.

Ulteriormente, vengono dedotti l’eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e gradualità della sanzione, la carenza di istruttoria e motivazione e la violazione della circolare del Ministero delle Finanze n. 208000/104/3 del 7 luglio 1993.

Poi vengono eccepiti la violazione dell’art. 104 del D.P.R. n. 3 del 1957, l’eccesso di potere per violazione dei principi del giusto procedimento e la nullità della notifica degli atti del procedimento.

Infine, viene dedotta la violazione dell’art. 26 della legge n. 833 del 1961.

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’udienza di trattazione del merito della controversia, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni.

Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2013, su richiesta del procuratore dell’Amministrazione resistente, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è meritevole di accoglimento in relazione a quanto di seguito specificato.

2. Con la prima censura, avente carattere assorbente, si assume l’illegittimità della sanzione disciplinare irrogata al ricorrente in ragione del superamento da parte dell’Amministrazione del termine di 90 giorni dalla conoscenza della sentenza di condanna, stabilito dall’art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, per avviare il procedimento disciplinare: la sentenza di condanna è stata emanata in data 28 aprile 2006 (all. 2 al ricorso), mentre il procedimento disciplinare, con la contestazione degli addebiti, è iniziato il 23 luglio 2008 (all. 5 al ricorso).

2.1. La censura è fondata.

L’art. 10, comma 3, della legge n. 97 del 2001, nel testo risultante in seguito all’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2004, stabilisce che i procedimenti disciplinari (…) devono essere instaurati entro novanta giorni dalla conclusione del procedimento penale con sentenza irrevocabile. Una disposizione di identico tenore, disciplinante in via ordinaria la materia, è contenuta nell’art. 5, comma 4, della stessa legge n. 97.

Nel caso di specie risulta pacifico che l’azione disciplinare è stata avviata ben oltre i novanta giorni dall’emanazione della sentenza di condanna, essendo trascorsi oltre due anni dalla sua pubblicazione.

Altrettanto pacifica è la circostanza che l’Amministrazione ha avuto conoscenza della sentenza in data 30 maggio 2008, in seguito alla comunicazione della cancelleria del Tribunale di …….. (all. 3b dell’Amministrazione).

2.2. A giudizio del ricorrente l’inizio dell’azione risulta tardivo, in quanto l’Amministrazione avrebbe avuto la possibilità di conoscere immediatamente l’esito del giudizio penale, essendosi costituita parte civile nel relativo procedimento tramite l’Avvocatura Distrettuale dello Stato ed avendo ottenuto il pagamento delle spese processuali liquidate nel predetto giudizio già dal mese di ottobre 2006 (all. 3 e 4 al ricorso).

La tesi prospettata nel ricorso appare meritevole di condivisione, atteso che la presenza in giudizio tramite un proprio difensore, ovvero l’Avvocatura dello Stato, ha posto la Guardia di Finanza in condizione di conoscere gli sviluppi dello stesso e quindi deve ritenersi che, almeno dal momento in cui è stato richiesto il pagamento delle spese di giudizio, l’Amministrazione fosse in grado di conoscere legalmente l’esistenza della sentenza.

Non appare persuasiva la tesi prospettata dalla difesa erariale, fondata sulla circostanza che l’Avvocatura dello Stato deve essere considerata – anche nella fase processuale – un’articolazione separata rispetto all’Amministrazione che agisce in giudizio, atteso che, pur considerando le peculiarità del rapporto intercorrente tra le diverse Amministrazioni dello Stato e l’Avvocatura erariale, comunque si è in presenza di un rapporto di mandato processuale che determina lo stesso effetto che si produce quando agisce in giudizio un privato tramite un difensore di fiducia (cfr. art. 1 del R.D. n. 1611 del 1933), con la conseguenza che tutti gli atti relativi al giudizio si ritengono conosciuti dalla parte tramite l’esclusiva comunicazione al difensore, cui è conferita apposita procura alle liti.

Ad opinare diversamente si potrebbe giungere al paradosso di slegare completamente l’attività difensiva dell’Avvocatura dello Stato rispetto alla posizione della singola Amministrazione in giudizio, con il rischio di aggravare la posizione delle controparti e rendere più difficoltosa anche l’attività dell’organo giudicante, richiedendosi sempre una simultanea interlocuzione sia con la parte sostanziale che con il difensore, pena l’inopponibilità alla prima degli atti assunti in sede processuale; si prospetterebbe in tal modo il rischio concreto di vanificare la normativa sulla difesa in giudizio, laddove si qualifica il procuratore alle liti come rappresentante della parte, dovendo quest’ultima agire necessariamente con un difensore e non potendo intervenire direttamente in giudizio.

2.3. Di conseguenza, la conoscenza da parte del difensore della sentenza di condanna crea una presunzione assoluta di conoscenza della stessa in capo all’Amministrazione, con tutte le relative conseguenze, ivi comprese quelle riferibili alla decorrenza del termine per avviare l’azione disciplinare.

2.4. Anche la circostanza che successivamente alla proposizione del ricorso sia stata introdotta una novella legislativa (art. 154 ter delle norme di attuazione del c.p.p.) che impone alla cancelleria del giudice di comunicare le sentenze penali relative ai pubblici dipendenti all’Amministrazione di appartenenza degli stessi, ferma restando la sua inapplicabilità ratione temporis, non appare in contrasto con le conclusioni raggiunte in precedenza, atteso che l’Amministrazione non è parte necessaria del processo penale e quindi ben può accadere – ad eccezione della costituzione di parte civile, come nel caso di specie – che senza la comunicazione della cancelleria del giudice si ignorino le sentenze panali emesse a carico dei propri dipendenti.

3. In conclusione, la fondatezza della predetta censura, previo assorbimento delle restanti doglianze, determina l’accoglimento del ricorso e il conseguente annullamento dell’atto impugnato.

4. In ragione delle peculiarità della fattispecie e della sostanziale novità della questione, le spese di giudizio possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla l’atto con lo stesso ricorso impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2013.

Depositata in Cancelleria il 6 novembre 2013.