Udienza preliminare: disciplina – fattispecie – applicabilità.

Premessa

L’udienza preliminare rappresenta la fase di transizione dal procedimento al processo con lo scopo precipuo di filtrare le «imputazioni azzardate» a garanzia dell’imputato.

Introdotta dal codice Rocco, l’udienza de qua ha nel tempo mutato fisionomia: dapprima, ad opera della L. n. 105/1993 che ha eliminato il requisito dell’innocenza evidente cui era subordinata l’emissione della sentenza di non luogo a procedere; successivamente, ad opera della L. Carotti n. 479/1999, che ha attribuito al Giudice la possibilità di pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche nell’ipotesi di incertezza o contraddittorietà degli elementi raccolti.

Ad onta di tale mutamento radicale, per la Corte Costituzionale (cfr. sentenza 24 luglio 2009, n. 242) e per la prevalente giurisprudenza di legittimità, la decisione del Giudice dell’udienza preliminare è rimasta fondamentalmente calibrata sulla prognosi di sostenibilità dell’accusa in giudizio. In dottrina, invece, si è da taluno ricostruita la fase in questione alla stregua di giudizio preliminare sul merito della fondatezza dell’imputazione.

Ed invero, non può disconoscersi che l’udienza preliminare si configuri come momento centrale di giurisdizione, in grado di arrestare il corso di processi che possono già offrirsi ad una valutazione di merito del Giudice, perché di prova prevalentemente documentale o precostituita in altro processo o di prova dichiarativa scandagliabile dallo stesso Giudice dell’udienza preliminare in forza dei poteri ex art. 422 c.p.p., laddove il materiale prodotto dall’accusa e dalla difesa in sede di udienza preliminare renda superfluo un dibattimento in grado di non aggiungere nulla sotto il profilo istruttorio rispetto a quanto già versato in atti.

 

  1. Competenza funzionale

L’udienza preliminare è prevista per i reati di competenza del Tribunale collegiale, della Corte d’Assise e del Tribunale per i minorenni; nonché per i reati di competenza del Tribunale monocratico, ma solo ove si tratti di delitti puniti con pena superiore ai quattro anni di reclusione.

La competenza del Giudice dell’udienza preliminare, che ha una presenza stabile all’interno della relativa fase, viene determinata tenendo conto della competenza del Giudice del dibattimento (art. 8 ss. c.p.p.), con la sola eccezione di cui al co. 1-bis dell’art. 328 c.p.p. il quale puntualizza che, nei procedimenti per i delitti indicati nell’art. 51, co. 3-bis, c.p.p. le relative funzioni sono esercitate, fatte salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il Giudice competente: ciò, evidentemente, al fine di evitare che la Procura distrettuale, investita unitariamente di una vicenda attinente alla criminalità organizzata, si trovi costretta a richiedere a singoli giudici territorialmente competenti i provvedimenti necessari al proseguimento delle indagini ovvero i provvedimenti ritenuti indispensabili in materia cautelare.

Il D.L. 23 maggio 2008 n. 92 conv. in L. 24 luglio 2008 n. 125, nell’estendere l’ambito di operatività dell’art. 328, co. 1-bis, c.p.p. ai delitti di cui all’art. 51, co. 3-quater, c.p.p. ha puntualizzato, mediante l’inserimento di un co. 1-quater, che, quando il procedimento riguarda delitti indicati nell’art. 51, co. 3-quinquies, le attribuzioni del Giudice distrettuale riguardano sia le funzioni di Giudice per le indagini preliminari sia quelle di Giudice dell’udienza preliminare.

Si tratta di competenza funzionale equiparata, quanto a disciplina, alla competenza per materia.

  1. Instaurazione dell’udienza preliminare: art. 416 ss.

L’udienza preliminare viene instaurata qualora il Pubblico ministero eserciti l’azione penale, chiedendo il rinvio a giudizio.

La richiesta di rinvio a giudizio costituisce la forma ordinaria di esercizio dell’azione penale i cui requisiti formali sono individuati dallo stesso Legislatore all’art. 417 c.p.p..

L’art. 416 c.p.p. prevede espressamente due casi nullità della richiesta di rinvio a giudizio, la cui logica comune è la violazione del diritto di difesa dell’imputato: l’omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini che, come noto, costituisce il primo momento di conoscenza piena del fascicolo d’indagine e quindi di difesa consapevole rispetto al capo d’incolpazione; e l’omesso invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio richiesto dall’indagato, che rappresenta un’occasione di confronto con il Pubblico ministero.

Si tratta di nullità speciali perché specificamente previste dalla norma di legge e a regime intermedio secondo la disciplina dell’art. 180 c.p.p., in quanto poste a garanzia dei diritti di difesa, con la conseguenza che esse devono essere eccepite o rilevate d’ufficio sino alla deliberazione della sentenza di primo grado.

Con la richiesta di rinvio a giudizio è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al Giudice per le indagini preliminari. Il corpo del reato e le cose pertinenti al reato sono allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove.

Qualora si proceda per il reato di cui all’articolo 589, co. 2, c.p. la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero deve essere depositata entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari

Il deposito della richiesta di rinvio a giudizio fa scattare in capo al Giudice l’obbligo di fissare entro cinque giorni la data della udienza de qua

La fissazione dell’udienza preliminare è da collocarsi nell’arco dei successivi trenta giorni: termine, quest’ultimo, meramente ordinatorio non essendo prevista alcuna sanzione per la sua violazione.

Un problema pratico di notevole interesse si pone nel caso in cui dal fascicolo trasmesso ad opera dell’Ufficio di Procura emerga in tutta evidenza una causa di non punibilità: in un caso siffatto si tratta di vedere se il Giudice per le indagini preliminari debba comunque procedere alla fissazione dell’udienza preliminare o possa direttamente pronunciare sentenza di proscioglimento in applicazione dell’art. 129 c.p.p.: ad avviso delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (S.U 24 gennaio 2005 n. 4), per la pronuncia dei propri provvedimenti il Giudice per le indagini preliminari non può utilizzare che il rito a sua disposizione per definire il giudizio davanti a sé cioè quello camerale dell’udienza preliminare, e ciò per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio, che caratterizza la fase processuale introdotta con l’esercizio dell’azione penale.

  1. Atti introduttivi: art. 419 c.p.p.

Della fissazione dell’udienza preliminare devono essere resi edotti ex art. 419 c.p.p. mediante apposito avviso, in vista dell’instaurazione del contraddittorio: l’imputato, la persona offesa della quale risulti agli atti l’identità e il domicilio, il pubblico ministero e il difensore dell’imputato.

L’avviso destinato all’imputato e alla persona offesa deve essere corredato, a pena di nullità ex art. 419, ult. co., c.p.p., della richiesta di rinvio a giudizio e, per il primo, sempre a pena di nullità ex art. 419 ult. co., c.p.p., dell’avvertimento che la mancata comparizione può dar luogo alla prosecuzione del processo in sua assenza ovvero al rinvio o alla sospensione del processo ai sensi degli artt. 420-ter 420-quater, 420-quinquies così come modificati dalla L. n. 67/2014 che ha soppresso l’istituto della contumacia

L’omessa notificazione all’imputato dell’avviso per l’udienza preliminare determina una nullità assoluta insanabile, deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Sezioni Unite, Corte di Cassazione, sentenza n. 35358 del 9 luglio 2003).

Del pari l’omessa notifica al difensore dell’imputato è causa di nullità assoluta insanabile, deducibile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, dell’udienza medesima e di tutti gli atti successivi, ex art. 179 e 420, co. 1, c.p.p. essendo la partecipazione del difensore dell’imputato “necessaria” per la corretta instaurazione del contraddittorio.

