Condizioni generali di contratto – natura giuridica.

Condizioni generali di contratto e contratti conclusi con moduli o formulari.

Le condizioni generali di contratto sono un insieme di clausole che non sono inserite nel documento, ma fanno comunque parte del contenuto negoziale.

Ad esempio nel momento in cui io stipulo un contratto per l’allaccio del telefono firmo un documento, ma il regolamento al completo, è in realtà contenuto in un altro documento a parte (spesso nell’elenco telefonico).

Oppure, quando si firma un contratto di viaggio con un’agenzia, il più delle volte non vengono inserite nel documento alcune condizioni che sono contenute però nel catalogo predisposto dall’agenzia.

Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza; così recita l’articolo 1341.

Sia la fattispecie prevista dall’articolo 1341 che quella prevista dall’articolo 1342 rientrano nel fenomeno dei contratti per adesione, cioè quei contratti che un soggetto predispone in modo uniforme per regolare una serie potenzialmente infinita di rapporti di cui diverrà parte (Cass. 17073/2013); l’articolo 1342, però, include in sé anche il caso di contraenti che stipulano un contratto utilizzando un modulo predisposto da altri (per esempio chi compra in tabaccheria un modulo per un contratto di locazione).

La differenza rispetto ai contratti conclusi con moduli o formulari è quindi in ciò: il contratto concluso con moduli o formulari può contenere condizioni generali di contratto, ma non necessariamente; il contratto concluso con condizioni generali normalmente, ma non necessariamente, non si conclude con moduli o formulari.

Gli articoli 1342 e 1342, quindi, non fanno riferimento ad un tipo contrattuale, ma ad un modo di formazione di alcuni contratti. Il fenomeno è noto anche col nome di contratti di massa, o standardizzati (da qui il nome di contratti standard, o anche contratti per adesione).

Natura giuridica

Il problema

L’istituto della condizioni generali di contratto ha dato del filo da torcere agli interpreti perché si atteggia in modo del tutto peculiare nell’ambito della teoria generale del contratto.

Il contraente che aderisce infatti si ritrova ad essere vincolato ad un regolamento contrattuale di cui potrebbe anche non conoscere il contenuto.

Rimane quindi da chiedersi dove è la volontà e perché un siffatto contratto è vincolante pur in mancanza di un elemento essenziale come questo.

La teoria normativa

Alcuni autori sostengono che nel contratto per adesione manchi l’accordo in senso stretto, o perlomeno che possa mancare, proprio perché il vincolo nasce ugualmente pur se il contraente non conosce le clausole.

In tal senso i contratti per adesione sarebbero espressione di un potere sostanzialmente normativo che il contraente forte (che di solito è un imprenditore) avrebbe sulla massa dei contraenti più deboli. Solo dal punto di vista formale, quindi, ci sarebbe un contratto, perché in realtà si tratterebbe sostanzialmente di un potere normativo riservato a certe categorie.

Il carattere normativo delle condizioni generali poi, viene evidenziato dal fatto che esse sono applicabili ad una serie indefinita di rapporti, così come avviene per la norma giuridica.

Inoltre, si è detto, ad essi non potranno applicarsi alcune delle norme tipiche del contratto, come la disciplina dell’errore, dato che il requisito della riconoscibilità non potrebbe mai venire in rilievo.

Alcuni autori poi hanno parificato le condizioni generali di contratto a una fonte consuetudinaria che si instaurerebbe tra un imprenditore e i clienti di quella data impresa.

La teoria contrattuale

La dottrina prevalente, specie quella degli ultimi decenni, non ha accolto con molto favore la teoria normativa (e quindi non è del tutto esatto quello che scrive Bianca, cioè che il dibattito sulla natura giuridica sarebbe ancora aperto). Per la precisione la teoria normativa era stata abbandonata completamente all’inizio degli anni cinquanta, per poi essere riproposta negli ultimi decenni, con quelle teoriche civilistiche che avevano evidenziato il fenomeno delle “autorità private” e del “potere normativo dell’impresa”. Tuttavia trattasi sempre di teoria minoritaria.

