Col proprio autocarro veniva trovato a trasportare materiale ferroso non autorizzato; è un fatto isolato. Sì alla tenuità del reato, quindi non punibilità (Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, Sentenza 2 settembre 2020, n. 24974).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

RESTIVO ANTONINO nato a MARSALA il 12/06/1984;

avverso la sentenza del 23/05/2019 del TRIBUNALE di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alessio SCARCELLA;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marilia DI NARDO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 23.05.2019, il tribunale di Roma dichiarava il Restivo colpevole del reato di gestione non autorizzata di rifiuti (art. 256, co. 1, lett. a), TUA), per aver esercitato con il proprio autocarro attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani e/o speciali e non pericolosi prodotti da terzi consistenti in rottami ferrosi, lignei ed altri rifiuti in genere, senza la prescritta iscrizione all’Albo gestori a norma dell’art. 212, D.Igs. 3 aprile 2006, n. 152, contestato come commesso in data 27.05.2016, e condannandolo, con il concorso di attenuanti generiche, alla pena di 1.800,00 euro di ammenda, con i doppi benefici di legge.

2. Contro la sentenza ha proposto atto di appello, il difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta di esclusione della punibilità del reo per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis, c.p.

In sintesi, l’appellante sostiene che la sentenza suscita perplessità laddove non ha ritenuto di dover applicare la richiesta causa di non punibilità di cui all’art. 131- bis, c.p., essendo peraltro la decisione basata su argomentazioni contraddittorie rispetto alle risultanze probatorie, la cui corretta valutazione, nel merito, avrebbe dovuto condurre all’applicazione della predetta causa di non punibilità.

Sul punto, nonostante fosse stata espressamente fatta richiesta in sede di discussione, il giudice non avrebbe motivato, limitandosi esclusivamente a spiegare quale fosse il proprio convincimento in ordine alla vicenda, ritenendo comunque la modestia dell’offensività del fatto, come desumibile dal riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ciò che confermerebbe come il giudice fosse convinto della lievità dell’offesa al bene giuridico.

Da un punto di vista oggettivo, peraltro, vi erano le condizioni per il riconoscimento di detta causa di non punibilità, in quanto l’attività di raccolta dei rifiuti non rappresentava un’attività posta in essere in maniera abituale, ma esclusivamente un episodio isolato e sporadico, posto in essere in un momento di bisogno e di difficoltà economica, come documentato dallo stato di grave malattia della figlia minore e dell’assoluto stato di indigenza in cui versava la famiglia, e come evincibile del resto dalla assenza di precedenti penali a suo carico.

Nella specie, il trasporto di pochi rifiuti non rappresentava un danno grave ed irreparabile, considerato anche il carattere assolutamente isolato del fatto.

Il reo, pertanto, avrebbe agito con superficialità, ma il suo comportamento non avrebbe comportato alcun danno, attesa anche l’assenza di abitualità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, così potendosi riqualificare giuridicamente la proposta impugnazione che, sia nella forma che nella sostanza, deduce un vizio di violazione di legge valutabile da questa Corte, è fondato.

2. Ed invero, risulta dalla sentenza impugnata che, all’esito della discussione svoltasi dinanzi al giudice del dibattimento, la difesa dell’allora imputato Restivo aveva chiesto, in subordine alla applicazione della sola ammenda e dei benefici di legge, che il proprio assistito fosse “assolto” per particolare tenuità del fatto.

Il giudice, pur aderendo alla richiesta principale, avendo inflitto la sola pena dell’ammenda e riconosciuto i doppi benefici di legge, non ha ex professo motivato in ordine alla richiesta subordinata, tuttavia ritenendo, in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio ex art. 133, c.p., che, in relazione in particolare alla “modesta offensività del fatto nel suo complesso”, di poter riconoscere le circostanze attenuanti generiche, muovendo da una pena base di 2.700,00 euro di ammenda e riconoscendo al medesimo i doppi benefici di legge.

2.1. E’ ben vero, osserva il Collegio, che nella giurisprudenza di questa Corte è stato più volte affermato il principio per cui in tema di “particolare tenuità del fatto”, la motivazione può risultare anche implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado. (tra le tante, Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018 – dep. 09/04/2019, D, Rv. 275635-02).