Per ciò che concerne la persona offesa, la giurisprudenza oscilla fra il ritenere che si tratti di nullità relativa suscettibile di essere dichiarata su eccezione di parte ed eccepita prima della conclusione dell’udienza preliminare e il ritenere l’integrazione di una nullità assoluta della relativa procedura camerale. Alcun tipo di nullità produce invece l’omesso avviso al difensore della persona offesa.

L’omessa comunicazione al Pubblico ministero e l’omessa citazione del responsabile civile e del civilmente obbligato per la pena pecuniaria determinano invece una nullità a regime intermedio ex artt. 178 e 180 c.p.p.

Del pari è qualificabile come nullità a regime intermedio anche l’inosservanza del termine per comparire di dieci giorni previsto al co. 4 dell’art. 419 c.p.p.

  1. Indagini suppletive: art. 419 co 3 c.p.p.

Il co. 3 dell’art. 419 c.p.p. prescrive che l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare contenga l’invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio.

La norma in questione, destinata ex lege n. 397/2000 anche al difensore, è espressione del principio della continuità investigativa in forza del quale il potere d’investigare delle parti non si consuma nel passaggio dalla fase procedimentale a quella più propriamente processuale ma prosegue in vista del completamento degli elementi di prova e in funzione del controllo cui il Giudice dell’udienza preliminare è chiamato in ordine all’esercizio dell’azione penale, consentendo alle parti la produzione di (ulteriori) atti e documenti nel corso dell’udienza preliminare (art. 421, co. 3, c.p.p.)

  1. La rinuncia all’udienza preliminare: il giudizio immediato su richiesta dell’imputato ex art. 419 commi 5 e 6 c.p.p.

L’udienza preliminare è rinunciabile dall’imputato in base ai commi 5 e 6 dell’art. 419 c.p.p., da leggersi in combinato disposto con l’art. 453, co. 3, c.p.p.

La rinuncia va depositata nella cancelleria almeno tre giorni prima (interi e liberi ex art. 173 c.p.p.) della data dell’udienza preliminare e notificata al pubblico ministero e alla persona offesa (per evitare che si presentino inutilmente in udienza).

L’istanza per l’accesso al rito è atto personalissimo dell’imputato il quale può scegliere una simile soluzione, per esempio, per conseguire in tempi più celeri una pronuncia di assoluzione valida agli effetti civili in luogo di una pronuncia di proscioglimento.

Per il principio di tassatività delle impugnazioni, desumibile dall’art. 568 c.p.p., il provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio immediato non è impugnabile, non essendo previsto contro di esso alcun mezzo di gravame.

Del pari non impugnabile è il decreto che dispone il giudizio immediato, in quanto provvedimento di carattere endoprocessuale.

  1. Rito camerale e contraddittorio obbligatorio: artt. 420 e 420 bis c.p.p.

L’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato ovvero, ove questo non sia presente e l’assenza non sia dovuta a legittimo impedimento prontamente comunicato, di un difensore immediatamente reperibile.

Il verbale è redatto di regola in forma riassuntiva a meno che le parti chiedano l’adozione di strumenti tecnici di riproduzione fonografica o audiovisiva in ragione delle attività da compiere o il Giudice stesso disponga il ricorso a tali strumenti.

Il Giudice deve verificare preliminarmente la regolarità degli avvisi e delle citazioni, nonché la tempestività delle comunicazioni e notificazioni di avvisi e citazioni di cui deve disporre la rinnovazione ove ne dichiari la nullità.

Il Giudice deve anche verificare il motivo dell’eventuale assenza dell’imputato del difensore, non anche delle altre parti private ove siano state regolarmente citate (art. 23 disp. att. c.p.p.).

L’accertamento del motivo dell’assenza dell’imputato assume oggi rilievo decisivo ai fini della celebrazione del processo in absentia o della sospensione dello stesso, in conseguenza della soppressione del processo contumaciale ritenuto non adeguato a tutelare i diritti partecipativi dell’imputato riconosciuti in ambito europeo nonché le esigenze di natura pubblicistica dirette ad evitare processi inutili, tali essendo quelli nei confronti di soggetti di cui non si conoscano le generalità, la presenza sul territorio e l’esistenza in vita di talché la sanzione penale nei loro confronti rimanga ineseguita.

A riguardo, l’art. 420-bis c.p.p., come sostituito dalla L. 28 aprile 2014, n. 67 prevede tre diverse situazioni in cui l’iter processuale possa procedere in assenza dell’imputato: nel caso di certezza assoluta di conoscenza del processo e di rinuncia a comparire; nei casi di conoscenza presunta del processo e rinuncia implicita a comparire ovvero allorquando l’imputato abbia ricevuto personalmente l’avviso dell’udienza, abbia dichiarato o eletto domicilio o nominato un difensore di fiducia, abbia subito una limitazione della libertà personale, si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento o ad atti del medesimo; nei casi di allontanamento volontario dell’imputato, già comparso nell’aula di udienza, la quale denota una volontà contraria ad un intervento personale nel processo.

In tutti e tre i casi sopra considerati il Giudice dispone con ordinanza che si proceda in assenza dell’imputato e l’imputato assente è rappresentato dal difensore.

Il co. 4 dell’art. 420-bis c.p.p. prevede la revoca dell’ordinanza de qua, nell’ipotesi di comparizione dell’imputato; laddove poi, questi, comparendo, fornisca la prova della mancata conoscenza incolpevole della celebrazione del processo o dell’incolpevole ritardo della prova dell’impedimento oggettivo, il Giudice dispone il rinvio dell’udienza onde rimettere l’imputato nei termini per l’esercizio di taluni diritti e facoltà: in particolare per chiedere l’acquisizione di atti e documenti all’udienza preliminare ai sensi dell’art. 421 c.p.p., per formulare le richieste di prova in dibattimento ex art. 493 c.p.p. o chiedere la rinnovazione delle prove già assunte, per avanzare istanza in ordine ai riti alternativi ex art. 489 c.p.p..

Il co. 5 contempla un’ulteriore ipotesi di revoca dell’ordinanza in questione qualora risulti che il processo avrebbe dovuto essere sospeso ai sensi dell’art. 420-quater c.p.p. in quanto non sussistevano le precondizioni per la dichiarazione di assenza dell’imputato.

  1. Impedimento legittimo dell’imputato e del difensore: art. 420 ter c.p.p.

L’art. 420-ter c.p.p., introdotto dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, estende all’udienza preliminare le garanzie partecipative e difensive a suo tempo dettate per la sola fase dibattimentale dall’abrogato art. 489 c.p.p.

In particolare, il co. 1 prende in considerazione l’ipotesi in cui la mancata comparizione dell’imputato, anche se detenuto, risulti dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.

Il co. 2 contempla l’ipotesi in cui l’assoluta impossibilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore appaia semplicemente probabile.

Il co. 3 prevede la mancata comparizione alle udienze successive dell’imputato allorché ricorrano le condizioni del co. 1.

In presenza di tali situazioni il giudice dell’udienza preliminare, anche d’ufficio, rinvia la trattazione del processo e dispone che il provvedimento di fissazione della data della nuova udienza sia notificato all’imputato; mentre per tutti gli altri soggetti presenti o che devono considerarsi tali la lettura in udienza del provvedimento di rinvio sostituisce tutte le citazioni e gli avvisi.

L’impossibilità a comparire dell’imputato rilevante ai fini della norma in questione deve avere carattere assoluto: ed invero la norma precisa che tale impossibilità deve essere determinata da caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.

Il caso fortuito consiste in un evento impediente che se in astratto può ritenersi vincibile, in concreto diviene insuperabile per l’imprevedibilità del suo realizzarsi; la forza maggiore invece consiste in un evento impediente astrattamente prevedibile ma al quale l’imputato non ha potuto opporre resistenza. L’impedimento legittimo ha riguardo a situazioni o accadimenti diversi, non contrari a norme positive o principi di diritto, che rendano inesigibile la comparizione dell’imputato.