Anzitutto perché non può disconoscersi l’esistenza di un rapporto bilaterale e di un incontro di volontà.

Da una parte abbiamo un soggetto che predispone il regolamento contrattuale; dall’altra abbiamo un soggetto che aderisce, e l’adesione è una manifestazione di volontà.

In secondo luogo perché, come oramai abbiamo rilevato più volte, i casi di contratti che nascono senza accordo sono talmente tanti da non porsi più in termini di eccezione alla regola generale, né hanno effetti dirompenti sul sistema, tali da incrinare il ruolo della volontà.

Nè la teoria normativa è idonea a risolvere problemi di disciplina in modo diverso rispetto alla teoria contrattuale. Ad esempio nessuno dubita che si applichino integralmente le norme sull’interpretazione del contratto e non quelle sull’interpretazione della legge; e nessuno dubita che la parte generale del contratto si applichi in toto, senza subire eccezioni. Quanto alla teoria secondo cui non si applicherebbe la normativa dell’errore c’è da dire che tale disciplina si applica quando l’errore è essenziale e riconoscibile, ma ciò non significa che in tutti i rapporti in cui la riconoscibilità non possa venire in rilievo la contrattualità venga meno.

Certo, ha ragione Gazzoni quando nota che, pur avendo natura contrattuale, il consenso si forma in modo peculiare, in deroga alle norme generali sul consenso e l’accordo; e tuttavia si tratta di peculiarità.che non sono idonee a snaturare completamente la natura contrattuale della fattispecie.

Fondamento

Alla teoria contrattuale, però, rimane da spiegare com’è che un regolamento contrattuale possa essere vincolante anche se non conosciuto e magari non voluto.

Una prima spiegazione è quella secondo cui la vincolatività sarebbe la conseguenza di un’interpretazione integrativa secondo la buona fede. In altre parole, chi contrae, se è diligente, sa e deve sapere che esistono regole poste al di fuori del contratto (per esempio chi entra in un parcheggio deve immaginare senz’altro che vi siano delle regole disposte a disciplinare il rapporto che si instaura; non potrà lamentarsi, quindi, se tornando alle due scopre che il garage ha chiuso alla mezzanotte).

A questa teoria si replica che l’interpretazione secondo buona fede, prevista dall’articolo 1366 ha un senso solo se la clausola è inserita nel contesto del contratto, e non è idonea a spiegare perché una clausola non conosciuta e non presente nel negozio sia inserita di diritto nel regolamento contrattuale.

Altri autori vi vedono invece una dichiarazione tipizzata; ossia è la legge che collega, all’adesione al contratto, anche l’accettazione della regolamentazione posta al di fuori di esso.

Altri, infine, in un’ottica di maggiore tutela dell’accettante sostengono che ci sia un onere del predisponente di far conoscere le clausole.

Insomma, la ratio della normativa sta nel fatto che il legislatore parte dal presupposto che, ove il predisponente ha reso conoscibile la clausola, questa è giocoforza inserita nel contenuto del contratto perché l’aderente avrebbe dovuto e potuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza; il che significa che qualora quest’ultimo non si sia accorto della clausola è vincolato lo stesso, perché non sarebbe giusto far ricadere sul predisponente le conseguenze del comportamento colposo dell’altro contraente.

Disciplina

Effetti della mancata conoscenza

La norma dice che quando uno dei contraenti ha predisposto condizioni generali di contratto, queste si inseriscono nel singolo contratto se l’altra parte le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle secondo l’ordinaria diligenza.

In sostanza la norma impone due doveri ad entrambe le parti:

a) al contraente aderente impone di accertarsi delle condizioni generali di contratto praticate dall’imprenditore,

b) e a quest’ultimo impone di renderle conoscibili, e cioè di porle a disposizione del cliente e di formularle in un testo intelligibile.

