INPS, il piano di TITO BOERI: ricalcolare le pensioni col retributivo …

Anche chi percepisce una pensione calcolata con metodo retributivo non può dormire sonni tranquilli: è forse arrivato il momento di cambiare il sistema previdenziale.

Tornare indietro, rispetto alla riforma Fornero, è impossibile. Il fallimento della proposta di referendum ne è la prova, così come i tanti dietrofront sul taglio delle pensioni d’oro.

Ora, però, a cercare di rimettere a posto le cose potrebbe arrivare il piano di Tito Boeri.

Il nuovo presidente dell’Inps, fresco di nomina, ha già la ricetta: tagliare le pensioni calcolate con il sistema retributivo per riversare quanto recuperato a favore di chi vedrà applicarsi il contributivo puro.

Contributivo vs retributivo: perché l’attuale sistema previdenziale è iniquo

Con la riforma delle pensioni si è cercato di rimettere a posto i conti presenti e futuri delle casse pubbliche e private.

Come  noto, infatti, il sistema previdenziale funziona come una bilancia dove i due piatti rappresentano le entrate (i contributi versati da chi è nel mondo del lavoro) e le uscite (le pensioni pagate).

L’equilibrio si raggiunge se il peso di uno e dell’altro si equivale. Se una popolazione è giovane, il sistema economico funziona e il mercato del lavoro è contrassegnato da alto tasso di occupazione, ci saranno più entrate.

Se, invece, la popolazione più anziana, che quindi percepisce una pensione, è maggiore di quella che lavora, ci saranno più uscite.

L’Italia si trovava  in quest’ultimo caso, anche perché il sistema previdenziale prevedeva che i contributi versati dai lavoratori non venissero accantonati per le loro pensioni, ma andassero a pagare quelle di chi era, in quel momento, fuori dal mondo del lavoro.

Una sorta di patto intergenerazionale che, però, a causa dell’andamento demografico e, poi, della crisi economica, era diventato non più sostenibile. Da qui, la decisione di cambiare rotta, passando dal sistema di calcolo retributivo a quello contributivo.

Nel primo la pensione era pagata con i contributi versati dai giovani lavoratori e garantiva un vitalizio in media dell’80-85% rispetto ai redditi da lavoro.

Il contributivo funziona in modo che la pensione sia la restituzione dei contributi versati dal lavoratore durante la sua attività. Questo, però, per una serie di variabili macroeconomiche, porterà nelle tasche dei futuri pensionati la metà dei loro stipendi.

Il paradosso è che in passato, col retributivo, molti hanno percepito, in pensione, più di quanto hanno versato all’Inps. Con il contributivo puro potrebbe addirittura accadere il contrario, ovvero che si percepirà meno di quanto si è versato durante gli anni di lavoro.

Il piano di Tito Boeri: meno pensione per tutti

Fino ad ora nessuno ha ancora trovato una ricetta pubblica per porre rimedio alla grave iniquità sulle pensioni. Un piano ce l’ha il nuovo presidente dell’Inps, l’economista e giornalista Tito Boeri.

La sua idea è presto detta: prendere le pensioni calcolate col metodo retributivo, ricalcolarle col metodo contributivo e tagliare la parte eccedente.

In pratica, si tratterebbe di garantire agli attuali pensionati la quota di vitalizio che hanno maturato con quanto effettivamente versato all’Inps. Su quello eccedente, che non gli sarebbe spettato se si fosse applicato il contributivo, ci sarebbe una sforbiciata.

Niente scuse: è possibile chiedere un contributo di equità basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati, limitatamente a chi percepisce pensioni di importo elevato. Si incasserebbero più di quattro miliardi di euro, riducendo privilegi concessi in modo poco trasparente.

Questo scriveva, un mese fa, Tito Boeri su lavoce.info.

Ma è fattibile tutto questo? Seguiamo il ragionamento del nuovo presidente Inps.
Secondo il piano di Tito Boeri, l’equità distributiva ed intergenerazionale legittima interventi sulle pensioni in essere per quello che riguarda:

  • redditi pensionistici al di sopra di un certo importo;
  • sulla parte della prestazione che non è giustificabile alla luce dei contributi versati, vale a dire la differenza fra le pensioni che si sarebbero maturate con il sistema contributivo definito dalla legge del 1995, e quelle effettivamente percepite.

Come determinare la storia contributiva dei lavoratori dipendenti pubblici e privati? Il decreto del 1997 sancisce che per liquidare pensioni contributive si possa utilizzare una stima, una sorta di “forfettone”. Si tratta di un calcolo che parte dalle retribuzioni percepite in alcuni anni immediatamente precedenti al 1995 e valuta i contributi versati sulla base delle aliquote contributive allora in vigore.

Prendendo dalle pensioni pagate nel 2013, si può stimare cheun contributo circoscritto al solo reddito pensionistico sopra i 2mila euro al mese creerebbe, tra i soli lavoratori dipendenti, una base imponibile di circa 17 miliardi. Sarebbe composta da 1,7 milioni di persone, di cui 850mila di ex-dipendenti privati, 770mila pubblici e 100mila lavoratori autonomi.

Nel caso dei lavoratori dipendenti del privato, si tratterebbe per lo più di pensionati d’anzianità.

Nel caso dei dipendenti pubblici, il contributo riguarderebbe anche una fetta consistente di pensioni di vecchiaia. In entrambi i casi, la platea sarebbe in gran parte composta da uomini.

I lavoratori autonomi hanno pensioni molto più basse, il che li pone in grandissima maggioranza al di sotto della soglia dalla quale si paga il contributo.

Quanto al contributo da applicare, per Tito Boeri è preferibile operare con progressività, con aliquote che crescono con l’importo della pensione.

C’è già anche un’ipotesi di modulazione delle aliquote:

  • 20% dello squilibrio su pensioni tra 2mila e 3 mila euro;
  • 30% dello squilibrio su pensioni tra 3 mila e 5 mila;
  • 50% dello squilibrio su pensioni superiori 5 mila

Un contributo di questo tipo darebbe un gettito di circa 4,2 miliardi.

La riduzione dei trattamenti pensionistici si aggirerebbe mediamente tra il 3 e il 7% delle pensioni complessive.

Il taglio più marcato sarebbe quello degli ex dipendenti pubblici con pensioni superiori ai 6mila euro.

Qui il contributo può salire fino a oltre il 10% della pensione.

L’intervento riguarderebbe il 10% dei pensionati che possiedono il 27% del totale delle pensioni.

C’è da chiedersi: è giusto tagliare quello che ormai è un diritto acquisito per porre rimedio ad una situazione certamente iniqua generata, però, non per volontà dei lavoratori a cui ora si va a chiedere il contributo?

Per compensare la perdita del 7%-10% della pensione ci sono soluzioni? Una risposta può essere la previdenza integrativa.

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