Il co. 5 dell’art. 420 ter c.p.p. stabilisce che il Giudice deve provvedere, a norma del co. 1, anche nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l’assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato.

Tale disposizione non si applica se l’imputato è assistito da due difensori e l’impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l’imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito.

La celebrazione dell’udienza in presenza di un legittimo impedimento prontamente comunicato è causa di nullità di ordine generale e di carattere assoluto, trattandosi di violazione del diritto di difesa in un caso in cui è prevista obbligatoriamente la partecipazione del difensore dell’imputato (artt. 178 lett. c e 179 co. 1 c.p.p.)

Quanto alle cause del legittimo impedimento, in mancanza di una tipizzazione normativa, l’individuazione delle stesse è rimessa alla valutazione giurisprudenziale della casistica di volta in volta rappresentata, sostanzialmente riconducibile al concomitante impegno professionale, allo stato di malattia, a situazioni gravi sotto il profilo morale, ad ostacoli che impediscano la presenza fisica del difensore.

  1. Sospensione del processo per assenza dell’imputato: art. 420 quater c.p.p.

L’art. 420-quater c.p.p., introdotto dalla L. n. 479/1999 e successivamente sostituito dalla L. n. 67/2014, disciplina l’ipotesi in cui v’è tendenziale certezza della mancata conoscenza dell’atto di citazione da parte dell’imputato, introducendo un’ipotesi di sospensione del processo tesa ad evitare che lo stesso prosegua mentre perdura la condizione di ignoranza incolpevole in capo all’imputato.

Ed invero la mancata comparizione dell’imputato non determinata da legittimo impedimento ex art. 420-ter c.p.p. né riconducibile alle ipotesi di assenza ex art. 420-bis c.p.p. o di nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, impone un rinvio preliminare dell’udienza al fine di tentare, questa volta a mezzo della polizia giudiziaria, la notificazione personale all’imputato dell’avviso di fissazione della nuova udienza e, ove questa non sia concretamente possibile per mancato reperimento dell’imputato, la sospensione del processo, salvo debba pronunciarsi una sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.

La sospensione del processo è disposta con ordinanza non impugnabile, attesa la mancata previsione espressa di mezzi di gravame ad essa relativi e il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, comportando una serie di conseguenze: la separazione della regiudicanda in processo cumulativo; l’inapplicabilità dell’art. 75, co. 3, c.p.p. con la connessa impermeabilità dell’azione civile risarcitoria, eventualmente esercitata in sede propria, rispetto alle sorti del processo penale; la sospensione del corso della prescrizione, sia pure per un periodo non superiore ad un quarto del termine massimo, elevabile o meno a seconda della sussistenza di ipotesi di recidiva; la trasmissione dell’ordinanza di sospensione e del decreto di fissazione dell’udienza preliminare alla polizia giudiziaria per l’inserimento nel Centro di elaborazione dati e l’inserimento del provvedimento sospensivo, per estratto, nel casellario giudiziale, l’uno e l’altro funzionali all’espletamento delle attività indicate dall’art. 161, co. 1, c.p.p. qualora l’imputato sia successivamente rintracciato.

Durante il periodo di sospensione del processo possono essere acquisite, su richiesta di parte e con le modalità stabilite per il dibattimento, le prove non rinviabili; mentre devono essere disposte con cadenza annuale, ovvero anche prima ove se ne ravvisino le esigenze, nuove ricerche finalizzate alla notifica dell’avviso all’imputato.

L’ordinanza di sospensione viene revocata: qualora l’imputato sia stato reperito o abbia nel frattempo nominato un difensore di fiducia; in ogni altro caso in cui vi è la certezza che l’imputato sia venuto a conoscenza del procedimento; qualora debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (per esempio, perché sia maturata la prescrizione del reato).

In caso di revoca dell’ordinanza di sospensione il Giudice fissa la nuova udienza disponendo che l’avviso sia notificato alle parti e ai loro difensori nonché comunicato al Pubblico ministero.

All’udienza fissata l’imputato può formulare richiesta di un rito alternativo.

A seguito della revoca dell’ordinanza sospensiva deve essere disposta l’eliminazione delle iscrizioni sopra indicate nel CED e nel casellario.

  1. Disciplina dell’udienza preliminare: art. 421 c.p.p.

L’art. 421 c.p.p. disciplina lo svolgimento ordinario dell’udienza preliminare prevedendo, nello specifico, come momenti necessari, l’accertamento relativo alla costituzione delle parti e la discussione, come momenti eventuali, l’ammissione di atti e documenti, le dichiarazioni spontanee dell’imputato e o l’interrogatorio dello stesso.

Nell’ambito dei documenti, per opinione unanime, devono includersi le prove documentali prodotte dalle parti ex art. 419, co. 2 c.p.p., i risultati dell’attività suppletiva di indagine ex art. 419, co. 3, c.p.p., i risultati delle investigazioni difensive prodotti ex art. 391-octies c.p.p.; nell’ambito degli atti, le memorie e le consulenze di parte. Una volta iniziata la discussione, non sono più ammesse produzioni.

Ad avviso di chi scrive le dichiarazioni spontanee possono precedere la sottoposizione all’interrogatorio in quanto con esse l’imputato fornisce la propria versione dei fatti di tal che attraverso l’interrogatorio può rispondere alle domande che su di essi vertano in una visione più compiuta.

L’accertamento preliminare è quindi seguito, eventuali la produzione di atti e documenti, dall’esposizione del Pubblico ministero, avente ad oggetto i risultati delle indagini e gli elementi ulteriori su cui si fonda la richiesta di rinvio a giudizio, dagli interventi autodifensivi dell’imputato, anch’essi eventuali, nonché dalle conclusioni dei difensori di parte civile, responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria e imputato; con possibilità di replica una sola volta per tutte le parti in causa.

  1. Incidente probatorio (Corte Cost. 10 marzo 1994 n. 77)

L’incidente probatorio, originariamente previsto nella fase delle indagini preliminari, per l’assunzione delle prove non rinviabili al dibattimento è stato esteso dalla Corte Costituzionale alla fase dell’udienza preliminare (Corte Cost. 10 marzo 1994 n. 77): ha osservato, infatti, la Consulta come, sotto il profilo sistematico, l’interruzione nell’acquisibilità di prove non rinviabili apparisse nell’impianto codicistico in contraddizione con la continuità che il Legislatore ha assicurato all’attività di indagine prevedendo che essa possa proseguire anche dopo la richiesta di rinvio a giudizio (art. 419, co. 3, c.p.p.) e dopo il decreto che dispone il giudizio (art. 430 c.p.p.) ben potendo darsi che per taluno degli elementi in tal modo acquisiti insorgano situazioni di non differibilità della prova previste dall’art. 392 c.p.p.

Su tali assunti la Corte ha concluso che la preclusione dell’incidente probatorio nella fase dell’udienza preliminare si rivelava priva di ogni ragionevole giustificazione, lesiva del diritto delle parti alla prova, nonché dei diritti di azione e di difesa.

Ne è conseguita un’estensione dell’ambito di operatività dell’istituto.

  1. Integrazione investigativa: art. 421 bis c.p.p.

L’art. 421-bis c.p.p., introdotto dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, conferisce al Giudice dell’udienza preliminare il potere di ordinare al Pubblico ministero l’integrazione delle indagini preliminari, qualora ritenga di non poter decidere allo stato degli atti e dichiarare chiusa la discussione a cagione della incompletezza delle indagini stesse: in siffatta ipotesi il Giudice dell’udienza preliminare può indicare al Pubblico ministero le ulteriori indagini da espletare, fissare il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza nonché dare comunicazione della propria ordinanza al Procuratore generale perché disponga, ove ne reputi l’opportunità, l’avocazione delle indagini.

