REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. ZAZA Carlo – Consigliere –
Dott. MICCOLI Grazia – Rel. Consigliere –
Dott. CALASELICE Barbara – Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PELLEGRINI MASSIMILIANO nato a SAN DONA DI PIAVE il xx/xx/xxxx;
avverso l’ordinanza del 21/03/2019 del TRIB. LIBERTÀ di VICENZA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Grazia Miccoli;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale Dott.ssa Antonietta PICARDI, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Vittorio MANES, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento deliberato in data 21 marzo 2019, il Tribunale di Vicenza, per quanto qui rileva, ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di Massimiliano Pellegrini avverso le ordinanze dispositive di sequestro conservativo emesse dal Giudice dell’Udienza Preliminare in data 27 febbraio 2018 (su istanza delle parti civili Giovanni Angelo Valmorbida, Elvira Rosa, Denis Valmorbida, Giulia Vitella) e in data 7 maggio 2018 (su istanza delle parti civili Andrea Adriani, Luca Adriani, Mariangela Adriani, Lidia Zocche, e Mirko Carretta).
I sequestri conservativi erano stati disposti nell’ambito del processo a carico del Pellegrini e di altri soggetti imputati di aggiotaggio, falso in prospetto ed ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, in relazione all’operato della Banca Popolare di Vicenza negli anni 2012/2015.
1.1. Con riferimento al fumus boni iuris il Tribunale del Riesame ha rilevato che nel frattempo era stato emesso – in data 20 ottobre 2018 -il decreto che dispone il giudizio anche nei confronti del Pellegrino. In ragione di ciò il Tribunale ha ritenuto che, essendo già stata espressa con il suddetto decreto una valutazione sulla fondatezza delle specifiche imputazioni nell’ottica della sostenibilità dell’accusa in giudizio, non vi fosse più alcuna indicazione perché in sede di impugnazione delle misure cautelari reali ci si pronunziasse sul requisito del fumus boni iuris.
1.2. Replicando alle censure difensive finalizzate ad escludere la sussistenza del periculum in mora, il Tribunale ha rilevato che nei provvedimenti di sequestro si è correttamente ritenuto che, ai fini dell’applicazione della misura ablatoria in parola, è sufficiente che vi sia il fondato motivo di ritenere che manchino le garanzie dei crediti (dunque, l’attuale incapienza del patrimonio del Pellegrini per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen.), non essendo altresì necessario il simultaneo pericolo di dispersione dello stesso patrimonio, conseguente alla tipologia dei cespiti che lo compongono o al comportamento negligente, avventato o fraudolento tenuto dal debitore successivamente al reato.
Il Tribunale ha quindi ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale proposta dalla difesa in relazione all’art. 316 cod. proc. pen., come interpretato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo la quale per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito, Rv. 261118).
1.3. Con riferimento alla quantificazione del danno a garanzia del cui risarcimento è stato disposto il sequestro conservativo, il Tribunale ha ritenuto immune da censure la determinazione effettuata nel provvedimento impugnato sulla base delle richieste formulate dalle parti civili, ossia nel prezzo di 62,50 euro per azione posseduta o nel diverso prezzo al quale le azioni erano state acquistate.
Ha quindi precisato che il Giudice dell’udienza preliminare, in virtù di criteri oggettivi e coerenti, ha stimato il danno per ciascuna parte civile, tenendo conto del solo danno patrimoniale, nel 50% circa del valore massimo delle azioni raggiunto nel periodo di riferimento o del prezzo di acquisto.
1.4. In relazione all’insufficienza del patrimonio dell’imputato, il Tribunale ha evidenziato che non risultano cespiti immobiliari su cui fondare garanzie patrimoniali maggiormente solide e non disperdibili (salvo un immobile di scarso valore catastale), sicché i beni rinvenuti dalle parti civili – su cui è stato possibile, per le stesse, azionare la richiesta di esecuzione del sequestro – sono risultate esclusivamente le somme di denaro depositate dall’imputato su conti correnti aperti presso Istituti di credito e a lui direttamente intestati, ossia beni mobili costituiti dal denaro, per sua natura fungibile e facilmente disperdibile.
