(Corte di Cassazione penale, sez. IV, sentenza 02.02.2015, n. 4893)
Il reato di guida in stato di ebbrezza può essere addebitato anche a chi conduca, in tale stato, una bicicletta.
E’ quanto emerge dalla sentenza della Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione del 2 febbraio 2015, n. 4893.
In merito alla pretesa inapplicabilità della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza alla conduzione di veicoli non motorizzati, come la bicicletta, costante orientamento giurisprudenziale afferma che il reato di guida in stato di ebbrezza ben può essere commesso mediante la conduzione di tale tipologia di veicolo, rivestendo un ruolo decisivo la concreta idoneità del mezzo usato a interferire sulle generali condizioni di regolarità e di sicurezza della circolazione stradale.
Ciò al di là della circostanza costituita dalla eventuale inapplicabilità delle sanzioni amministrative accessorie, come quella della sospensione della patente di guida, in forza del principio generale che esclude l’applicabilità della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida a chi abbia commesso reato conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione.
Nella fattispecie i giudici del merito avevano correttamente escluso la prospettazione difensiva della pretesa inoffensività della condotta tenuta dal conducente, sottolineando l’oggettiva idoneità della conduzione della bicicletta in condizioni di ebbrezza alcolica, a interferire con il regolare e sicuro andamento della circolazione stradale, con la conseguente creazione di un oggettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità del pubblico degli utenti della strada.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 22 gennaio – 2 febbraio 2015, n. 4893
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza resa in data 25/9/2013, la Corte d’appello di Brescia ha integralmente confermato la sentenza in data 13/6/2012 con la quale il Tribunale di Brescia ha condannato A.P. alla pena di due mesi e venti giorni di arresto ed euro 800,00 di ammenda, in relazione al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico pari a 1,97 e 2,23 g/l) commesso, alla guida della propria bicicletta, in Milano, 1’11/8/2010.
2. Avverso la sentenza d’appello, unitamente al proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato sulla base di quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte territoriale erroneamente confermato l’applicabilità della disciplina sanzionatoria riferita al reato di guida in stato di ebbrezza anche in relazione all’uso di veicoli non motorizzati, come la bicicletta, tenuto conto degli indici interpretativi dì indole positiva, costituiti dall’inapplicabilità, con riguardo alla guida di bicicletta, delle sanzioni amministrative accessorie della sospensione o della revoca della patente di guida o della confisca del velocipede; considerazioni non adeguatamente affrontate dalla corte territoriale e superate sulla base di una motivazione illogica e contraddittoria.
3. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, là dove, dopo aver erroneamente rigettato l’eccezione d’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice contestata (in quanto ritenuta applicabile al caso di specie), ha disatteso la prospettata inoffensività della condotta contestata all’imputato, avuto riguardo alle specifiche occorrenze del fatto.
4. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione per avere il giudice d’appello erroneamente escluso l’applicazione, nel caso di specie, degli istituti processuali previsti per le figure criminose di minore rilevanza offensiva, con particolare riguardo all’art. 34 dei decreto legislativo n. 274/2000, dettato in relazione alle ipotesi di particolare tenuità del fatto.
Sul punto, il ricorrente reitera in questa sede l’istanza di rimessione al giudice delle leggi della questione di legittimità costituzionale in via incidentale, avuto riguardo alla palese e ingiustificata disparità di trattamento in ordine all’inapplicabilità, alla fattispecie oggetto dell’odierno esame, dell’art. 34 cit., a fronte dell’espressa previsione della relativa applicabilità in relazione ai reati (di omogenea natura ed entità offensiva) rimessi alla competenza del giudice di pace.
5. Con il quarto motivo il ricorrente censura la violazione di legge e il vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, con riguardo all’avvenuta esclusione, ad opera di quest’ultima, del ricorso della causa di giustificazione dello stato di necessità (financo putativo), avendo l’imputato agito, nell’occasione oggetto d’esame, spinto dalla necessità di sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona, siccome intento a recarsi con urgenza presso la propria abitazione al fine di adottare le cure dirette a fronteggiare la “cefalea a grappolo” dalla quale era affetto.
Considerato in diritto
6. II ricorso è infondato.
Dev’essere preliminarmente disattesa la prospettazione avanzata dal ricorrente in ordine alla pretesa inapplicabilità, della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza, alla conduzione di veicoli non motorizzati (e segnatamente della bicicletta), essendosi i giudici del merito correttamente allineati al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (autorevolmente sostenuto dalle sezioni unite di questa corte), secondo cui il reato di guida in stato di ebbrezza ben può essere commesso attraverso la conduzione di una bicicletta, a tal fine rivestendo un ruolo decisivo la concreta idoneità del mezzo usato a interferire sulle generali condizioni di regolarità e di sicurezza della circolazione stradale; e tanto, al di là della circostanza costituita dall’eventuale concreta inapplicabilità delle sanzioni amministrative accessorie previste per tale reato (come, ad es., della sospensione della patente di guida), in forza del principio generale che esclude l’applicabilità della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (che discenda per legge da illeciti posti in essere con violazione delle norme sulla circolazione stradale) a chi li abbia commessi conducendo veicoli (come una bicicletta) per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione (cfr., ex plurimis, Sez. Un., Sentenza n. 12316 del 30/01/2002, Rv. 221039).
Ciò posto, la corte territoriale ha logicamente e coerentemente escluso la fondatezza della prospettazione dell’imputato, in ordine alla pretesa inoffensività della condotta allo stesso addebitata, avendo sottolineato, sulla base di un’argomentazione dotata di logica plausibilità e coerenza argomentativa, l’oggettiva idoneità (tanto astratta, quanto in concreto), della conduzione di una bicicletta in condizioni di ebbrezza alcolica, a interferire con il regolare e sicuro andamento della circolazione stradale, con la conseguente creazione di un obiettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità del pubblico degli utenti della strada: circostanza, quest’ultima, di per sé sufficiente (in ragione dell’intuibile e assoluta gravità dell’esposizione a pericolo di interessi di primario rilievo per l’ordinato svolgimento della vita comune) a sostanziare di congrua giustificazione (anche sul piano della ragionevole disparità di trattamento tra interessi e valori dotati di dignità costituzionale) la differenziata disciplina legislativa di tale reato – sul terreno della risposta sanzionatoria e, in generale, delle conseguenze derivanti, sul piano giuridico, dalla commissione di detto illecito (ivi compresa la non prevista applicazione dell’istituto di cui all’art. 34 del decreto legislativo n. 274/2000) – rispetto al complesso delle fattispecie rimesse alla competenza penalistica del giudice di pace.
Sotto altro profilo, osserva il collegio come la corte territoriale abbia congruamente sottolineato, con motivazione logicamente coerente e pienamente lineare in termini argomentativi, l’assoluta inconsistenza del richiamo, ad opera dell’imputato, della causa di giustificazione dello stato di necessità (anche putativo) a fondamento dell’invocata liceità della condotta allo stesso contestata, rimarcando (sulla base di considerazioni congruamente corroborate sul piano argomentativo e probatorio e del tutto immuni da vizi d’indole logica o giuridica) il carattere meramente assertivo e congetturale delle prospettazioni sul punto strumentalmente e infondatamente richiamate dall’imputato.
7. L’accertamento dell’infondatezza di tutti i motivi di ricorso avanzati dal P. impone la pronuncia del relativo rigetto e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.