La previsione, nell’individuare il presupposto per la sua applicazione, allude al principio della tendenziale completezza del materiale raccolto nella fase delle indagini preliminari: l’incompletezza delle indagini non può tuttavia essere intesa in termini assoluti ma va necessariamente correlata al parametro decisorio cui è uniformata l’adozione del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, vale a dire l’idoneità degli elementi probatori raccolti a sostenere l’accusa in giudizio.

Qualora il supplemento investigativo disposto non sortisca il fine perseguito di introdurre nuovi apporti conoscitivi funzionali alla decisione, non è da escludere che il Giudice, prima di invitare le parti alle conclusioni, possa ordinare una nuova integrazione o ricorrere all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio.

Ad avviso di chi scrive, nell’ipotesi in cui il quadro conoscitivo rimanga lacunoso e pertanto inidoneo a fondare e sostenere l’accusa in giudizio, l’unico esito decisorio possibile dovrebbe essere il proscioglimento ex art. 425 c.p.p., «anche al grado zero essendo possibile decidere: actore non probante reus absolvitur» (Cordero).

  1. Integrazione probatoria d’ufficio: art. 422 c.p.p.

L’art. 422 c.p.p. conferisce al Giudice dell’udienza preliminare il potere di acquisire ex officio le prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere, ancorandone l’esercizio alla impossibilità di decidere allo stato degli atti.

Il profilo della decisività va raccordato con le modifiche apportate dalla L. n. 479/1999 alla formulazione dell’art. 425, co. 3, c.p.p. che disciplina le condizioni della pronuncia liberatoria prevedendole anche in chiave di insufficienza e contraddittorietà degli elementi acquisiti.

Ne consegue che la decisività debba essere pronosticata anche in vista della possibilità di apportare elementi significativi di incertezza o contrarietà nel quadro complessivo delle risultanze probatorie.

Il punto oggetto di maggiore attenzione ermeneutica riguarda il tenore letterale della norma in questione nella parte in cui prevede che l’attività di integrazione probatoria d’ufficio possa essere disposta dal Giudice dell’udienza preliminare quando non provveda a norma del co. 4 dell’art. 421 c.p.p., in quanto risulti impossibile decidere allo stato degli atti, ovvero a norma dell’art. 421-bis c.p.p., indicando al Pubblico ministero ulteriori indagini da compiere in ragione della incompletezza del quadro gnoseologico.

L’opinione prevalente in dottrina è nel senso di ritenere che i due poteri non siano tra loro alternativi, ma in rapporto di “sussidiarietà interna” ben potendo il Giudice dell’udienza preliminare esercitare prima il potere concesso ex art. 421-bis c.p.p. e poi quello di cui all’art. 422 c.p.p. secondo uno sviluppo circolare che esclude scelte rigide (Scalfati).

Quanto alla tipologia dei mezzi di prova suscettivi di essere assunti, si è acutamente osservato come la stessa non possa essere considerata tassativa nella misura in cui la norma procede ad una elencazione per soggetti da correlare alle acquisizioni che implicano il coinvolgimento di essi: ad esempio per i testimoni, la citazione può essere finalizzata non solo alla deposizione testimoniale ma anche alla ricognizione o al confronto.

La conseguenza di tale impostazione è che il Giudice potrà assumere ogni prova di cui appaia evidente la decisività in vista del conseguimento di un risultato orientato al proscioglimento dell’imputato.

Per quanto concerne le modalità di assunzione delle prove dichiarative disposte, l’audizione e l’interrogatorio sono condotti dal Giudice; eventuali domande di parte, nell’ordine consueto previsto dall’art. 421 c.p.p., sono filtrate dallo stesso Giudice.

In ogni caso l’imputato può chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, su richiesta di parte, il Giudice può disporre che questo avvenga con le forme dell’esame incrociato.

Terminata la fase di acquisizione delle prove il Giudice invita le parti alla formulazione delle conclusioni.

  1. Contestazioni suppletive: art. 423 c.p.p.

L’articolo 423 c.p.p. disciplina le contestazioni suppletive all’udienza preliminare statuendo che: qualora il fatto risulti diverso da quello descritto nel capo di incolpazione o si riscontri una circostanza aggravante o si evidenzi un reato in concorso formale o in continuazione con quello per cui si procede il Pubblico ministero modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente o al suo Difensore, se il primo è assente; qualora emerga a carico dell’imputato un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio avanza istanza al Giudice affinché autorizzi la nuova contestazione se l’imputato acconsente, con la precisazione che il Giudice non ha il potere discrezionale di negare l’autorizzazione una volta acquisito il consenso dell’imputato.

La ratio della norma va individuata nella necessità della corrispondenza tra l’imputazione con quanto emerso nel corso della udienza preliminare, ovvero acquisito nel corso delle indagini preliminari ma non ancora valutato nelle sue implicazioni sull’imputazione prima dell’udienza preliminare.

Quanto alle locuzioni individuate dalla norma: si intende “fatto diverso” non solo un fatto che integri una imputazione diversa, restando esso invariato, ma anche un fatto che presenti connotati materiali difformi da quelli descritti nella contestazione originaria, rendendo necessaria una puntualizzazione nella ricostruzione degli elementi essenziali del reato; “fatto nuovo”, un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato, ossia un episodio storico che non si sostituisce, ma che eventualmente si aggiunge a quello oggetto dell’imputazione originaria e lo affianca quale autonomo thema decidendum trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo.

  1. Esiti dell’udienza preliminare: art. 424 c.p.p.

Ai sensi dell’art. 424, co. 1, c.p.p. gli esiti alternativi dell’udienza preliminare sono la sentenza di non luogo a procedere e il decreto che dispone il giudizio, l’uno con efficacia tendenzialmente definitiva, attesa la possibilità di revoca, l’altro con efficacia propulsiva, introducendo la successiva fase del giudizio di primo grado.

Il Giudice, secondo il disposto dell’art. 424 c.p.p., dà immediata lettura del provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare, con equivalenza di tale lettura alla notificazione per la parte presenti.

Per le parti non presenti occorre distinguere: l’art. 429 c.p.p. prevede che il decreto che dispone il giudizio sia notificato all’imputato comunque non presente al momento della lettura del provvedimento, come pure alla persona offesa non presente alla lettura del provvedimento; mentre l’art. 133 disp. att. c.p.p. dispone la notifica alle parti private, diverse dall’imputato, non presenti all’udienza preliminare, salva – deve ritenersi – la presenza del difensore di esse alla lettura del provvedimento, in ragione del criterio di domiciliazione legale di tali soggetti processuali presso il procuratore speciale ai sensi dell’art. 100 c.p.p.

Il provvedimento viene quindi immediatamente depositato in cancelleria con facoltà delle parti di estrarne copia.

Quanto alla stesura della motivazione, che ovviamente riguarda unicamente il provvedimento proscioglitivo, ove non sia possibile la redazione contestuale dei motivi, la norma riconosce al Giudice il potere di provvedere non oltre il trentesimo giorno.

Per quanto riguarda il termine di impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, sulla base di una interpretazione coordinata dell’art. 424 c.p.p. e dell’art. 585 c.p.p., co. 2, il termine per impugnare deve farsi decorrere, ove il dispositivo e la contestuale motivazione siano letti in udienza, da tale momento, secondo la previsione di cui all’art. 585, co. 2, lett. b), c.p.p., equivalendo la lettura a notificazione per le parti presenti o ritenute tali.

Ove il Giudice dell’udienza preliminare, nel dare lettura in udienza – alla presenza delle parti – del solo dispositivo della sentenza, opti per il regime della motivazione differita e questa sia depositata, così come previsto dall’art. 424 c.p.p., co. 4, nei trenta giorni successivi alla pronuncia, è dalla scadenza di tale termine legale, non prorogabile, che deve farsi decorrere in via automatica, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., co. 2, lett. c), prima parte, il termine iniziale per proporre impugnazione.