1.5. In ordine all’attuazione del vincolo cautelare reale, il Tribunale ha affermato che il mancato rispetto del termine perentorio di giorni trenta per l’esecuzione del sequestro conservativo di cui all’art. 675 cod. proc. civ. non determina la decadenza del provvedimento, in quanto il richiamo alle “forme previste dal codice di procedura civile” contenuto nell’art. 317, comma terzo, cod. proc. pen. attiene esclusivamente alle modalità di esecuzione. Ne consegue l’irrilevanza del momento storico in cui le parti civili hanno deciso di porre in esecuzione le ordinanze di sequestro e, quindi, della circostanza che alla stessa si sia proceduto oltre trenta giorni dall’emanazione delle stesse ordinanze.
1.6. Quanto alla competenza funzionale del Tribunale del riesame in ordine alla fase esecutiva del sequestro conservativo, nella ordinanza impugnata sono stati indicati i relativi limiti, richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 38670 del 21 luglio 2016, ed è stato confermato il disposto, contenuto nelle ordinanze emesse dal Giudice dell’udienza preliminare, che indica in modo dettagliato gli esatti importi per cui ciascuna parte civile richiedente è ammessa ad eseguire il vincolo reale concesso.
2. Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Vicenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Pellegrini, avvocato Vittorio Manes, articolando i quattro motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si deduce violazione ed erronea applicazione dell’art. 316, comma 2, cod. proc. pen., laddove l’inciso normativo “manchino o si disperdano le garanzie” è stato interpretato dal Tribunale del riesame nel senso che è possibile applicare il sequestro conservativo anche in presenza di una mera incapienza “attuale” del patrimonio dell’imputato, a prescindere da qualsiasi giudizio sull’eventuale depauperamento successivo, idoneo a ledere il diritto di garanzia della parte civile.
Si sostiene che, al contrario, il periculum in mora debba essere valutato, oltre che con riguardo all’entità del credito, anche con riferimento ad una situazione, almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo.
Si denunzia, altresì, la violazione degli artt. 125, comma terzo, e 316 cod. proc. pen., nella parte in cui il Tribunale, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale posta, fornisce una motivazione apparente, peraltro fondata su un presupposto erroneo, ossia che oggetto di sequestro conservativo siano beni “provento o profitto da reato”, come tali esclusi da tutela costituzionale.
In subordine, si chiede di sollevare questione di legittimità costituzionale del predetto art. 316 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24, comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1-3, 42, 111, 117 Cost. e art. 1 prot. 1 CEDU, nella parte in cui prevede una presunzione iuris et de iure di pericolo, a prescindere dal comportamento del debitore, per il solo fatto che “il patrimonio dello stesso sia sin da subito incapiente”.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge per carenza motivazionale nella parte in cui il Tribunale, pur prendendo atto che allo stato non è possibile stabilire nemmeno in via approssimativa il valore del danno subito da ciascuna parte civile ed in assenza di accertamenti sul patrimonio dell’imputato, conclude affermando che mancano le garanzie delle obbligazioni civili derivanti da reato.
Si lamenta, altresì, la violazione dell’art. 316 cod. proc. pen. nella parte dell’ordinanza in cui implicitamente si ritiene che sia possibile considerare come “mancanti” le garanzie anche quando il credito vantato dalla parte civile non sia determinabile, nemmeno con qualche approssimazione concreta, ancorata a dati oggettivi.
In particolare si sostiene che l’affermazione del Tribunale del riesame, secondo cui il Giudice dell’udienza preliminare avrebbe stimato il danno “sulla base di criteri oggettivi e coerenti” nel 50% del valore massimo raggiunto dalle azioni (criterio comunque disancorato da qualsiasi parametro oggettivamente riscontrabile), cela un vizio motivazionale in violazione dell’art. 125 cod. proc. pen., in quanto l’apparato argomentativo si mostra privo di coerenza, ragionevolezza e completezza, poiché non considera che nel provvedimento genetico la premessa era costituita dalla circostanza che allo stato il danno “non è nemmeno quantificabile”.
