Clan Fasciani, niente misure alternative per il fiduciario: riciclaggio nevralgico (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 16 aprile 2020, n. 12328).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BONI Monica – Presidente

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MAZZINI DANIELE nato a ROMA il xx/xx/xxxx;

avverso l’ordinanza del 03/07/2019 del TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere RAFFAELLO MAGI;

lette le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. A. PICARDI, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma, con ordinanza resa in data 2 luglio 2019, previa la dichiarazione di sussistenza delle condizioni di cui all’art. 4 bis co.1bis e 58 ter ord.pen. in tema di cd. collaborazione impossibile, ha respinto le domande di applicazione di misure alternative alla detenzione introdotte da Mazzini Daniele.

1.1 Va premesso che Mazzini Daniele si trova in espiazione della pena di anni due, mesi nove e giorni quattordici di reclusione per il reato di intestazione fittizia aggravato dalla finalità di agevolazione mafiosa (del clan Fasciani) commesso dal 2007 sino al 2012.

Il Tribunale, pertanto, realizza con esito positivo la verifica della condizione oggettiva di inesegibilità/irrilevanza della collaborazione e, successivamente, valuta le domande nel merito, opponendo all’accoglimento delle medesime la attuale pericolosità sociale del Mazzini.

1.2 Circa tale condizione, il Tribunale evidenzia e ritiene, in sintesi, che:

a) quanto al pericolo di recidiva, è emerso nel giudizio di merito non soltanto il ruolo di prestanome “attivo” svolto dal Mazzini nella gestione della società “il Porticciolo” ma un complessivo rapporto fiduciario intrattenuto con Carmine Fasciani, di lunga durata, che illumina negativamente la personalità del Mazzini, nonostante la sua sostanziale incensuratezza;

b) a ciò si aggiunge l’assenza di contributi dichiarativi durante la trattazione del processo di merito, qui considerata indicativa dell’assenza di evoluzione positiva della personalità;

c) non si colgono, nella relazione comportamentale relativa alle condotte tenute in detenzione, spunti di effettivo avvio di un processo di revisione critica, atteso che l’atteggiamento verbale del Mazzini tende ad imputare a difficoltà economiche le condotte, mimimizzandone il disvalore.

Il Tribunale, pertanto, conclude per la perdurante pericolosità sociale del Mazzini e per l’assenza di concreti indizi dell’avvio di un processo di resipiscenza.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – Mazzini Daniele, deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.

2.1 n ricorrente evidenzia che il percorso argomentativo non si rapporta in modo preciso ai contenuti della decisione di merito, posto che – al di là di singole dichiarazioni rese dal collaborante Carmine Fasciani – non risultano commessi dal Mazzini fatti diversi rispetto alla carica gestionale ricoperta nella srl ‘il porticciolo’.

Vi sarebbe, pertanto, una attribuzione al Mazzini di capacità criminale che non trova riscontro negli esiti del giudizio. Si sostiene altresì che l’incarico gestionale rilevante è stato in realtà posto in essere sino al 2009, essendo in tale epoca intervenuto un sequestro giudiziario con necessità del Mazzini di permanere nella gestione – sino al 2012 – ma a supporto dell’attività posta in essere dall’amministratore giudiziario.

Il Tribunale, pertanto, avrebbe errato nella ricostruzione delle condotte oggetto di giudizio ed avrebbe considerato in modo solo apparente il comportamento posteriore al reato.

Non potrebbe trarsi alcun elemento negativo dalla condotta processuale e l’ammissione alla misura alternativa non è correlata ad una piena rivisitazione critica già avvenuta, in quanto tale è l’obiettivo finale cui le misure tendono.

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, tesi a stimolare una mera rivalutazione di aspetti logicamente apprezzati nella decisione impugnata, decisione peraltro immune da vizi in diritto.

3.1 Va premessa la irrilevanza, nel caso in esame, dei contenuti additivi introdotti nel sistema delle preclusioni correlate al titolo di reato in espiazione dalla sentenza numero 253 del 2019, atteso che da un lato la decisione in parola (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1 ord.pen. nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ord. pen., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti) è intervenuta esclusivamente sull’istituto del permesso premio e non sulla ammissione alle misure alternative e dall’altro si è riscontrata, nel caso qui in esame, l’esistenza del presupposto della collaborazione impossibile o inesigibile con apprezzamento «in concreto» della condizione di pericolosità soggettiva tale da impedire l’accesso al beneficio per ragione diversa dalla preclusione legale.

3.2 Ciò posto, va osservato che il nucleo centrale del percorso argomentativo del Tribunale è rappresentato dalla considerazione di perdurante pericolosità sociale del Mazzini, tale da non consentire la formulazione di prognosi favorevole ai sensi dell’art. 47, co. 2, ord.pen., in punto di assicurazione dal pericolo di reiterazione.

Sul punto, se è vero che è onere del Tribunale compiere una verifica esaustiva dei pretesi indicatori di permanente antisocialità, estesa alle condotte posteriori al reato (in tal senso Sez. I, 27.10.1994, ric. Bonicoli, nonché, di recente, Sez. I, n. 31809 del 9.7.2009, rv. 244332 ove si è precisato che la gravità del reato commesso non è di per sé sola ostativa alla concessione del beneficio), nel caso in esame tale verifica risulta realizzata in modo pienamente logico e, pertanto, la sua ridiscussione esula dal perimetro dei motivi deducibili in sede di legittimità.

Il Tribunale ha infatti manifestato un complessivo giudizio negativo sulla personalità del Mazzini, alimentato da considerazioni che legittimamente inquadrano una dimensione di particolare disvalore del fatto in ragione di elementi emersi in sede di cognizione (in particolare, il contributo dichiarativo reso da Fasciani Carmine).

In relazione a tale punto della decisione impugnata non rileva la circostanza di una «minor durata» dell’incarico fiduciario e gestionale risalente alla volontà occulta del Fasciani e svolto dal Mazzini, posto che la dimensione del disvalore del fatto è correlata alla avvenuta accettazione – e allo svolgimento concreto – di un incarico fiduciario in un settore nevralgico della attività del clan, rappresentato dal reinvestimento dei profitti in attività apparentemente lecite.

Inoltre, non è esatto affermare che il Tribunale non prende in esame le condotte posteriori alla consumazione, posto che il pur non modesto intervallo temporale trascorso risulta oggetto di considerazione nella decisione impugnata. Sotto tale profilo la critica non è coerentemente allineata ai contenuti della decisione, atteso che il Tribunale non postula il raggiungimento pieno del processo di revisione critica ma indica elementi di fatto idonei a sostenere l’assenza di seri indizi di ‘avvio’ di tale processo.

3.3 Per le suddette ragioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

4. Alla declaratoria di inammissibilità consegue ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro 3.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2020.

Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal relatore Consigliere Raffaello Magi, è sottoscritto dal solo Consigliere anziano del Collegio per impedimento alla firma del suo Presidente e dell’estensore, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. a), del d.P.C.M. 8 marzo 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.