Ovviamente la necessità della comunicazione o della notificazione di tale avviso sussiste allorché il Giudice non rispetti il termine, meramente ordinatorio, previsto dalla legge per il deposito della motivazione differita, e ciò al fine di garantire l’effettiva conoscenza del provvedimento, con la conseguenza che il termine d’impugnazione deve decorrere, in ossequio al disposto dell’art. 585 c.p.p., co. 2, lett. c), ultima parte, dal giorno in cui è stata eseguita detta comunicazione o notificazione.

Coerentemente con la ratio che informa il sistema delle impugnazioni, la comunicazione o la notifica dell’avviso di deposito va fatta, a norma dell’art. 585 c.p.p., co. 2, lett. d), anche al Procuratore generale presso la Corte d’appello, che altrimenti non avrebbe la possibilità di proporre impugnazione.

  1. Decreto che dispone il giudizio: art. 429 c.p.p.

Il decreto che dispone il giudizio è atto di impulso processuale con il quale il Giudice dell’udienza preliminare determina il passaggio alla fase dibattimentale del giudizio di primo grado e nel contempo opera la vocatio in iudicium, convocando l’imputato davanti all’Autorità giudiziaria che dovrà giudicarlo nella determinata causa.

Il carattere strettamente processuale dell’atto in questione è confermato dalla sua struttura, limitata alla mera enunciazione delle fonti di prova (lett. d) dell’art. 429 c.p.p.) e dalla sua inoppugnabilità.

Quanto ai requisiti del decreto, l’art. 429 c.p.p. prescrive che il provvedimento in questione contenga:

  1. a) le generalità dell’imputato e le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l’indicazione dei difensori;
  2. b) l’indicazione della persona offesa dal reato qualora risulti identificata;
  3. c) l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge;
  4. d) l’indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono;
  5. e) il dispositivo, con l’indicazione del Giudice competente per il giudizio;
  6. f) l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione, con l’avvertimento all’imputato che non comparendo sarà giudicato in contumacia;
  7. g) la data e la sottoscrizione del Giudice e dell’ausiliario che l’assiste.

L’incerta identificazione dell’imputato, come anche la mancanza o l’insufficiente indicazione dei requisiti di cui alle lett. c) ed f), è sanzionata con la previsione di una nullità speciale.

La tesi della nullità assoluta è senz’altro condivisibile per quanto concerne la vocatio in ius traducendosi la mancanza o insufficiente indicazione dei requisiti di cui alla lett. f), nell’omessa citazione dell’imputato ex art. 178 lett. c).

L’indicazione del fatto in forma chiara e precisa, proprio per l’essenziale e imprescindibile funzione di garanzia rivestita andrebbe presidiata con una nullità a regime intermedio o, come sostenuto da autorevole dottrina, assoluta.

Alla nullità del decreto che dispone il giudizio deve necessariamente seguire la restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare non rientrando fra i poteri del Giudice dibattimentale la sua rinnovazione; laddove ad essere nulla sia, invece, la notifica del medesimo decreto, non si fa luogo ad una regressione del processo bensì unicamente alla rinnovazione della notificazione ex art. 143 disp. att. c.p.p.

Neppure il mancato rispetto del termine di comparizione (“almeno 20 giorni prima dell’udienza”) è idoneo ad incidere sulla validità del decreto che dispone il giudizio, determinando il rinvio dell’udienza ove tempestivamente eccepito ai sensi dell’art. 491 c.p.p..

  1. Sentenza di non luogo a procedere: artt. 425 e 426 c.p.p.

La sentenza di non luogo a procedere rappresenta l’epilogo favorevole per l’imputato perché con essa viene meno la qualità di imputato (art. 60, co. 2, c.p.p.) e perdono immediatamente efficacia le eventuali misure cautelari.

L’art. 425 c.p.p. è articolato in 5 commi, di contenuto eterogeneo.

La norma impone l’emissione della sentenza di non luogo a procedere, in primo luogo nei casi di improcedibilità, qualora cioè il Giudice dell’udienza preliminare verifichi l’esistenza di una causa di estinzione del reato o di una causa per la quale l’azione penale non poteva essere iniziata o non deve essere proseguita

Il co. 1 impone l’emissione della sentenza di non luogo a procedere anche quando “[…] il fatto non è previsto dalla legge come reato […]”: ovvero il fatto storico non sia riconducibile ad una fattispecie astratta di reato in quanto integri un illecito amministrativo.

Il Giudice dell’udienza preliminare poi è tenuto ad emettere la sentenza di non luogo a procedere […] quando risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa […]”.

La formula “il fatto non sussiste” si riferisce, come noto, all’assenza dell’elemento oggettivo del reato ; la formula “il fatto non costituisce reato” si riferisce alla presenza di una causa di giustificazione che elide l’antigiuridicità del fatto di reato ovvero all’assenza dell’elemento soggettivo.

Diverso è il parametro di giudizio di cui all’art. 425, co. 3, c.p.p.

Quanto al co. 3 il proscioglimento è pronunciabile dal Giudice dell’udienza preliminare anche quando gli elementi acquisiti siano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.

Secondo il prevalente indirizzo della giurisprudenza, è inibito il proscioglimento in tutti i casi in cui le fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte o, comunque, ad essere diversamente rivalutate.

Senonché a riguardo merita di essere condivisa l’opinione di chi (Semeraro) evidenzia come le soluzioni alternative e aperte, nel momento in cui le fonti di prova diventano prova in dibattimento, non possono condurre alla condanna dell’imputato poiché la colpevolezza deve essere accertata ed affermata al di là di ogni ragionevole dubbio e quindi sulla scorta di una sola possibile ricostruzione del fatto, con la conseguenza che ove la prognosi sulla possibilità di successo dell’accusa, sia infausta, risultando prevedibile una assoluzione ex art. 530, co. 2, c.p.p., il Giudice dovrebbe emettere sentenza ex art. 425, co. 3, c.p.p. e non disporre il giudizio: inutile essendo la prosecuzione del processo.

Il penultimo co. dell’art. 425 c.p.p. preclude l’emissione della sentenza di non luogo a procedere qualora il Giudice ritenga che dal proscioglimento debba seguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

Il co. 5 dell’art. 425 c.p.p. stabilisce, infine, l’applicabilità delle disposizioni, in materia di falsità di documenti, contenute nell’articolo 537 c.p.p.: il Giudice dell’udienza preliminare deve, in altre parole, dichiarare la falsità quando essa sia accertata sulla base degli atti, anche a seguito di proscioglimento.

Sotto il profilo formale, ovvero per ciò che concerne i requisiti della sentenza di non luogo a procedere, l’art. 426 c.p.p. indica analiticamente gli elementi che costituiscono la sentenza di non luogo a procedere.

Tali elementi possono essere sostanzialmente raggruppati in tre categorie: in primo luogo, l’intestazione rappresentata dalla formula “in nome del Popolo italiano”, dall’indicazione dell’autorità che ha pronunciato la sentenza, delle generalità dell’imputato o delle altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché dall’indicazione delle generalità delle altre parti private e infine dall’imputazione, cioè dalla contestazione degli addebiti mossi; in secondo luogo, dalla motivazione, cioè dall’esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, cioè delle ragioni storiche e dei percorsi logico giuridici che stanno a fondamento della pronuncia; da ultimo, il dispositivo, con le indicazioni degli articoli di legge applicati, la data e la sottoscrizione del Giudice.

La disposizione contiene poi due commi che sono la ragione della introduzione della stessa: l’uno attiene alla sottoscrizione della sentenza in caso di impedimento del Giudice, in ragione del carattere monocratico dell’organo e della inapplicabilità di quanto previsto per le decisioni dibattimentali di natura collegiale; l’altro ai motivi di nullità che devono essere specifici per il principio di tassatività.