2.3. Con il terzo motivo si denunzia l’erronea applicazione degli artt. 317 cod. proc. pen. e 675 cod. proc. civ. nella parte in cui si esclude che nel rinvio alle forme di esecuzione del sequestro previste dal codice di procedura civile, ai sensi del citato art. 317 cod. proc. pen., non vi rientri anche la disposizione (di cui all’art. 675 cod. proc. civ.) secondo la quale il provvedimento che autorizza il sequestro perde efficacia se non è eseguito entro il termine di trenta giorni.
2.4. Con il quarto ed ultimo motivo la difesa si duole della violazione degli artt. 316, 317, 318 e 324 cod. proc. pen., nella parte in cui si afferma che il Tribunale del riesame non sarebbe competente a decidere sulla riduzione del sequestro conservativo a cui sia stata data esecuzione, bloccando somme eccedenti rispetto a quelle stabilite con l’ordinanza di sequestro.
Si chiarisce che al Tribunale del riesame, in via subordinata, è stato chiesto di provvedere alla riduzione delle somme in sequestro, in quanto sono stati vincolati importi in misura superiore a quello di euro 365.031,25, complessivamente determinato nelle ordinanze impugnate.
3. In data 6 novembre 2019 è stata depositata memoria ex art. 127, comma 2, cod. proc. pen. dall’avv. Daniele Fantini, nell’interesse delle parti civili Adriani Luca e altri, con la quale vengono svolte delle controdeduzioni ai motivi di ricorso.
3.1. Quanto al primo motivo si deduce la ricorrenza di entrambi i requisiti indicati dall’art. 316 cod. proc. pen., ovvero la mancanza e il pericolo di dispersione delle garanzie per il risarcimento dei danni.
In ogni caso, a pag. 21 del provvedimento impugnato, il Tribunale ha dato atto del fatto che i beni oggetto di sequestro (somme depositate su conti correnti intestati all’imputato) sono per loro stessa natura agevolmente disperdibili ed occultabili, evidenziando la ricorrenza, in realtà, anche del pericolo di dispersione.
Si sostiene, inoltre, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 316 cod. proc. pen., in quanto la Costituzione tutela, congiuntamente alla proprietà, anche il credito, a prescindere dalla condotta del debitore e avendo esclusivo riguardo al pericolo di dispersione delle garanzie.
Conseguentemente, il sacrificio del diritto di proprietà dell’imputato risulta concretamente e adeguatamente giustificato.
3.2. Si deduce l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza del secondo motivo giacché sono state proposte censure afferenti vizi motivazionali e, peraltro, il danno patito dalle parti civili è determinabile.
D’altronde, nella fase cautelare l’apprezzamento del danno non può che essere approssimativo, seppur ancorato a dati obiettivi ed illustrato in maniera tale da rendere comprensibile il ragionamento sviluppato per determinarlo.
3.3. Quanto al terzo motivo si evidenzia la conformità della pronuncia impugnata ai principi giurisprudenziali consolidati circa l’inapplicabilità al sequestro conservativo penale del termine di 30 giorni per l’esecuzione previsto dall’art. 675 cod. proc. civ.
3.4. In ordine al quarto motivo si deduce l’infondatezza della pretesa mancata valutazione della richiesta di riduzione del pignoramento, evidenziando la fissazione dell’importo complessivo autorizzato ad C 365.031,25 (indicato nell’atto di citazione e sequestro presso terzi notificato agli istituti di credito), fermo restando che la questione è comunque superata, essendo poi stato attuato il sequestro su concorde richiesta delle parti, con rinuncia della controparte a qualsiasi opposizione e/o riesame.
