REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. TRIPICCIONE Debora – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Mihai Viorel nato in Romania l’11/6/19xx;
avverso la sentenza del 4 dicembre 2020 emessa dalla Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Debora Tripiccione;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vincenzo Senatore, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo c) dell’imputazione, e la dichiarazione di inammissibilità nel resto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 4 dicembre 2020 la Corte di appello di Brescia ha confermato la sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato con la quale Mihai Viorel (OMISSIS) è stato condannato alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione per i reati, unificati sotto il vincolo della continuazione, di resistenza aggravata (capo A), lesioni aggravate (capo B) e illegale detenzione di una bomboletta spray contenente gas lacrimogeno, in quanto arma comune da sparo (capo C).
2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia di Mihai Viorel (OMISSIS) deducendo due motivi di seguito riportati nei limiti strettamente necessari per la motivazione:
– vizi cumulativi di violazione di legge, erronea applicazione della legge e di motivazione in ordine alla ritenuta qualificazione della bomboletta spray come arma comune da sparo.
Detta qualificazione si fonda sul riferimento contenuto nell’art. 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110 alle armi “ad emissione di gas”, frutto di un errore di traduzione dal testo della Convenzione di Strasburgo del 1978 in cui si parlava di “armes à propulsion a gas” con riferimento alla categoria generali delle armi ad aria o gas compressi.
Nel caso in esame la bomboletta conteneva un gas che ha anche uso militare (“paralisant CS GAS”) che diventa materiale di armamento solo se confezionato in contenitori di grosse dimensioni e presente in elevata concentrazione.
Tale qualificazione non è, invece, ravvisabile ove detti gas si trovino in bombolette di modeste dimensioni e siano diluiti in modo da ridurne la pericolosità, potendosi, al più, ravvisare il reato di cui all’art. 4 della legge n. 110 del 1975.
Inoltre, quand’anche si volesse ritenere la bomboletta quale arma comune da sparo, non vi è prova che l’imputato avesse la proprietà o il possesso di tale arma, posto che il (OMISSIS) conviveva con la figlia ed il suo fidanzato.
Nell’ambito dello stesso motivo si deduce, infine, l’erronea individuazione del reato più grave in quello di resistenza aggravata anziché in quello di cui al capo C).
– vizi cumulativi di violazione di legge, erronea applicazione della legge e di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonostante gli elementi favorevoli indicati dal ricorrente consistenti nell’incensuratezza e nella resipiscenza dimostrata.
3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al capo C) dell’imputazione, da riqualificare nel reato di cui all’art. 697 cod. pen., previa verifica delle caratteristiche di offensività stabilite dall’art. 1, d.m. n. 103 del 2011.
Ha richiamato, a tal fine, Sez. 1, n. 15083 del 10/02/2021, D’Italia, Rv. 280903 secondo cui “integra la contravvenzione di cui all’art. 699 cod. pen. il porto in luogo pubblico di una bomboletta contenente “spray” urticante a base di “oleoresin capsicum”, a condizione che ne siano accertate in giudizio le caratteristiche di offensività stabilite dall’art. 1 del decreto ministeriale 12 maggio 2011, n. 103, non rilevando, a tal fine, l’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’art. 2 del citato D.M.”
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e genericità dei motivi articolati dal ricorrente.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata ha correttamente considerato quale arma comune da sparo la bomboletta spray detenuta dall’imputato, ponendo l’accento sia sulla natura del gas in essa contenuto, qualificato come un “aggressivo chimico”, che sulle sue potenzialità nocive (essendo lo stesso fortemente irritante per la pelle e gli occhi).
Tale condivisibile soluzione ermeneutica costituisce una coerente applicazione del consolidato e pacifico principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui “Integra il reato previsto dall’art. 4 L. 2 ottobre 1967, n. 895 e succ. modd., il porto in luogo pubblico di una bomboletta spray contenente gas urticante idoneo a provocare irritazione degli occhi, sia pure reversibile in un breve tempo, in quanto idonea ad arrecare offesa alla persona e come tale rientrante nella definizione di arma comune da sparo di cui all’art. 2 L. n. 110 del 1975 (Sez. 1, n. 11753 del 28/02/2012, Cecchetti, Rv. 252261; Sez. 1, n. 44994 del 14/11/2007 , Amantonico, Rv. 238704).
In particolare, la qualificazione della bomboletta contenente gas urticante come arma comune da sparo si fonda sul dato letterale desumibile dall’art. 2, comma 3, legge 18 aprile 1975, n. 110 che considera tali, tra le altre, “quelle…ad emissione di gas..”
Si considera, inoltre, la potenzialità nociva del contenuto, trattandosi, comunque, di aggressivi chimici – quale, nel caso in esame, il gas CS – idonei a compromettere, anche in via temporanea, l’integrità della persona.
Peraltro, qualora l’elevata concentrazione del gas determinasse una spiccata potenzialità nociva del contenitore che lo racchiude, potrebbe ravvisarsi un’arma da guerra, ai sensi dell’art. 1, legge n. 110 del 1975.
La norma, infatti, considera tali le armi di ogni specie che, per la loro spiccata potenzialità di offesa, sono o possono essere destinate al moderno armamento delle truppe nazionali o estere per l’impiego bellico, nonché le bombe di qualsiasi tipo o parti di esse, gli aggressivi chimici, biologici, radioattivi, i congegni bellici micidiali di qualunque natura, le bottiglie e gli involucri esplosivi o incendiari.