Nel primo caso è previsto che a sottoscrivere la sentenza in caso di impedimento, che chiaramente deve essere assoluto, sia il Presidente del tribunale.

Nel secondo caso è prevista la nullità per difetto di motivazione, per mancanza o incompletezza del dispositivo, per esempio per mancanza della formula di proscioglimento, e per assenza della sottoscrizione del Giudice.

  1. Azione penale temeraria: art. 427 c.p.p.

L’art. 427 c.p.p. disciplina l’ipotesi dell’azione penale “temeraria”, prevedendo a carico del querelante, per l’ipotesi di assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto o per non averlo egli commesso, l’eventualità di condanna alle spese del procedimento anticipate dallo Stato, nonché alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato e dal responsabile civile, in caso di costituzione di parte civile, e la condanna al risarcimento del danno.

La ratio sottesa a tale norma è quella di addossare al querelante la responsabilità in ordine alla opportunità della presentazione, appunto temeraria, della querela.

La possibilità del Giudice di condannare il querelante alle sanzioni civili in favore dell’imputato prosciolto postula una domanda dello stesso imputato e, per il risarcimento del danno, l’accertamento della colpa grave.

Le spese possono essere compensate quando ricorrono giusti motivi.

Se il reato è estinto per remissione della querela le spese devono essere pagate dal remittente a meno che non sia stato diversamente pattuito tra le parti.

Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere (perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto) che, in relazione a reato procedibile a querela della persona offesa, abbia deciso sulle spese e i danni, il querelante, l’imputato e il responsabile civile possono proporre impugnazione a norma dell’art. 428.

  1. Impugnazione: art. 428 c.p.p.

Nella versione antecedente le modifiche introdotte dall’articolo 4 della Legge n. 46/2006 l’art. 428 c.p.p. prevedeva che, salvo quanto disposto dall’articolo 593, co. 3, c.p.p., la sentenza di non luogo a procedere potesse essere gravata dall’appello del Procuratore della Repubblica, del Procuratore Generale e dell’imputato.

La sentenza pronunciata in grado di appello era poi ricorribile per cassazione dall’imputato e dal Procuratore generale (articolo 428, co. 8, c.p.p.) e il relativo procedimento si svolgeva con le forme camerali previste dall’art. 611 c.p.p. (art. 428, co. 9, c.p.p.).

Il ricorso per cassazione era proponibile anche per saltum a norma dell’articolo 569 c.p.p. richiamato dall’articolo 428, co. 4, c.p.p., con conseguente conversione in appello ex art. 580 c.p.p. nel caso in cui una delle parti avesse proposto appello e non vi avesse rinunciato entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso per cassazione.

Nel 2006, come noto, a seguito della riforma operata con L. 20 febbraio 2006 n. 46 la sentenza di non luogo a procedere è diventata inappellabile.

Secondo quanto previsto dalla nuova formulazione, contro la stessa possono proporre ricorso per cassazione:

  1. a) il Procuratore della Repubblica;
  2. b) il Procuratore generale;
  3. c) la persona offesa costituita parte civile, non anche la persona danneggiata dal reato che non sia il soggetto passivo del medesimo, in quanto l’impugnazionede quaè esclusivamente destinata alla tutela degli interessi penalistici della parte lesa;
  1. d) la persona offesa dal reato, nei soli casi di nullità previsti dall’ 419, co. 7, c.p.p. vale a dire quando sia omessa o compiuta tardivamente la notificazione degli atti introduttivi dell’udienza preliminare;
  1. e) l’imputato, salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso.

Quanto ai motivi d’impugnazione, la Cassazione deve verificare se il Giudice dell’udienza preliminare ha utilizzato correttamente il suo potere di prognosi in merito al possibile sviluppo del processo.

La decisione è assunta in camera di consiglio con le forme previste dall’articolo 127 c.p.p. e può essere: di inammissibilità o di rigetto del ricorso, con conseguente conferma della sentenza di non luogo a procedere, ovvero di annullamento, con rinvio, con trasmissione degli atti, ex art. 623, co. 1, lett. d), c.p.p., al medesimo tribunale, che dovrà investire un Giudice dell’udienza preliminare diverso da quello che ha pronunciato la sentenza annullata; ovvero senza rinvio, ad esempio qualora il fatto non sia più previsto dalla legge come reato.

Nel primo caso, ovvero di annullamento con rinvio, considerato che il Giudice di rinvio ha gli stessi poteri decisori che aveva il Giudice la cui sentenza è stata annullata, deve ritenersi che il Giudice sia in ogni caso tenuto a celebrare una nuova udienza preliminare.

  1. Efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere

Una volta scaduti i termini per impugnare o in caso di rigetto del gravame proposto, la sentenza di non luogo a procedere si consolida e determina una peculiare forma di giudicato che si caratterizza per una intensità minore rispetto a quella tipica del ne bis in idem.

La sentenza di non luogo a procedere non impugnata o non più soggetta ad impugnazione, ancorché non sia ricompresa tra quelle assistite dal giudicato formale ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p., determina una efficacia preclusiva rebus sic stantibus e, pertanto, si risolve nel divieto per il Giudice di riesaminare la regiudicanda sulla base del medesimo compendio probatorio già delibato.

  1. Revoca della sentenza di non luogo a procedere: art. 434 ss c.p.p.

La revoca della sentenza di non luogo a procedere è un istituto tipico del nuovo processo penale attraverso il quale si mira a superare il vincolo costituito da una sentenza di non luogo a procedere emessa in sede di udienza preliminare quando sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova che da sole o unitamente a quelle già acquisite possano determinare il rinvio a giudizio del già prosciolto.

L’istituto si sottrae a un inquadramento dogmatico rigoroso: ed invero, gli orientamenti dottrinali prevalenti oscillano tra la configurazione della revoca alla stregua di un’impugnazione straordinaria (Lavarini) e la ricostruzione dell’istituto come rimedio sui generis estraneo all’area tipica delle impugnazioni (Kostoris) ovvero, secondo un’impostazione che si ritiene di condividere, come “atto ricognitivo” del venir meno dei presupposti che impediscono di esercitare di nuovo l’azione penale (Dani).

Presupposto della richiesta di revoca è che il Pubblico ministero sia in grado di prospettare una significativa evoluzione contra reum del quadro probatorio in ragione della sopravvenienza o della scoperta di nuove fonti di prova che sole o unitamente a quelle già acquisite possano determinare il rinvio a giudizio del soggetto nei cui confronti è stata emessa la sentenza di non luogo a procedere divenuta inoppugnabile.

Sono da considerarsi “sopravvenute” o “scoperte” le fonti di prova che si sono rese disponibili dopo la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, o che, pur essendo disponibili prima di quel momento, non sono state acquisite durante le indagini preliminari o nel corso dell’udienza preliminare, e “nuove” le fonti di prova alle quali vada riconosciuto un valore persuasivo diverso o più completo rispetto a quelle già acquisite.

Oggetto della revoca è la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione (SS.UU. 9 marzo 2000, n. 8), qualunque sia la formula terminativa adottata (Dani, Kostoris), con esclusione delle sentenze che, per le loro intrinseche caratteristiche, non precludono un’autonoma riattivazione delle indagini preliminari (es. sentenza di proscioglimento per morte del reo – art. 69, co. 2, c.p.p. – o per errore di persona – art. 68 c.p.p.)

La richiesta di revoca deve essere indirizzata al Giudice per le indagini preliminari – quale organo giurisidizionale e non quale persona fisica che ha emesso la sentenza, ricorrendo altrimenti un’ipotesi di incompatibilità per atti compiuti nel procedimento ex art. 34 c.p.p.

Il Pubblico ministero è il solo legittimato alla richiesta di revoca mentre nessuna titolarità è riconosciuta in tal senso all’ex imputato, per il quale per vero potrebbe risultare ingiustificata la preclusione potendo egli avere interesse ad una formula terminativa più favorevole.