Sono stati quindi allegati alla memoria il verbale di attuazione del sequestro, la dichiarazione di rinunzia al riesame e la comunicazione della rinuncia alle opposizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso merita il rigetto.
Prima di passare all’esame dei motivi, va detto che la difesa del ricorrente non ha chiarito che conseguenza abbia avuto la comunicazione, contenuta in una email allegata alla memoria delle parti civili, effettuata dall’avvocato che assiste il Pellegrini in sede civile circa l’impegno degli avvocati penalisti di rinunziare al riesame.
In ragione di ciò e avendo la difesa proceduto alla discussione orale, questa Corte ha proceduto alla trattazione del procedimento.
2. Infondato è il primo motivo di ricorso.
2.1. La difesa denunzia violazione di legge, censurando il provvedimento impugnato per erronea applicazione dell’art. 316, comma 2, cod. proc. pen., laddove il disposto normativo “manchino o si disperdano le garanzie” è stato interpretato dal Tribunale del riesame nel senso che è possibile applicare il sequestro conservativo anche in presenza di una mera incapienza “attuale” del patrimonio dell’imputato, a prescindere da qualsiasi giudizio sull’eventuale depauperamento successivo, idoneo a ledere il diritto di garanzia della parte civile.
Sul punto, giova preliminarmente precisare che può farsi riferimento alla “mancanza” di garanzie quando sussista la certezza dell’attuale insufficienza del patrimonio del debitore a far fronte interamente all’obbligazione nel suo ammontare presumibilmente accertato.
Può parlarsi invece di “dispersione” delle garanzie quando l’atteggiamento assunto dal debitore sia tale da far ipotizzare l’eventualità di un depauperamento di un patrimonio attualmente sufficiente ad assicurare la garanzia.
E’ evidente, allora, che in questo caso si debba fare riferimento al comportamento del debitore idoneo a non assicurare l’adempimento dell’obbligazione.
Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, le due suindicate ipotesi possono rilevare autonomamente (come espresso, con la formula disgiunta, dalla lettera del primo comma dell’art. 316 cod. proc. pen.), sicché «per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore» (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zannbito, Rv. 261118; in senso conforme, prima della pronunzia citata, Sez. 5, n. 13284 del 02/02/2011, P.C. in proc. Frustaci, Rv. 250209; Sez. 5, n. 7481 del 27/01/2011, A. e altro, Rv. 249607; Sez. 2, n. 6973 del 26/01/2011, Grossi, Rv. 249663; Sez. 6, n. 43660 del 26/11/2010, P.C. in proc. Cesaroni, Rv. 248819; Sez. 6, n. 26486 del 06/05/2010, Barbieri e altri, Rv. 247999; Sez. 5, n. 43246 del 26/09/2008, Ronco, Rv. 241933; Sez. 2, n. 12907 del 14/02/2007, P.C. in proc. Borra e altri, Rv. 236387; Sez. 5, n. 30326 del 18/06/2004, Dal Cin, Rv. 229123).
Si è precisato, altresì, che l’applicazione del sequestro conservativo presuppone un giudizio prognostico che faccia fondatamente ritenere che le garanzie possano venire a mancare o essere disperse, sia per fatti indipendenti dalla volontà e, quindi, dal comportamento del debitore (garanzie che «manchino»), sia per comportamenti addebitabili più strettamente al debitore (garanzie che «si disperdano»), atteso che il legislatore ha voluto coprire tutta la possibile gamma delle ipotesi che, in astratto, potrebbero portare alla perdita delle garanzie, avendo avuto l’obiettivo primario di garantire e proteggere comunque il credito (dell’erario e/o dei privati) – (Sez. 2, n. 6973 del 26/01/2011, Grossi, Rv. 249663).
Inoltre, le valutazioni circa lo status patrimoniale del debitore sono frutto di accertamenti di fatto e di valutazioni di merito che non possono essere sottoposte alla valutazione di questa Corte in presenza di una motivazione esistente e non certo apparente sul punto (Sez. 2, n. 51576 del 4/12/2019, Cavacece, in motivazione).