Se il contraente non ha conosciuto le clausole pur usando l’ordinaria diligenza, tali clausole sarebbero nulle (si tratterebbe di nullità relativa), secondo un primo orientamento, potendosi applicare così l’articolo 1419; la nullità, in tal caso discenderebbe dalla mancanza di un elemento essenziale, cioè, l’accordo.

Altri invece parlano di inefficacia o di inopponibilità delle clausole non conosciute, in ciò rimanendo fedeli al testo della legge.

Ma in realtà pare corretta la tesi di coloro secondo cui in tal caso non si tratta di un problema di validità, né di inefficacia in senso giuridico, in quanto non abbiamo una patologia del negozio; in realtà deve ritenersi, più semplicemente, che le clausole non conosciute sono espulse dal contenuto dell’accordo.

Contratto stipulato per atto pubblico

Quando il contratto è stipulato per atto pubblico si ritiene non applicabile il primo comma dell’articolo 1341, mentre è applicabile il secondo. Il primo comma (inserimento nel contratto delle clausola non conosciute) ha ragion d’essere infatti solo quando la contrattazione non è individuale; mentre il secondo comma si fonda sull’esigenza di proteggere il contraente debole che non ha il potere di negoziare il contenuto contrattuale, e dunque la ratio della norma permane anche in presenza di un contratto stipulato per atto pubblico.

Ma la soluzione dell’applicabilità all’atto pubblico del secondo comma dell’articolo non si impone solo in virtù della ratio della normativa; il punto è che tale norma prevede un onere di forma richiesto ad substantiam, da cui quindi non può prescindersi in qualunque caso.

Contratti della P.A.

Quanto ai contratti stipulati dalla P.A., un orientamento prettamente giurisprudenziale sosteneva che la disciplina in oggetto non si applicasse; in particolare non sarebbe stata applicabile la regola della specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie, e tale affermazione veniva motivata partendo dal presupposto che l’operato della P.A. sarebbe assistito da una presunzione di legittimità, essendo tra l’altro informato al dovere di imparzialità.

Si diceva inoltre che l’approvazione da parte degli organi di controllo costituirebbe una garanzia contro i possibili abusi.

Insomma nei contratti della P.A. non verrebbe in rilievo l’esigenza di tutela del contraente debole sottesa alla normativa dei contratti per adesione.

Prevale attualmente in dottrina l’opinione contraria, perché il controllo da parte degli organi competenti non è affatto garanzia di rispetto delle regole di correttezza nel contenuto del contratto, e perché le ragioni addotte non sono comunque sufficienti per garantire una deroga alla disciplina codicistica, che è di tipo imperativo. E anche la giurisprudenza più recente si è attestata sulla stessa posizione.

Le clausole che devono essere approvate per iscritto

Tassatività dell’elenco

Quanto all’elenco delle clausole che necessitano dell’approvazione in forma scritta esso si ritiene sia tassativo e non suscettibile di applicabile analogica, ma solo estensiva. Questo perché, trattandosi di norme che pongono una restrizione di forma, devono ritenersi eccezionali. In tal senso tra le tante, Cass. 12044/2014).

L’approvazione per iscritto

Le clausole vessatorie elencate nell’articolo 1341 comma 2 sono efficaci solo se “specificamente approvate per iscritto”. Sul significato dell’espressione in dottrina si registra un ventaglio di opinioni. C’è chi ritiene che sia sufficiente sottoscrivere solo il contratto, nel suo complesso (quindi un’unica sottoscrizione per il contratto e per le clausole vessatorie), ma tale tesi è palesemente errata perché altrimenti la norma risulterebbe pressoché superflua.

C’è chi ritiene che sia necessaria l’approvazione delle singole clausole, una per una.

Infine, c’è un altro orientamento, che è quello che si è consolidato nella giurisprudenza e nella dottrina recente, secondo cui è sufficiente un’unica sottoscrizione che comprenda tutte le clausole vessatorie, purché tale sottoscrizione sia diversa e separata rispetto a quella che si riferisce al testo contrattuale.

Effetti della mancata approvazione

La mancata approvazione delle clausole rende queste inefficaci (anche se si dimostra che il contraente le conosceva).