La delibazione sulla richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere consta di un esame inaudita altera parte, sui profili di ammissibilità e di un vaglio sulla fondatezza della domanda, nel contraddittorio delle parti con le forme camerali di cui all’art. 127 c.p.p.

Il procedimento in camera di consiglio può esitare o nel rigetto della domanda del Pubblico ministero, ricorribile per cassazione ex art. 437 c.p.p., ovvero nell’accoglimento e nella conseguente revoca della sentenza di non luogo a procedere.

In tale ultimo caso due sviluppi sono possibili: qualora il Pubblico ministero abbia richiesto il rinvio a giudizio, viene fissata l’udienza preliminare con relativo avviso ai presenti e notifica per gli altri.

Qualora il Pubblico Ministero abbia richiesto la riapertura delle indagini, viene fissato un termine per il loro compimento nella misura massima e improrogabile di sei mesi: la previsione di questo termine vale a differenziare l’istituto in esame dalla riapertura delle indagini a seguito di archiviazione dove peraltro l’autorizzazione ad indagare concessa con decreto motivato inaudita altera parte è prevista anche quando non siano emersi nuovi elementi di prova ma anche semplicemente nuovi piani di indagine scaturenti dalla diversa interpretazione degli elementi acquisiti.

Viene da ultimo in considerazione, nella previsione dell’art. 437 c.p.p., l’ipotesi in cui l’ordinanza del Giudice sia di inammissibilità ovvero di rigetto.

La disposizione in parola ne prevede l’eventuale impugnazione con ricorso per cassazione riconoscendo la legittimazione in tal senso esclusivamente al pubblico ministero.

Il ricorso, a seguito della novella operata con legge 26 marzo 2001 n. 128, è ammesso solo in tre casi: inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della stessa (art. 606, co. 1, lett. b) c.p.p.); mancata assunzione di una prova decisiva (art. 606, co. 1, lett. d); mancanza o manifesta illogicità della motivazione che risulti dal testo del provvedimento impugnato (art. 606, co. 1, lett. e).

Una volta proposta l’impugnazione alla Corte di cassazione è riconosciuto il potere di decidere anche nel merito, ossia di valutare la richiesta di revoca anche sotto il profilo della novità, della sopravvenienza o scoperta delle fonti di prova indicate nei limiti in cui la motivazione risulti sul punto affetta da vizi logico giuridici.

Sotto il profilo squisitamente processuale, ove la Corte di cassazione accolga il ricorso, ne dispone la trasmissione degli atti al Giudice per le indagini preliminari che ha pronunciato il provvedimento il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento.

  1. Indagini integrative: art. 430 c.p.p.

L’art. 430 c.p.p. prevede che le parti processuali, a conclusione della udienza preliminare, possano svolgere un’attività integrativa di indagine finalizzata alla formulazione di richieste al Giudice del dibattimento, con esclusione degli atti per il cui compimento sia prevista la presenza dell’imputato o del suo difensore.

Il co. 2 dispone che la documentazione della suddetta attività sia immediatamente depositata nella segreteria del Pubblico ministero, con facoltà delle altre parti di prenderne visione e di estrarne copia.

L’articolo 18 del regolamento di esecuzione del codice di procedura penale, stabilisce poi che la segreteria del Pubblico ministero dia avviso senza ritardo ai difensori del deposito della documentazione relativa all’attività integrativa di indagine prevista dall’articolo 430 c.p.p.

L’opinione prevalente nella giurisprudenza di legittimità esclude che si possa interpretare in senso restrittivo l’inciso “ai fini delle proprie richieste al Giudice del dibattimento”, così circoscrivendo l’attività integrativa di indagine entro i termini di deposito delle liste testimoniali o di richieste istruttorie in limine litis e assume invece che l’attività integrativa di indagine non soffrirebbe limitazioni temporali, e sarebbe esercitabile nel corso di tutto il dibattimento.

L’opzione interpretativa in questione troverebbe conforto nell’art. 430-bis c.p.p. (introdotto dalla L. 16 dicembre 1999, art. 25) la cui lettura consentirebbe di affermare che, al di fuori dei vincoli in essa stabiliti, sarebbe possibile svolgere attività integrativa di indagine nel corso di tutto il dibattimento.

Per quanto concerne l’ambito di operatività delle indagini integrative, la costante giurisprudenza esclude dal novero dell’attività integrativa degli “atti comunque passibili di avere un’efficacia probatoria”, e in particolare non solo gli atti in cui la partecipazione del difensore è obbligatoria (art. 364 c.p.p.), ma anche quelli ai quali ha diritto di assistere senza preavviso (art. 365 c.p.p.).

Ulteriori limiti, impliciti, sono stati individuati nella pertinenza dell’attività posta in essere al quadro di riferimento delineato dal decreto che dispone il giudizio e nell’impossibilità di ricomprendere i c.d. atti irripetibili, poiché hanno efficacia piena e diretta nel giudizio e non possono essere inquadrati fra quelli compiuti “ai fini delle richieste al Giudice del dibattimento”.

Per ciò che concerne i limiti soggettivi, individuati dalla dottrina (Siracusano), si concorda nel ritenere che al compimento delle indagini integrative non potrebbe procedere la polizia giudiziaria di propria iniziativa (ma solo su delega del pm), non essendo questa legittimata alla formulazione di richieste istruttorie al Giudice del dibattimento.

Sotto il profilo dell’utilizzabilità dei risultati conseguiti nel corso delle indagini integrative il Legislatore ha posto due regole ben precise: con la prima ha stabilito che la documentazione relativa all’attività dell’art. 430 c.p.p., co. 1 debba essere “immediatamente” depositata nella segreteria del Pubblico ministero, con facoltà delle parti di prenderne visione e di estrarne copia.

In ordine alle conseguenze derivanti dal mancato rispetto di quanto stabilito dall’art. 430 c.p.p., la giurisprudenza ritiene che la violazione dell’art. 430 c.p.p., co. 2, sia priva di specifica sanzione processuale e che sia demandato esclusivamente al Giudice del merito, accertata la violazione della norma, dare le disposizioni necessarie perché la difesa sia reintegrata nelle sue prerogative.

La seconda limitazione in tema di indagini integrative è dettata dall’art. 430-bis c.p.p. che al fine di garantire la genuinità della prova orale rappresentativa, preclude al Pubblico ministero alla Polizia giudiziaria e al Difensore di assumere informazioni da soggetti compresi nelle liste testimoniali presentate a norma dell’art. 468 c.p.p. o ammessi d’ufficio ai sensi dell’art. 507 c.p.p., ovvero indicati nella richiesta di incidente probatorio ex art. 392 c.p.p. oppure qualora gli stessi siano stati citati dal Giudice in sede di udienza preliminare ex art. 422 c.p.p., co. 2.

L’inosservanza del divieto è sanzionata con l’inutilizzabilità delle dichiarazioni illegittimamente di carattere speciale, assoluto e patologico, attenendo ad un divieto probatorio che impedisce di fondare sull’atto viziato qualunque provvedimento nei confronti di chiunque.

  1. Doppio fascicolo

Una delle novità più significative dell’attuale codice di rito è rappresentata dal c.d. sistema del doppio fascicolo, vale a dire dalla previsione di due distinti fascicoli processuali, quello del Pubblico ministero e quello del dibattimento, quale riflesso della distinzione, di marca tipicamente accusatoria, tra la fase delle indagini e la fase del dibattimento.

La destinazione degli atti processuali in due fascicoli separati mira a preservare il Giudice del dibattimento da forme di condizionamento che inevitabilmente scaturirebbero dalla conoscenza di atti compiuti unilateralmente dalle parti in fasi processuali anteriori al dibattimento.