Il ricorrente, riproponendo censure analoghe a quelle dedotte con il riesame, finalizzate a rivalutare la diversa tesi sostenuta in passato da alcune pronunce di questa Corte, sostiene che, al contrario, il periculum in mora – quale indefettibile presupposto applicativo del sequestro conservativo – deve essere valutato, oltre che con riguardo all’entità del credito, anche con riferimento ad una situazione, almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l’atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo (Sez. 2, n. 44148 del 21/09/2012, P.M. in proc. Galofaro, Rv. 254340; Sez. 4, n. 707 del 17/05/1994, Corti, Rv. 198682).
2.2. Questo Collegio ritiene che non vi siano ragioni per discostarsi dai principi affermati dalla sentenza Sezioni Unite Zambito e che tale interpretazione sia conforme ai principi costituzionali, sebbene vadano fatte delle precisazioni sull’evidente errore di diritto rinvenibile nel provvedimento impugnato, nella parte in cui si afferma che “nel sequestro conservativo i beni sottoposti a vincolo reale cautelare – e provvisorio – risultano possibile frutto di attività illecite, la cui proprietà non sarebbe pertanto legittima e tutelabile”, giungendo anche a rilevare che “tale sequestro è finalizzato alla confisca” (pag. 18 dell’ordinanza in esame).
È evidente che tali affermazioni sono frutto di confusione tra l’istituto del sequestro conservativo e quello del sequestro preventivo, ma ciò non inficia la tenuta del provvedimento in esame nel suo complesso con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora.
Invero, correttamente il Tribunale ha rilevato che nella specie sussiste il fondato motivo di ritenere la “mancanza” delle garanzie dei crediti, valutando l’attuale incapienza del patrimonio del Pellegrini per l’adempimento delle obbligazioni, come quantificate con i criteri di cui si parlerà più avanti e che, comunque, sono da rapportarsi all’elevatissimo importo dei sequestri richiesti dalle parti civili.
Il Tribunale, richiamando sul punto quanto rilevato già dal Giudice dell’Udienza preliminare e rispondendo alle censure difensive, ha evidenziato che, in base all’annotazione redatta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Vicenza, datata 14 dicembre 2017, il patrimonio del Pellegrini (come quelli degli altri imputati) è allo stato insufficiente ad assicurare la tutela delle richieste risarcitorie delle parti civili, non essendo stati rinvenuti cespiti immobiliari su cui fondare garanzie patrimoniali maggiormente solide e non disperdibili, salvo un immobile di scarso valore (pag. 21 della ordinanza in esame).
Il Tribunale ha inoltre rilevato che non sono state offerte dal Pellegrini garanzie diverse e satisfattorie delle pretese risarcitorie, mentre i beni sottoposti a sequestro sono somme di denaro, per loro natura fungibili e facilmente disperdibili. In effetti, con tale ultima annotazione nell’ordinanza impugnata si è argomentato pure sul pericolo di “dispersione”: si è infatti ancorato il giudizio prognostico a dati oggettivi, quali la natura del bene sottoposto a sequestro, necessariamente correlato però alla valutazione del comportamento ipotizzabile da parte del debitore, tenuto conto della più agevole possibilità di “dispersione” del denaro.
Quindi, alla stregua di quanto appena esposto, non può ritenersi – come deduce la difesa – che il Tribunale non abbia motivato sui profili proposti con l’istanza di riesame, così incorrendo nella violazione di legge di cui all’art. 125, comma tre, cod. proc. pen..
E, in proposito, è bene ribadire che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015 n. 47 al comma nono dell’art.309 cod. proc. pen., sono applicabili – in virtù del rinvio operato dall’art. 324, comma settimo dello stesso codice – in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il Tribunale del riesame ha il dovere di annullare il provvedimento genetico se questo sia privo di motivazione ovvero non contenga la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa (Sez. Un., n. 18954 del 31 marzo 2016, Capasso, Rv. 266789).
