La cessione del credito non viola l’ordine di pagamento del giudice (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 22 luglio 2020, n. 21988).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VILLONI Orlando – Presidente –

Dott. SILVESTRI Pietro – Rel. Consigliere –

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Pocetti Vito, nato a Treglio il 30/09/1954;

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di L’Aquila il 21/01/2019;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Pietro Silvestri;

udito il Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

udito l’avv. Tito Antonini, difensore della parte civile Marco Giacomelli, che ha concluso riportandosi alle conclusioni del Procuratore Generale, depositando conclusioni scritte.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di L’Aquila ha confermato il giudizio di responsabilità penale nei riguardi di Pocetti Vito in ordine al reato previsto dall’art. 388 cod. pen.

All’imputato è contestato, nella qualità di legale rappresentante della società IGEA s.r.I., debitrice condannata al pagamento della somma di 18.791,00 euro in favore di tale Giacornelli Marco – di essersi sottratto agli obblighi nascenti dalla sentenza di condanna, compiendo atti fraudolenti.

Dalle sentenze di merito emerge in punto di fatto che:

a) la Igea, dopo aver chiesto ed ottenuto una dilazione nel pagamento del debito al solo fine di allungare i tempi del procedimento di esecuzione (9.7.2013), il 3.10.2013 cedette i propri crediti verso la Honda s.p.a. alla società Tieffe (amministrata dalla moglie dell’imputato e della quale era socio lo stesso Pocetti;

b) Giacomelli, ex dipendente della Igea, avrebbe proceduto successivamente, (nell’ottobre di quello stesso anno), ad un pignoramento dei crediti presso la Honda, che tuttavia avrebbe sortito esito negativo per effetto della avvenuta cessione.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato articolando tre motivi.

2.1. Con il primo si lamenta violazione di legge quanto all’art. 388, commi 1- 2, cod. pen.; richiamati una serie di principi giurisprudenziali, si assume che:

a) la Tieffe s.r.l. sarebbe stata socia unica della cedente Igea e che la cessione sarebbe stata compiuta “per razionalizzare la gestione in momenti di forte crisi del mercato e limitare il ricorso esterno al credito” (così il ricorso)- la tesi difensiva è che Tieffe fosse in difficoltà economica;

b) il patrimonio della Igea fosse comunque, cioè nonostante la cessione del credito, abbondantemente capiente rispetto alla ragione creditoria di La cessione del credito, si aggiunge, non potrebbe giuridicamente qualificarsi come atto fraudolento strumentale a sottrarsi all’adempimento dell’obbligo, atteso che, se così fosse stato, ciò avrebbe comportato il coinvolgimento connivente del debitore ceduto; la cessione, inoltre, avrebbe avuto esecuzione anche successivamente “rispetto al venir meno degli obblighi di Igea nei confronti di Giacomelli a seguito della riforma in appello della sentenza di primo grado” civile (così il ricorso).

La prova del reato sarebbe stata fatta erroneamente derivare non dalla mancanza di attivo della società cedente ma dalla scelta del debitore di cedere i suoi crediti verso Honda, valorizzata, in chiave accusatoria, dal fatto che l’imputato avrebbe saputo che Giacomelli – ex dipendente- aveva indirizzato la sua azione esecutiva proprio verso il debitore ceduto.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione e travisamento della prova.

Non sarebbero stati valutati una serie di documenti -oggetto di una memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado- idonei a dimostrare:

a) la capienza del patrimonio della Igea, prima e dopo il pignoramento di Giacomelli, e l’esistenza di altri crediti della Igea verso altri debitori;

b) l’esigenza della società cedente di assicurare alla società cessionaria dotazioni finanziarie adeguate a far fronte alla difficoltà di Tieffe di disporre di una liquidità sufficiente.

Sul punto la motivazione della sentenza sarebbe omessa e illogica.

2.3. .Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione nella parte in cui, nonostante un motivo di appello specifico, è stata riconosciuta la esistenza di un danno in favore della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato quanto ai primi due motivi, essendo il terzo assorbito.

2. Secondo la Corte di appello, la prova della responsabilità penale dell’imputato deriverebbe dalla cessione del credito di cui si è detto, che intercorsa tra la Igea e la sua principale committente, cioè la società Honda, che era debitrice della somma di euro 48.742,20 nei riguardi della stessa Igea; tale dato fattuale sarebbe connesso alla circostanza che la stessa Igea, nel chiedere alla Corte di appello la sospensione della esecutività della sentenza di primo grado, aveva dichiarato di essere “in piena crisi”, con “crollo del fatturato annuo” e “carenza di liquidità”.

Dunque, secondo la Corte di merito, l’atto di cessione, posto in essere pochi giorni prima del pignoramento presso terzi da parte del Giacomelli, sarebbe stato un atto fraudolento, finalizzato a sottrarsi alle obbligazioni nascenti dalla condanna.

3. Si tratta di un ragionamento gravemente viziato.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., non è sufficiente che gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato sui propri o altrui beni siano oggettivamente finalizzati a consentirgli di sottrarsi agli adempimenti indicati nel provvedimento, rendendo così inefficaci gli obblighi da esso derivanti, ma è necessario che tali atti abbiano natura simulata o fraudolenta, siano cioè connotati da una componente di artificio, inganno o menzogna concretamente idonea a vulnerare le legittime pretese del creditore.

E’ in altri termini indispensabile, in tale chiave interpretativa, che l’atto si qualifichi per un quid pluris rispetto alla idoneità a rendere inefficaci gli obblighi nascenti dal provvedimento giudiziario, tanto più in quanto solo così può giungersi, in un’ottica improntata al principio di offensività, a differenziare una condotta solo civilmente illecita (e passibile, nel concorso degli ulteriori requisiti, di azione revocatoria) da una condotta connotata da disvalore penalmente rilevante (Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272171).

Quanto alla nozione di atto fraudolento le stesse Sezioni unite, richiamando la disposizione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall’ art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto […] aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», hanno spiegato che deve considerarsi atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798).

4. La Corte di appello non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati;

in un contesto di chiara anemia probatoria, non è stato spiegato:

a) in cosa sarebbe consistito il carattere fraudolento della cessione del credito;

b) quale sarebbe stato l’effetto di quell’atto sul patrimonio della società cedente;

c) quale fosse in concreto ed effettivamente, la situazione economico patrimoniale della società cedente e perché quell’atto di cessione aumentava il rischio di svuotamento della garanzia patrimoniale.

Su tali profili, la Corte di appello, a fronte di un motivo di impugnazione specifico e fondato su una produzione documentale, ha pigramente richiamato alcune espressioni contenute nella richiesta di sospensione della efficacia della sentenza di primo grado, che, tuttavia, dovevano essere valutate tenendo conto, da una parte, dell’interesse processuale immediato sotteso a quella richiesta di sospensione (quello cioè di rappresentare l’esistenza del pericolo di un grave pregiudizio), e, dall’altra, della documentazione prodotta.

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata; la Corte di appello di Perugia, tenendo conto dei principi indicato, valuterà se ed in che limiti sia configurabile il reato contestato.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia.

Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.