L’ex Prefetto di Cosenza ricorre contro la misura cautelare del divieto di dimora nel Comune di Cosenza. Rigettato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 22 dicembre 2020, n. 37118).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Rel. Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su ricorso presentato da:

Galeone Paola, nata a Taranto il 05/08/1961;

avverso l’ordinanza del 11/06/2020 del Tribunale di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ercole Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Francesca Romana Pirrelli, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l’indagata l’avv. Vincenzo Belvedere, anche in sostituzione dell’avv. Gian Domenico Caiazza, che ha concluso chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Catanzaro, adito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., confermava il provvedimento del 18 febbraio 2020 con il quale il Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Cosenza aveva rigettato una richiesta di revoca delle misure cautelari del divieto di dimora nel comune di Cosenza e di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio applicate a Paola Galeone, sottoposta ad indagini in relazione al reato di cui all’art. 391 quater cod. pen., commesso il 28 dicembre 2019 abusando della sua qualità di prefetto di Cosenza.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso la Galeone, con atto sottoscritto dai suoi difensori, la quale ha dedotto, con un unico motivo, il vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per avere il Tribunale dell’appello cautelare confermato l’impugnato provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, senza tenere adeguatamente conto del fatto che, dopo l’applicazione delle due indicate misure cautelari personali, la prevenuta è stata “messa a disposizione” con provvedimento adottato dal Ministero dell’interno il 27 gennaio 2020, con decorrenza dal precedente 9 gennaio: elemento, questo, sufficiente a far venir meno la prospettata esigenza connessa al pericolo di recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

2. Va premesso che il motivo articolato con l’atto di impugnazione è stato dedotto non in termini di violazione di una norma di legge processuale ma esclusivamente con riferimento ad un asserito vizio della motivazione del provvedimento gravato.

In tale ottica, va ricordato come costituiscano espressione di un consolidato orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità i principi secondo i quali la motivazione del provvedimento in materia di misure cautelari è censurabile in sede di legittimità solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (in questo senso, tra le tante, Sez. 6, Sentenza n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244); e, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione che deduca l’assenza o l’attenuazione delle esigenze cautelari è ammissibile solo se denuncia la violazione di specifiche norme di legge o la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, ma non anche quando propone censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, o che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (così, tra le altre, Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, Paviglianiti, Rv. 270628).

Alla luce di tali regulae iuris deve escludersi che la sussistenza di alcuno dei vizi denunciati nell’ordinanza emessa in sede di appello cautelare dal Tribunale catanzarese che, con motivazione congrua, che resta immune da qualsivoglia censura di manifesta illogicità, ha chiarito come sia sostanzialmente ininfluente rispetto al già ravvisato concreto e attuale pericolo che l’indagata possa tornare a commettere gravi reati della stessa specie di quello per il quale si procede – bisogno di cautela che, si è evidenziato, era stato riconosciuto dopo che la prevenuta era stata già sospesa, con decreto del Ministro dell’interno, dal servizio di Prefetto di Cosenza – la circostanza che la Galeone sia stata in seguito dichiarata cessata da quelle funzioni e collocata a disposizione ai sensi dell’art. 237 d.P.R. n. 3 del 1957: avendo il Collegio dell’appello convincentemente spiegato come, in base agli indirizzi esegetici della giurisprudenza amministrativa in materia, quello della ‘messa a disposizione’ di un prefetto sia provvedimento di alta amministrazione, dunque di natura fiduciaria e discrezionale, che non impedisce l’attribuzione all’interessato di altri incarichi speciali, e che, in ogni caso, ben potrebbe essere revocato nel momento in cui dovessero cessare gli effetti delle misure cautelari disposte nel procedimento penale; effetti che, perciò, rappresentano l’unica stabile e concreta ragione di impedimento alla ripresa della sue funzioni da parte della indagata.

3. Nel corso della discussione nell’odierna udienza camerale, la difesa della indagata ha fatto pure riferimento alla possibilità di revocare anche la sola misura cautelare coercitiva applicata in ragione della sopravvenuta mancanza dell’esigenza cautelare connessa all’acquisizione e alla genuinità della prova: tema, questo, che tuttavia non ha costituito oggetto del ricorso e non è stato, dunque, devoluto alla cognizione di questa Corte di cassazione.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Il quotidiano de “La Gazzetta del Sud“, il 12 giugno 2020, titola: “Accusata di corruzione, l’ex prefetto di Cosenza chiede la revoca dell’obbligo di dimora”.