Tuttavia, il riferimento che compare nella suddetta norma alle «esigenze cautelari», agli «indizi» e agli elementi forniti dalla difesa, diversamente da quanto imposto, a pena di nullità rilevabile di ufficio, dall’art. 292 cod. proc. pen. (norma all’uopo contestualmente integrata dall’art. 8 della legge n. 47 del 2015) deve essere coordinato – nei limiti dell’adattamento possibile – con la materia delle misure cautelari reali, la cui emanazione prescinde dalla gravità degli indizi ed è legata ai presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora.
2.3. Sebbene quanto sopra evidenziato possa rendere ultronea, per irrilevanza, l’analisi della questione di illegittimità costituzionale proposta dalla difesa, ritiene questo Collegio di affrontare il tema, sul quale, peraltro, l’avvocato Manes ha insistito in particolare in sede di discussione, ribadendo che l’interpretazione dell’art. 316 cod. proc. pen., secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella pronunzia sopra richiamata, sarebbe in contrasto con gli artt. 24, comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1-3, 42, 111, 117 Cost. e art. 1 prot. 1 CEDU, nella parte in cui prevede una presunzione iuris et de iure di pericolo, a prescindere dal comportamento del debitore, per il solo fatto che “il patrimonio dello stesso sia sin da subito incapiente”. Il tema è già stato affrontato da questa Sezione in altre decisioni, nelle quali si è sottolineata la funzione propria della misura del sequestro conservativo, finalizzata a «salvaguardare la garanzia patrimoniale nei confronti di un soggetto che non viene arbitrariamente spogliato dei propri beni e ciò in quanto si assume che lo stesso abbia cagionato ad altri soggetti danni tali da rendere già insufficiente il proprio intero patrimonio.
Il sacrificio del suo diritto di proprietà trova pertanto concreta ed adeguata giustificazione>> (così in motivazione Sez. 5, n. 7580 del 15/01/2019, Zigliotto Giuseppe, non massimata sul punto).
Si è pure già precisato che il periculum in mora è dato dal pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, che è insito nella insufficienza del patrimonio dell’obbligato, valutata in relazione all’entità delle pretese risarcitorie, sicché non occorre che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento ad opera del debitore.
Ne consegue la superfluità dell’indagine sulla “intenzione” dell’imputato e tale «impostazione non confligge con nessuna norma costituzionale, giacché, insieme alla proprietà, la Costituzione tutela il credito, sicché il bilanciamento tra i due diritti rientra nei compiti esclusivi del legislatore, il quale prescinde, nella specie, dall’atteggiamento del debitore ed ha riguardo, esclusivamente, al pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale (che può derivare anche da fatti accidentali, o non collegati all’azione del debitore)» (così in motivazione Sez. 5, n. 12804 del 15/01/2019, Vigolo Matteo Mario, non massimata sul punto).
Il bilanciamento così definito tra i diritti costituzionali della proprietà (anche per i riflessi che ha sul diritto alla “vita privata”, nei termini evocati dalla difesa in sede di discussione) e della tutela del credito non collide, quindi, con una interpretazione dell’art. 316 cod. proc. pen. ancorato all’apprezzamento della sussistenza del periculum in mora correlato al «rischio che all’esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore» (Sez. U, n. 51660 del 25/09/2014, Zambito).
Punto cruciale nell’individuazione del periculum in mora è, dunque, il credito nei confronti dell’imputato: pertanto, per l’adozione del sequestro conservativo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore.
2.4. L’interpretazione del disposto normativo di cui all’art. 316 cod. proc. pen. acclarata dalle Sezioni Unite non si pone in contrasto neppure con le garanzie del “diritto di proprietà” riconosciute dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Il diritto di proprietà – quale diritto economico costituente <> (così in motivazione Sez. 4, n. 44809 del 22/10/2013, Gianferrini).
2.5. Si può allora conclusivamente affermare che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 316 cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 24 comma 2, 25 comma 2, 27 commi 1-3, 42, 111, 117 Cost. e art. 1 prot. 1 CEDU, laddove prevede che per l’adozione del sequestro conservatívo è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2, cod. proc. pen., non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore.
3. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso afferente alla quantificazione dei crediti vantati dalle parti civili.
L’ordinanza in esame ha dedicato al tema un apposito paragrafo (§ IV.c), nel quale il Tribunale ha ritenuto corretta l’argomentazione spesa dal Giudice dell’udienza preliminare sulla base delle richieste formulate dalle parti civili; ognuna di esse ha indicato il danno richiesto e calcolato nel prezzo di 62,50 euro per azione posseduta o nel diverso prezzo al quale le azioni erano state acquistate (il richiamo è stato fatto alle rispettive costituzioni di parte civile e a quanto riportato per ciascuna parte nelle ordinanze impugnate).
Si è quindi dato conto che le parti civili, nell’atto di costituzione, hanno indicato la titolarità del conto corrente e del deposito titoli aperti presso una filiale della Banca popolare di Vicenza e la titolarità delle azioni, allegando la documentazione relativa (contratti di conto corrente e deposito titoli, ordini di acquisto e vendita delle azioni, questionari di profilatura MiFID, estratti conto).
Il Tribunale ha poi precisato che il Giudice dell’udienza preliminare, sulla base di criteri oggettivi e coerenti, ha stimato il danno per ciascuna parte civile, tenendo conto del solo danno patrimoniale, nel 50% circa del valore massimo delle azioni raggiunto nel periodo di riferimento o del prezzo di acquisto.
Del pari, la riduzione del 50% del valore delle azioni così determinato, sia pure stimata in via equitativa, non è stata ritenuta arbitraria, dal momento che è adeguatamente motivata con riferimento alle pretese risarcitorie avanzate e allo stato del procedimento tale per cui l’esatto ammontare del danno non può essere determinato.
Tale ordito argomentativo non rivela i vizi di carenza motivazionale denunziati dalla difesa del ricorrente, giacché si è dato atto di criteri oggettivi ai quali ancorare in via approssimativa il valore del danno subito da ciascuna parte civile, non essendo di contro necessario che l’importo del credito da garantire sia determinato.
È evidente, infatti, che trattandosi di valutazione da farsi a fini cautelari è sufficiente una valutazione complessiva e di natura sintetica del presumibile danno arrecato agli istanti.
I giudici di merito, quindi, si sono attenuti al principio di diritto – consolidato nella giurisprudenza di questa Corte e del tutto condiviso dal Collegio – in forza del quale è legittimo il sequestro conservativo disposto a tutela di un credito il cui importo sia determinabile con un apprezzamento che, pur approssimativo, è, tuttavia, ancorato a dati oggettivi e ad argomenti sviluppati in termini idonei a rendere comprensibile il ragionamento del giudice (Sez. 5, n. 16750 del 30/03/2016, Barberini, Rv. 266702; si veda anche la già citata Sez. 5, Sentenza n. 8445 del 01/02/2019, Rv. 276123).
Come si è visto il Tribunale, richiamando tutti i dati contenuti nelle richieste delle parti civili e le argomentazioni già spese in merito nell’ordinanza dispositiva della misura, ha adottato un apparato argomentativo dotato dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi idoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto), così rendendo esplicito il giudizio sulla determinabilità dei crediti vantati in via approssimativa, essendo tale indicativa quantificazione indispensabile per la verifica della proporzionalità della misura, dell’idoneità dell’eventuale cauzione offerta e della sussistenza del pericolo di dispersione (Sez. 6, Sentenza n. 14065 del 07/01/2015, Rv. 262951).