Tuttavia, proprio l’applicazione di tale principio nel caso esame, esclude che il giudice abbia inteso implicitamente disattendere la richiesta subordinata, in quanto la valutazione da questi condotta, in realtà, era orientata ad escludere la gravità oggettiva del fatto-reato, tanto da esprimersi in termini di “modesta offensività del fatto nel suo complesso”, sì da giustificare le circostanze attenuanti generiche e l’irrogazione di una pena contenuta nel minimo edittale (peraltro, optando per la pena pecuniaria e non per quella detentiva, a riprova di un giudizio di scarsa offensività del fatto, muovendo in ogni caso da una pena base di 2.700,00 euro di ammenda, di poco superiore al minimo edittale, laddove si consideri che la violazione dell’art. 256, co. 1, lett. a), d. Igs. 152 del 2006, è punita “con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi”), perdi più riconoscendo al medesimo imputato i doppi benefici di legge.

3. Ricorrendo le condizioni oggettive e soggettive previste dall’art. 131-bis, c.p., e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto alla luce delle argomentazioni sviluppate dalla difesa nell’atto di impugnazione (che, come detto, può essere qualificato come ricorso per cassazione, pur a fronte della natura del mezzo proposto, atto di appello, trattandosi di condanna alla pena pecuniaria dell’ammenda, in quanto tale inappellabile ex art. 593, co. 3, c.p.p.), può ritenersi applicabile la causa di non punibilità richiesta, senza necessità di disporre l’annullamento con rinvio, in base al disposto dell’art. 620, lett. I), c.p.p.

Come già affermato nella giurisprudenza di questa Corte, infatti, la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131- bis cod. pen., nel giudizio di legittimità, può essere ritenuta, senza rinvio del processo nella sede di merito, in presenza di un ricorso ammissibile, anche se esclusa nel giudizio di appello, a condizione che i presupposti per la sua applicazione siano immediatamente rilevabili dagli atti e non siano necessari ulteriori accertamenti fattuali a tal fine (tra le tante: Sez. 1, n. 27752 del 09/05/2017 – dep. 05/06/2017, Menegotti, Rv. 270271 – 01).

4. All’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza, non segue tuttavia la revoca della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, disposta a norma dell’art. 260 – ter, co. 5, d. Igs. n. 152 del 2006, atteso che tale ultima disposizione, prevede che la confisca “..consegu(a) obbligatoriamente anche all’accertamento delle violazioni di cui al comma 1 dell’articolo 256”.

Il riferimento al solo “accertamento del reato”, quale condicio sine qua non per l’operatività della confisca obbligatoria, deve essere inteso nel senso che per l’adozione della misura ablatoria non è richiesta necessariamente la pronuncia di una sentenza di condanna e, del resto, l’applicazione della causa di non punibilità dell’art. 131-bis, c.p., non esclude la rilevanza penale del fatto ma ne attesta solo il profilo di particolare tenuità.

A sostegno di quanto sopra, si noti, questa stessa Corte ha ritenuto che, in tema di guida in stato di ebbrezza, in caso di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudice, in ossequio al principio di legalità, non può disporre la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, in quanto prevista dall’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, nei soli casi di sentenza di condanna o di patteggiamento (In motivazione la Corte ha precisato che diversa soluzione si giustifica in relazione alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente poiché essa, ai sensi della medesima disposizione di legge, consegue all’accertamento del reato: Sez. 4, n. 7526 del 04/12/2018 – dep. 19/02/2019, PG c/ Gansi, Rv. 275127-01).

Nessun dubbio, infine, in ordine al mantenimento della confisca e distru- zione dei rifiuti, disposta ex art. 240, c.p., trattandosi di misura di sicurezza, la cui adozione è obbligatoria anche in caso di proscioglimento dell’imputato per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., restando esclusa soltanto nell’ipotesi di assoluzione nel merito per insussistenza del fatto.

5. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 84 del 2016, la presente motivazione è redatta in forma semplificata, trattandosi di ricorso che riveste le caratteristiche indicate nel predetto provvedimento Presidenziale, ossia ricorso che, ad avviso del Collegio, non richiede l’esercizio della funzione di nomofilachia o che solleva questioni giuridiche la cui soluzione comporta l’applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi da questo Collegio, o attiene alla soluzione di questioni semplici o prospetta motivi manifestamente fondati, infondati o non consentiti.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché l’imputato non è punibile per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis, c.p., ferme restando le statuizioni accessorie.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.