L’espressione è stata interpretata dalla giurisprudenza quasi sempre nel senso della nullità, anche se poi è dubbio se si tratterebbe di nullità assoluta o relativa. Tale tesi è argomentata principalmente con l’assunto che il tipico vizio conseguente al difetto di forma, nel nostro ordinamento, è la nullità dell’atto (Rizzo).

Secondo altri è preferibile la tesi secondo cui si tratterebbe diinefficacia (Bianca); l’articolo 1350, infatti, dice che la mancanza di forma provoca la nullità del contratto solo quando la legge lo prescrive espressamente; e in tal caso, appunto, mancherebbe la previsione espressa, dal momento che si parla di inefficacia (in tal senso Cass. 6784/2014).

Infine, per un’altra tesi si tratterebbe di inopponibilità all’aderente, nel senso che la clausola sarebbe inefficace, ma nei confronti del solo aderente e non nei confronti del predisponente (Patti).

La cancellazione di una singola clausola da parte dell’aderente, anziché determinare la mancata conclusione del contratto per difformità tra proposta e accettazione, comporta, secondo l’opinione preferibile, la non inclusione nel contratto della clausola, atteso che l’aderente avrebbe potuto rifiutarne gli effetti semplicemente non sottoscrivendola.

Quando la singola clausola non viene approvata, trattandosi di inefficacia e non di nullità, il contratto sarà valido ed efficace. Una sentenza della giurisprudenza, però, ha applicato per analogia la regola della nullità parziale (articolo 1419), nel senso che qualora si dimostri che le parti non avrebbero concluso il contratto se avessero saputo l’inefficacia della clausola, sarà inefficace tutto il contratto.

Le singole clausole

Devono essere approvate per iscritto le seguenti clausole:

  • clausole limitative della responsabilità
  • clausole che limitano la facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione;
  • clausole di decadenza;
  • clausole che limitano la facoltà di opporre eccezioni;
  • clausole che restringano la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi;
  • clausole di proroga tacita o rinnovazione del contratto;
  • clausole compromissorie;
  • clausole di deroga alla competenza territoriale.

Costituisce approvazione anche il richiamo ai numeri delle clausole onerose e la loro approvazione unitaria.

Casistica

Sono vessatorie:

  • la clausola di un contratto di vendita di una macchina con cui si limita l’obbligo del venditore di provvedere alla sostituzione dei pezzi rotti (Cass. 3418/1993);
  • la clausola che esclude l’indennizzabilità del sinistro per colpa lieve (Cass. 4041/1990);
  • la clausola di deroga del foro del consumatore (Cass. ord 21070/2012);
  • la clausola predisposta dal regolamento di campeggio in cui si prevede l’esonero da responsabilità nel caso di furto dei veicoli o degli oggetti in essi contenuti, non essendo il campeggio assimilabile ad un albergo (Cass. 6866/1992);
  • la clausola solve et repete;
  • le clausole che impongono un determinato prezzo minimo o massimo, o un prezzo imposto, a tutela del marchio di una casa produttrice, essendo clausole limitative della libertà contrattuale (Cass. 5024/1994).

Non sono vessatorie:

  • le clausole che impongono il pagamento integrale della retta annuale di un convitto se il ragazzo si ritira prima della fine dell’anno;
  • la clausola che prevede la tacita approvazione dell’estratto di conto corrente (Cass. 575/1982);
  • la limitazione di responsabilità di entrambe le parti del rapporto (Cass. 2594/1981);
  • la clausole penale (Cass. 3120/1985);
  • la clausola che attribuisce al venditore la facoltà di aumentare il prezzo già stabilito al variare della situazione di mercato (Cass. 2584/1976);
  • la clausola che impone il totale pagamento della retta anche in caso di ritiro dell’allievo dal convitto (Cass. 5592/1977);
  • la clausola che limita il rischio assicurativo (Cass. 6472/1980);
  • la clausola di esclusione della facoltà di recesso (Cass. 14038/2013)

Il passaggio dal sistema delle clausole vessatorie a quello delle clausole abusive nei contratti del consumatore

Da più parti si era auspicata, in passato, una diversa regolamentazione dei contratti per adesione, rilevando che essa non tutelava sufficientemente il contraente debole, e gli assicurava una protezione meramente formale; bastava infatti che le clausole vessatorie fossero approvate in blocco, in calce al documento contrattuale, perché non scattasse la sanzione dell’inefficacia, pur se il contraente aderente non aveva di fatto preso visione delle stesse.

