Per i debiti del “de cuius” con il proprio avvocato, a pagare la parcella sarà la consorte anche se era in fase di separazione (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 13 agosto 2020, n. 17122).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26534-2015 proposto da:

DE MUSIS ANGELINA, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ROMBOLA’, rappresentata e difesa dall’avvocato CARMINE SASSO;

– ricorrente –

contro

PUGLIESE ESTER;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 154/2015 del TRIBUNALE di AVELLINO, depositata il 21/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/10/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

R.G. 26534/2015

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso dell’ 11 maggio 2015 l’avvocato Ester Pugliese conveniva in giudizio Angelina De Musis, in qualità di erede del marito Gino Guerriero, chiedendone la condanna al pagamento del compenso professionale spettante per l’attività difensiva svolta in favore di Guerriero nel procedimento di separazione giudiziale, poi dichiarato estinto, iscritto al r.g.n. 4032/2010 del Tribunale di Avellino.

Il Tribunale – con ordinanza 21 luglio 2015, n. 154 – ha accolto il ricorso e ha condannato De Musis a pagare in favore di Pugliese la somma di euro 3.141, oltre a IVA e CPA.

2. Contro l’ordinanza ricorre per cassazione Angelina De Musis.

L’intimata Ester Pugliese non ha proposto difese.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c.

Il ricorso è stato inizialmente assegnato alla sesta sezione, che, con ordinanza n. 1978/2017, ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 1 c.p.c. e ha rimesso il ricorso alla pubblica udienza.

CONSIDERATO CHE

I. Preliminarmente va affermata l’ammissibilità del ricorso.

L’ordinanza impugnata è infatti stata resa dal Tribunale in composizione collegiale ai sensi del comma 2 dell’art. 14 del d.lgs. 150/2011 e pertanto la medesima è inappellabile ex comma 4 del medesimo art. 14 (v., per la diversa ipotesi in cui il Tribunale consapevolmente abbia pronunciato ordinanza monocratica, Cass.24515/2018) e ricorribile in via straordinaria per cassazione.

II. Il ricorso è basato su un unico motivo che lamenta “violazione dell’art. 754 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.”: il Tribunale avrebbe ingiustamente condannato la ricorrente a pagare l’intera somma liquidata all’avvocato Pugliese, sull’erroneo presupposto che fosse lei l’unica erede del Guerriero, quando “non esiste nell’ordinamento nessuna disposizione di legge che stabilisce che in presenza di più chiamati all’eredità – come nel caso in esame – chi accetta l’eredità e assume di conseguenza la qualità di erede deve pagare interamente un debito ereditario”.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha infatti affermato che la ricorrente è obbligata al pagamento dell’intera somma, in quanto, pacifica la sua qualità di erede, non ha provato “la qualità di erede (ma al più la mera qualità di chiamati all’eredità) dei fratelli” del marito.

La ricorrente, d’altro canto, che deduce di non essere l’unica erede di Gino Guerriero perché, nella successione legittima di quest’ultimo, concorre con i fratelli e sorelle del defunto, e cioè Maria, Antonio, Anna, Nina e Liliana e dichiara di averne prodotto “apposita documentazione”, non ha provato l’esistenza di altri eredi, ma, essendosi limitata a depositare la “copia certificato anagrafico dei figli procreati dai coniugi Guerriero Ruchino e Ippolito Lauretta, genitori del defunto Guerriero Gino”, ha – come ha affermato il Tribunale – al più provato la mera qualità di chiamati all’eredità dei germani del marito.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, chi eccepisce l’esistenza di altri coeredi, nonché la divisione “pro quota” del debito ereditario, ha “l’onere di provarne l’esistenza, la consistenza numerica (agli effetti della eccepita divisione del debito in proporzione della rispettiva quota ereditaria), il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi” (così Cass. 2291/1996), prova che il Tribunale ha correttamente ritenuto non essere stata fornita nel caso in esame.

Inconferente è quindi il riferimento, operato dalla ricorrente, all’orientamento che distingue tra l’ambito di operatività dell’art. 752 c.c., che concerne i rapporti tra coeredi, e quello dell’art. 754 c.c., in base al quale i creditori possono pretendere nei confronti di ciascun erede l’adempimento della prestazione divisibile in misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria.

III. Il ricorso va quindi rigettato. Nulla viene disposto in punto spese, non avendo l’intimata svolto difese nel presente giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono, ex art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza della sezione seconda civile, in data 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.