(Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 febbraio 2017, n. 7506)
…, omissis …
Fatto e diritto
1. M.G. è stato ritenuto colpevole del delitto di estorsione “perché, mediante violenza e minaccia, consistite nel seguire e fermare S.M. – che, poco prima, a bordo della sua autovettura, aveva contattato una prostituta di origini rumene – nell’intimargli di accostare, nel qualificarsi quale investigatore di un’agenzia privata delegata dal Comune di Torino per sanzionare i cittadini dediti alla consumazione di rapporti sessuali con prostitute, nel contestare, per tale ragione, una multa di 5000 Euro vantando il possesso di foto ritraenti il contatto con la prostituta, nel prospettare anche il sequestro dell’auto e che, comunque, era rovinato, che la cosa però si poteva risolvere con la dazione di una somma di 1000 Euro, costringendo in tal modo S.M. a versare la somma di 200 Euro che di fatto veniva consegnata, in una busta, presso il bar (omissis) dove veniva ritirata da P.V. (nei confronti del quale si procede separatamente), mentre M. lo attendeva all’esterno, si procuravano un ingiusto profitto con pari danno per il suddetto S. . In (omissis) “.
Il ricorrente, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’errata qualificazione giuridica del fatto in quanto, quella condotta avrebbe dovuto essere sussunta nell’ambito dell’art. 640/2 n. 2 cod. pen. perché la parte offesa non era stato coartato nella sua volontà ma si era determinato alla prestazione costituente ingiusto profitto dell’agente perché tratto in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente, non dipendente dal volere dell’imputato quanto piuttosto da un altro soggetto e cioè il Comune di Torino.
2. Il ricorso è infondato.
3. I fatti sono pacifici e sono quelli descritti nel capo d’imputazione: “l’imputato si qualificava come un investigatore privato delegato dal Comune di Torino a sanzionare i cittadini dediti a rapporti sessuali a pagamento e gli contestava verbalmente una sanzione di Euro 5.000,00, vantando anche il possesso di fotografie che documentavano l’avvenuto contatto con la prostituta” (cfr. pag. 3 sentenza di primo grado).
3.1. Orbene, nel caso di specie, al di là della circostanza che l’imputato si qualificò – traendo in inganno lo S. – quale investigatore di un’agenzia privata delegata dal Comune di Torino, ciò che rileva è che il ricorrente, fra le varie minacce, profferì quella di essere in possesso di foto che documentavano l’avvenuto contatto con la prostituta: minaccia che piegò la volontà dello S. che “vivamente preoccupato, chiedeva pietà e comprensione facendo presente di essere sposato: appresa tale circostanza, il M. lo incalzava minacciando anche il sequestro del mezzo” (cfr pag. 9 sentenza di primo grado).
3.2. È chiaro, a questo punto che la tesi difensiva non ha più ragion d’essere in punto di fatto perché, la minaccia di utilizzare le foto, va ritenuta una minaccia che non ha alcuna correlazione con la falsa qualifica di investigatore di un’agenzia privata, potendo essere attuata realmente dal M. anche come semplice quisque de populo.
3.3. In altri termini, poiché il M. era comunque in grado di attuare direttamente quella minaccia che, per le concrete circostanze di tempo e di luogo, appariva ed era reale, correttamente il fatto è stato qualificato come estorsione e non come truffa aggravata dal pericolo immaginario.
4. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.