Mentre la giurisprudenza non aveva mai recepito gli insegnamenti della dottrina, favorevole a introdurre un controllo di tipo sostanziale sul contenuto del contratto mediante l’accorto utilizzo delle regole della correttezza e della buona fede (articoli 1175, 1375, 1366), o, secondo altra prospettiva, dell’equità (Di Majo).

Ciò è invece finalmente avvenuto con la disciplina della clausole abusive, introdotta nel 1996.

Recesso da contratti: nozione

Il recesso è l’atto con cui una parte si ritira dal contratto, la cui caratteristica è di avere efficacia ex nunc. Ai sensi dell’articolo 1373:

Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto tale facoltà può essere esercitata fino a che il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione.
Nei contratti ad esecuzione periodica o continuata tale facoltà può essere esercitata anche successivamente ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.

Il recesso può essere convenzionale o legale.

Il recesso legale si ha in tutti i casi in cui la legge lo prevede espressamente (ad esempio all’articolo 1537), la quale, impropriamente, usa spesso il termine “revoca”, oppure l’articolo 1385 (v. Cass. 7762/2013).

Quello convenzionale si ha quando il diritto di recesso trova la sua fonte nell’accordo delle parti; si precisa che la clausola che attribuisce ad una delle parti la facoltà di recesso deve essere espressa in modo inequivocabile, in modo da non lasciare dubbi all’interprete.

Caratteri e natura giuridica

Il recesso costituisce quindi un atto negoziale, unilaterale, costitutivo, di secondo grado, recettizio, con cui si esercita – almeno secondo l’opinione prevalente – il diritto potestativo di sciogliere il contratto.

Qualcuno ha sostenuto anche che trattasi di un negozio astratto, ma, attesa la definizione e la concezione di causa che noi abbiamo accolto, l’opinione ci pare da respingere senza troppe discussioni.

Anche se qualcuno ne dubita è sicuramente possibile subordinare l’atto di esercizio del diritto di recesso a termine o condizione, quando questa possibilità sia frutto di una pattuizione bilaterale.

Come dice l’articolo 1373 in modo inequivocabile il recesso può essere esercitato in ogni tempo nei contratti ad esecuzione periodica o continuata.

Nei contratti ad esecuzione istantanea, invece, come una vendita, o un mutuo, o una permuta, il recesso può essere esercitato solo fino a che il contratto non ha avuto esecuzione.

Per l’esercizio del diritto di recesso deve essere previsto un termine, altrimenti si applicherà il termine di prescrizione decennale valevole in generale per tutti i diritti.

Il recesso nei contratti ad effetti reali

Anche per quanto riguarda il recesso è sorta questione sull’applicabilità dell’istituto ai contratti ad effetti reali.

L’opinione negativa – che è prevalente in giurisprudenza – si basa su due argomenti.

Anzitutto c’è da considerare che il recesso da un contratto ad effetti reali istantanei, in realtà produrrebbe un ritrasferimento in capo all’originario alienante; a meno di non voler considerare il recesso efficace ex tunc; il punto, però, è che la retroattività degli effetti non potrebbe essere posta arbitrariamente dalle parti, ma solo dal legislatore, specie perché con essa si pregiudicano i diritti dei terzi.

Secondo Bianca, invece, che la retroattività degli effetti debba necessariamente essere prevista dalla legge è una regola che non trova riscontro nel diritto positivo; le parti invece ben possono attribuire efficacia retroattiva ad una contratto, purché, ovviamente, non pregiudichino diritti dei terzi.