4. Infondato è pure il terzo motivo di ricorso, con il quale si denunzia l’erronea applicazione degli artt. 317 cod. proc. pen. e 675 cod. proc. civ.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «in tema di misure cautelari reali, il mancato rispetto del termine perentorio di giorni trenta per l’esecuzione del sequestro conservativo di cui all’art. 675 cod. proc. civ. non determina la decadenza del provvedimento emesso dal G.i.p., sia perché il richiamo alle “forme previste dal codice di procedura civile” contenuto nell’art. 317, comma terzo, cod. proc. pen. attiene esclusivamente alle modalità esecutive e non alle altre statuizioni del relativo codice di rito aventi finalità diverse e proprie del procedimento civile, sia perché il comma successivo del predetto art. 317 già disciplina in termini autonomi la perenzione del sequestro, ricollegandola non già ad eventuali inerzie nel dare esecuzione alla misura, bensì al sopravvenire della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, non più soggetta a impugnazione» (Sez. 6, n. 45480 del 06/10/2015, Conga, Rv. 265456; conformi Sez. 5, Sentenza n. 43576 del 19/09/2001, Rv. 220262; Sez. 2, Sentenza n. 2835 del 10/12/2008, Rv. 242874; Sez. 2, Sentenza n. 3810 del 19/12/2008, Rv. 242539; Sez. 2, Sentenza n. 29113 del 22/06/2011, Rv. 250909).
5. In relazione al quarto motivo va detto che, alla stregua della documentazione allegata dalle parti civili alla memoria depositata, la questione posta dal ricorrente può ritenersi superata: il sequestro, infatti, risulta eseguito su concorde richiesta delle parti, con rinuncia a qualsiasi opposizione e/o riesame.
Va tuttavia precisato che il Tribunale non si è affatto dichiarato incompetente a statuire sulle richieste del Pellegrini, limitandosi ad illustrare il perimetro della valutazione rimessa al giudice del riesame nella materia afferente l’esecuzione del sequestro conservativo, evidenziando come si tratti di un contesto peculiare, in cui i provvedimenti giudiziari in materia penale collimano con le procedure di esecuzione forzata devolute al giudice civile.
In ragione di ciò, il Tribunale ha evidenziato quali sono i criteri ai quali si è attenuto per fissare l’importo complessivo autorizzato di C 365.031,25 (indicato nell’atto di citazione e sequestro presso terzi notificato agli istituti di credito).
D’altronde è incontroverso che il giudice che dispone il sequestro conservativo (e il Tribunale del riesame in sede di impugnazione) debba valutare che il vincolo sia mantenuto nei limiti in cui la legge lo consente e verificare la ragionevole proporzionalità fra crediti da garantire ed ammontare del debito, dovendo ritenersi applicabile anche nel procedimento penale l’art. 496 cod. proc. civ., che consente al giudice, ove risulti l’esorbitanza dei beni originariamente staggiti rispetto all’ammontare del credito, la riduzione del pignoramento (così la già citata Sez. 2, n. 46626 del 20/11/2009, Melis, Rv. 245466; si vedano, in via generale, sul tema della competenza del giudice penale sulle questioni civilistiche afferenti l’esecuzione del sequestro conservativo Sez. 6, n. 2033 del 22/05/1997, Lentini, Rv. 209111; Sez. 6, Sentenza n. 16168 del 04/02/2011, Rv. 249329).
Il Tribunale si è quindi attenuto ai principi affermati anche dalla già citata sentenza delle Sezioni Unite Culasso, secondo la quale – come si è già detto – «le questioni attinenti al regime di pignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo sono deducibili con la richiesta di riesame e devono essere decise dal tribunale del riesame, al quale è demandato un controllo “pieno”, che deve tendere alla verifica di legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili ».
Può dunque conclusivamente ribadirsi che sia il giudice che dispone il sequestro conservativo sia il Tribunale del riesame in sede di impugnazione devono valutare che il vincolo sia mantenuto nei limiti in cui la legge lo consente, verificare la pignorabilità dei beni nonchè la ragionevole proporzionalità fra crediti da garantire ed ammontare del debito, sicchè, nel caso risulti l’esorbitanza dei beni originariamente staggiti rispetto all’ammontare del credito richiesto, deve essere disposta la riduzione del pignoramento nei limiti consentiti.
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, in Roma il 15 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2020.