Alla luce di tale ampia definizione normativa, questa Corte (Sez. 2, n. 946 del 09/07/1981, dep. 1982, Boscarolo, Rv. 151891) ha, ad esempio, considerato quali armi da guerra i candelotti lacrimogeni poiché compresi tra gli “aggressivi chimici”.
In tale arresto la Corte ha, altresì, chiarito che rientrano in questa categoria «tutte le sostanze gassose, liquide o solide, che, diffuse nell’aria e sparse sulle acque del terreno, producano negli esseri viventi lesioni anatomico-funzionali di varia natura, tali da compromettere, in via definitiva o anche soltanto temporanea, l’integrità dell’organismo umano.
In relazione agli effetti che producono sull’organismo medesimo, tali sostanze si distinguono in asfissianti (cloro, bromo, perossido di azoto), tossiche (acido cianidrico), vescicatorie (iprite), nervine, irritanti (cloroacetofenone), come i lacrimogeni.»
2.1 Ritiene, dunque, il Collegio che, alla stregua della qualificazione quale arma comune da sparo della bomboletta spray detenuta dall’imputato, la relativa detenzione è stata correttamente ricondotta nell’ambito di operatività degli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895.
Non possono, pertanto, essere condivise le conclusioni formulate dal Procuratore Generale con riferimento al capo C) dell’imputazione che, ad avviso del Collegio, appaiono frutto di un’erronea estensione alla fattispecie in esame della disciplina recentemente introdotta per le bombolette spray contenenti, non aggressivi chimici, bensì un principio attivo naturale a base di Oleoresin Capsicum.
Si tratta, infatti, di due diverse sostanze – una, il gas CS, di natura chimica (si tratta, infatti, di orto-clorobenziliden-malononitrile), e l’altra, invece, naturale – dotate di differente potenzialità offensiva.
L’impiego del gas CS è, inoltre, consentito alle sole forze di polizia (si veda, al riguardo, l’articolo 12, comma 2, del d.P.R. 5 ottobre 1991, n. 359, che, con riferimento agli artifici sfollagente per lancio, sia a mano che con idoneo dispositivo o con arma lunga, precisa che «entrambi sono costituiti da un involucro contenente una miscela di CS o agenti similari, ad effetto neutralizzante reversibile»).
Di contro, il c.d. spray al peperoncino rappresenta uno strumento utilizzabile per l’autodifesa.
In particolare, il d.m. 12 maggio 2011, n. 103 (Regolamento concernente la definizione delle caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un principio attivo naturale a base di Oleoresin Capsicum e che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona, in attuazione dell’articolo 3, comma 32, della legge n. 94/2009) all’art. 1, comma 1, prevede che gli strumenti di autodifesa di cui all’articolo 2, comma 3, della legge 18 aprile 1975, n. 110, in grado di nebulizzare una miscela irritante a base di oleoresin capsicum e che non hanno attitudine a recare offesa alle persone, devono possedere specifiche caratteristiche tecniche, nell’ambito delle quali, alla lettera c), esclude espressamente che gli stessi possano contenere sostanze infiammabili, corrosive, tossiche, cancerogene o aggressivi chimici (come il gas CS).
La stessa norma, oltre ad introdurre una perimetrazione dell’ambito di applicazione dell’art. 2, comma 3, legge n. 110 del 1975 (recante, si ribadisce, l’elencazione degli strumenti che, per legge, rientrano nella nozione delle armi comuni da sparo), precisa, al secondo comma, che gli strumenti di autodifesa non conformi alle specificate caratteristiche tecniche rimangono disciplinati dalla normativa in materia di armi.
Alla luce di tale chiaro dettato normativo, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso che la bomboletta contenente “spray” urticante a base di peperoncino (in particolare, roleoresin capsicum”, principio estratto dalle piante di peperoncino) possa essere ricompresa tra le armi comuni da sparo ovvero tra quelle da guerra o tipo guerra (Sez. 1, n. 14807 del 07/01/2016, Delmastro, Rv. 267284).
Si è, inoltre, affermato che il porto in luogo pubblico di detta bomboletta contenente “spray” urticante a base di “oleoresin capsicum” che non rispetti le caratteristiche stabilite dal decreto ministeriale 12 maggio 2011 n. 103 integra gli estremi della contravvenzione di porto abusivo di armi di cui all’art. 699 cod. pen., e non, invece, del delitto previsto dall’art. 4 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, e succ. modif.( Sez. 1, n. 15083 del 10/02/2021, D’Italia, Rv. 280903; Sez. 1, n. 57624 del 29/09/2017, Greco, Rv. 271901; Sez. 1, n. 14807 del 07/01/2016, Delmastro, Rv. 267284).
3. E’, altresì, manifestamente infondata la censura relativa all’individuazione del reato più grave in quello di cui al capo a) dell’imputazione.
La Corte territoriale, infatti, conformemente all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 25939 del 28/02/2013, Ciabotti, Rv. 255347) ha individuato in astratto la violazione più grave, sulla base della pena edittale prevista per ciascun reato, tenendo, altresì, conto delle circostanze contestate e del giudizio di comparazione.
4. Il secondo motivo ricorso è inammissibile in quanto generico e reiterativo di analogo motivo di appello.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, da cui il Collegio non intende discostarsi, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (tra le tante, Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
A tal fine, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole, all’entità del reato, alle modalità di esecuzione di esso (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549 – 02) o alla condotta del reo successiva al reato (Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Carillo, Rv. 275509 – 03) può risultare all’uopo sufficiente.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo di tali coordinate ermeneutiche e, con una motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha posto l’accento, quali fattori negativi, sull’intensità del dolo e sulla evidente pericolosità della condotta.
5. All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6. Inoltre, il ricorrente va condannato al pagamento della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2021.