A seguito delle modifiche apportate con la L. 16 dicembre 1999, n. 479, l’art. 431, co. 1, c.p.p. prevede infatti che il fascicolo per il dibattimento venga formato dal Giudice dell’udienza preliminare, nel contraddittorio delle parti, subito dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio o, qualora una di esse ne faccia richiesta, nel corso di una successiva udienza, da fissarsi non oltre il termine di quindici giorni.

La previsione che le operazioni di formazione del fascicolo avvengano nel contraddittorio delle parti assume, anche in ragione della possibilità di concordare acquisizioni probatorie ai sensi del co. 2 dell’art. 431 c.p.p., un notevole rilievo quale momento di scelta delle strategie processuali, sia dell’accusa che della difesa: in quest’ottica, che si ritiene pienamente di condividere, la violazione delle modalità previste dall’art. 431 c.p.p., condizionando le scelte difensive che si ripercuotono sul dibattimento non può che integrare una nullità generale a regime intermedio ex art. 178 lett. c), c.p.p. la cui declaratoria in sede di giudizio importa la restituzione degli atti al Giudice dell’udienza preliminare perché proceda di nuovo e correttamente alla sua formazione in udienza e nel contraddittorio fra le parti; al Giudice del dibattimento infatti non può essere consentito di disporre la rinnovazione, dovendo egli restare estraneo alla formazione di quel fascicolo che deve filtrare le sue conoscenze all’inizio del dibattimento.

  1. Il contenuto tassativo e quello concordato del fascicolo per il dibattimento: art. 431 c.p.p.

Secondo l’elencazione tassativa di cui all’art. 431 c.p.p. nel fascicolo per il dibattimento confluiscono:

  1. a) gli atti relativi alla procedibilità dell’azione penale (es. querela) e all’esercizio dell’azione civile (es. la dichiarazione di costituzione di parte civile)
  2. b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria;
  3. c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal Pubblico ministero e dal Difensore;

L’Autorevole Consesso (Cass. Pen., SS.UU., sentenza 18 dicembre 2006, n. 41281) ha sottolineato che “ciò che giustifica l’attribuzione della qualità di non ripetibilità ad un atto della polizia giudiziaria, del pubblico ministero o del difensore è la caratteristica di non essere riproducibile in dibattimento.

Ma ciò non è sufficiente: nel bilanciamento di interessi tra la ricerca della verità nel processo e sacrificio del principio costituzionale relativo alla formazione della prova è necessario che l’atto abbia quelle caratteristiche di genuinità e affidabilità che possono derivare soltanto da quell’attività di immediata percezione cristallizzata in un verbale che inevitabilmente andrebbe dispersa ove si attendesse il dibattimento

  1. d) i documenti acquisiti all’estero mediante rogatoria internazionale e i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità;
  2. e) i verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera d), assunti all’estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana;
  3. f) i verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio: il cui inserimento costituisce la logica conseguenza del regime di giurisdizionalità anticipata nell’ambito del quale gli stessi sono formati.
  4. g) il certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell’ 236 c.p.p., vale a dire la documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici e presso gli uffici di sorveglianza, le sentenze irrevocabili di qualunque Giudice italiano e le sentenze straniere riconosciute, ai fini del giudizio sulla personalità dell’imputato e della persona offesa se il fatto per il quale si procede deve essere valutato in relazione al comportamento o alle qualità morali di questa.
  1. h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove.

L’art. 431, co. 2, c.p.p., modificato dall’art. 26 L. 16 dicembre 1999, n. 479 stabilisce che “le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, nonché della documentazione relativa alla attività di investigazione difensiva».

Con il che si consente di introdurre nel fascicolo per il dibattimento, sin dalla fase della sua formazione atti, per loro natura, non riconducibili a quelli tipici contemplati dal co. 1 della medesima disposizione.

Temporalmente, l’accordo può intervenire «immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio» o nella «nuova udienza» fissata dal Giudice dell’udienza preliminare, su richiesta di parte, per la formazione del fascicolo per il dibattimento, nel contraddittorio delle parti (art. 431, co. 1, c.p.p.).

Lo stesso può riguardare tutti e ciascuno degli atti “contenuti” nel fascicolo del Pubblico ministero e tutta la documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva.

L’accordo acquisitivo non spiega efficacia sanante di tutte le eventuali invalidità di cui gli atti medesimi siano affetti: se infatti consente di superare l’inutilizzabilità fisiologica degli atti, non consente di superare l’inutilizzabilità patologica, derivante dalla violazione di divieti probatori, trattandosi di vizio che ex art. 191 c.p.p. può essere rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, nonché la nullità assoluta, essendo questa del pari insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

Per ciò che concerne i soggetti tenuti a prestare il consenso, secondo un primo indirizzo (Scella), non sarebbe necessario il consenso delle parti non interessate dal contenuto della prova che viene acquisita le quali, pertanto, non avrebbero un diritto di veto; secondo un altro orientamento (Corbetta), qualora, in presenza di più imputati, solo alcuni di essi abbiano manifestato il consenso, gli effetti dell’atto ricadono esclusivamente su questi ultimi.

A parere di chi scrive l’opinione preferibile è quella secondo cui la volontà di acquisizione debba essere manifestata da tutti i soggetti del processo che al momento dell’accordo acquisitivo siano parti necessarie e o eventuali, pena la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa nei confronti di quelle parti (e, segnatamente, degli imputati) che non abbiano, per l’appunto, prestato il consenso.

Naturalmente gli atti inseriti nel fascicolo per il dibattimento non sono per ciò solo utilizzabili ai fini della decisione ma lo diventano di regola in quanto ne sia data lettura ex art. 511, co. 1, c.p.p. ovvero, sussistendo le condizioni del co. 5 dello stesso articolo, si provveda alla indicazione degli atti utilizzabili.

  1. Divaricazione dei fascicoli: artt. 432 e 433 c.p.p.

Gli artt. 432 e 433 c.p.p. definiscono la divaricazione dei fascicoli e conseguentemente del materiale raccolto.

La prima prevede che il decreto che dispone il giudizio sia trasmesso senza ritardo, con il fascicolo previsto dall’art. 431 c.p.p. e con l’eventuale provvedimento che abbia disposto misure cautelari in corso di esecuzione, alla cancelleria del Giudice competente per il giudizio.

La disposizione in parola ha carattere meramente ordinatorio e risulta di chiara interpretazione letterale.

La seconda delle disposizioni sopra menzionate regola la formazione, in via residuale e cioè per sottrazione, del fascicolo del Pubblico ministero, il quale viene formato in occasione e contestualmente al fascicolo per il dibattimento e trova il suo prodromo fisiologico nel fascicolo delle indagini preliminari (cui accede, dopo la chiusura delle indagini preliminari anche quello del Difensore): in tale fascicolo confluiscono tutti gli atti diversi da quelli previsti dall’art. 431 c.p.p., gli atti acquisiti all’udienza preliminare (quali la documentazione delle indagini suppletive, i risultati delle investigazioni integrative ex art. 421-bis c.p.p., le prove la cui acquisizione sia stata disposta dal gup ex art. 422 c.p.p.) unitamente al verbale dell’udienza, nonché gli atti delle indagini integrative compiute rispettivamente dal Pubblico ministero e dal Difensore dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio qualora le parti se ne siano servite ai fini delle richieste presentate al Giudice del dibattimento e questi le abbia accolte ex art. 433, co. 3, c.p.p.

Tali atti confluiscono altresì nel fascicolo del difensore, come si desume dal co. 3 dell’art. 433 c.p.p. che in tal modo sembra riconoscere l’autonomia di tale fascicolo, nonostante l’art. 391-octies, co. 3, preveda l’unificazione dei due fascicoli sin dalla chiusura delle indagini preliminari.

Il fascicolo del Pubblico ministero rimane a disposizione dei difensori che possono prendere visione degli atti ed estrarre copia presso la segreteria senza necessità di apposita autorizzazione ex art. 43 disp. att. c.p.p.