Quando anche i Giudici della Cassazione fanno un dietrofront. Nello specifico il bonus sulla prima casa (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 22 giugno 2018, n. 16604).

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 
SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

 

sul ricorso iscritto al n. 11391/2017 R.G. proposto da:

U.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dagli avv.ti Elisabetta ZOINA e Francesco PAPA, ed elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza Cola di Rienzo, n. 92, presso lo studio legale del secondo difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6550/11/2016 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata il 28/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/05/2018 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

Rilevato che:

– con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da U.G. avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso dal medesimo proposto avverso un avviso di liquidazione di maggiore imposta IVA emesso dall’amministrazione finanziaria in relazione all’anno di imposta 2008 a seguito di revoca dei benefici fiscali connessi all’acquisto della prima casa, nella specie effettuato in comunione dei beni con il coniuge, per non avere ivi trasferito la propria residenza nel termine decedenziale di diciotto mesi dalla stipula dell’atto;

– per la cassazione della sentenza di appello ricorre il predetto contribuente con unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale il ricorrente ha depositato memoria;

– il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;

Considerato che:

– con il motivo di ricorso il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dall’art. 1, nota 2 bis, della Tariffa, Parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della documentazione anagrafica prodotta in giudizio, attestante la residenza familiare del ricorrente nell’abitazione de qua, sostenendo che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di appello, ai fini della spettanza della predetta agevolazione era del tutto irrilevante, a fronte della destinazione dell’immobile a residenza familiare, che uno dei coniugi abbia la residenza in luogo diverso;

– i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi tra loro, sono ammissibili (in tale senso deponendo, contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, il principio affermato da Cass., Sez. U. n. 9100 del 06/05/2015 – Rv. 635452), sono fondati e vanno accolti;

– “In tema di agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa e con riguardo alla disciplina del D.L. n. 12 del 1985, art. 2, convertito nella L. 4 maggio 1985, n. 118 (applicabile “ratione temporis”), il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile deve essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso” (Cass. n. 2109 del 28/01/2009 – Rv. 606705; conf. Cass. n. 16355 del 28/06/2013 e n. 25889 del 23/12/2015);

– nella specie, in cui è incontestato che l’acquisto dell’immobile ubicato nel comune di Catena era stato effettuato in regime di comunione dai coniugi U.G. e R.R. e che quest’ultima aveva trasferito la propria residenza in detto immobile (essendo del tutto irrilevante la circostanza addotta dalla controricorrente – a pag. 2 del controricorso – che si sia trattato di “un mero “cambio di abitazione”” risultando la R. “residente in catena sin dalla nascita”), la CIR, omettendo evidentemente di esaminare la documentazione anagrafica prodotta dal ricorrente, ha violato le disposizioni censurate disattendendo il predetto principio giurisprudenziale; ne consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata, senza necessità di rinvio non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, con accoglimento dell’originario ricorso del contribuente;

– la controricorrente, essendo rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, sussistendo valide ragioni di compensazione delle spese dei giudizi di merito.

P.Q.M.


accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore dei difensori del ricorrente, dichiaratisi antistatari, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge, compensando le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2018.