Appunti e brogliacci sono indizi gravi, precisi e concordanti (Corte di Cassazione, sez. Tributaria Civile, ordinanza 28 giugno 2017, n. 16060).

In tema di accertamento tributario la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e informazioni dell’imprenditore, anche se pervenuta presso terzi, costituisce un valido elemento indiziario pacificamente dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 39 d.P.R. n. 600/1973.

…, omissis …

Fatti di causa

La srl EDIL C.M. propone ricorso per cassazione, sulla base di nove motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità della pretesa manifestata con l’avviso di accertamento con il quale, ai fini dell’IVA, dell’IRAP e dell’IRPBG per il periodo d’imposta 2003, venivano contestati ricavi non contabilizzati per Euro 1.730.215 e costi non di competenza per Euro 5.780, sulla base di una verifica della Guardia di finanza, conclusasi il 30 giugno 2006, nel corso della quale era stata rinvenuta documentazione extra contabile, consistente in undici registri intestati “scadenziari attivi” e riportanti annotazioni di assegni bancari e cambiali ricevuti dalla contribuente.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 39, primo comma, lettera d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, la ricorrente assume che sarebbero stati confusi i presupposti previsti dalla norma per procedere alla determinazione induttiva del reddito con i risultati dell’accertamento stesso, ossia con i maggiori ricavi accertati, il cui ammontare non sarebbe “risultato fondato, all’evidenza, su gravi, precise e concordanti presunzioni”.

Con il secondo motivo denuncia omessa motivazione sulla rilevanza delle presunzioni a sostegno della determinazione induttiva del reddito in mancanza di prova diretta in ordine ai ricavi accertati, mentre con il terzo si duole della insufficiente motivazione in merito al mancato assolvimento della prova, da parte di essa contribuente, con riferimento agli incassi ed alle relative registrazioni.

Con il quarto ed il quinto motivo lamenta, rispettivamente, l’insufficiente e la contraddittoria motivazione in relazione a quanto emerso dalla c.t.u. circa la verifica della G. di f. .

Con il sesto motivo, denuncia insufficiente motivazione in merito alla ritenuta irrilevanza, in via subordinata, dei componenti positivi di reddito per i quali risulta la corrispondenza delle scritture contabili della società e l’assoggettamento a tassazione.

Con il settimo motivo denuncia “violazione dell’art. 14 del D.P.R. 600/73 in relazione alla mancata qualificazione come scritture ausiliarie delle scritture relative ai conti sospesi”.

Con l’ottavo motivo denuncia “violazione dell’art. 53 Cost. e dell’art. 109, comma 4, tuir laddove non sono stati considerati in riduzione i costi correlati ai presunti ricavi ripresi a tassazione”.

Con il nono motivo denuncia insufficiente motivazione in merito alle ragioni per cui le competenze del ctu, concernenti un’unica consulenza tecnica, siano state applicate separatamente per ciascuna annualità esaminata nella ctu stessa, in luogo che unitariamente intese.

I primi tre motivi, nonché il sesto ed il settimo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente legati, sono infondati.

Nell’accertamento tributario, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni dell’imprenditore, anche se rinvenuta presso terzi, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 e legittima di per sé, a prescindere da ogni altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass. n. 24051 del 2011, n. 14150 del 2016); tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. sono infatti compresi “tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico dell’attività svolta.

Ne consegue che detta “contabilità in nero”, per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli” (Cass. n. 4080 del 2015, n. 20094 del 2014).

II giudice d’appello non incorre negli errori di diritto ad esso addebitati nel ricostruire, alle pagine 7 e 8 della sentenza impugnata, i principi fissati dall’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, e nel farne quindi corretta applicazione (“..con il pvc è stato rilevato: la presenza materiale di soli Euro 801 a fronte del saldo contabile di Euro 172.086, con un ammanco di cassa per Euro 171.285; la presenza di 11 brogliacci, definiti “scadenziari attivi”, riportanti assegni post-datati (per il 75%) e cambiali, in buona parte incassati direttamente dal legale rappresentante della società, Ma. Ge.; la presenza di un libro giornale non vidimato e non bollato, tenuto a fogli mobili con il sistema di contabilità meccanizzata; la registrazione di costi non inerenti.

Tali copiosi e rilevanti elementi di fatto…, vanno indubbiamente ad integrare quei requisiti di gravità precisione e concordanza richiesti dall’art. 29, comma 1, lettera d), del detto D.P.R. 600/73 per procedere sulla base di presunzioni, per cui il metodo di accertamento induttivo operato va dichiarato pienamente legittimo”).

La Commissione regionale con riguardo alla determinazione del reddito, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione sulla legittimità della ricostruzione induttiva del reddito imponibile a seguito del ritrovamento di una contabilità parallela, a prescindere da altri elementi, ha osservato che nella specie il controllo incrociato tra documenti extra contabili e contabilità della società era stato effettuato dalla G. di f., “che proprio attraverso la comparazione dei brogliacci con la contabilità generale (non solo il libro giornale, ma anche i “sottoconti clienti” – in cui non risultavano precisate le caratteristiche e l’iter dei titoli di credito ricevuti in pagamento – ed il sottoconto “effetti attivi”, v.pagg. 5 e 6 pvc), ha determinato i ricavi non dichiarati, sulla base dei dati dei primi non riportati nei libri contabili ufficiali”.

Con riguardo alla prova contraria, che in conseguenza di tale accertamento gravava sulla società contribuente, il giudice d’appello ha osservato che essa non aveva fornito alcun elemento, essendosi limitata a sostenere che i brogliacci costituivano scritture ausiliarie utilizzate per monitorare i crediti a media e lunga scadenza, costituenti elementi finanziari non riportabili nella contabilità obbligatoria, e non aveva fornito alcun chiarimento circa la data di incasso e le relative registrazioni e tantomeno circa le fatture asseritamente rilasciate a fronte di ciascun effetto annotato.

Il quarto ed il quinto motivo sono del pari infondati, avendo il giudice di merito evidenziato che il ctu, “nel confermare sostanzialmente le conclusioni del pvc, pur rilevando elementi di criticità in ordine ad alcune discordanze contabili definite modeste ed alla metodologia adottata, v. pagg. 15 e 16 ctu, afferma che la società ricorrente non ha mai fornito analitiche prove contrarie rispetto agli specifici ed analitici addebiti della G.d.f.”.

L’ottavo motivo è infondato, ove si consideri che secondo il consolidato orientamento di questa Corte nell’accertamento induttivo delle imposte sui redditi, “l’Amministrazione è tenuta a ricostruire la situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito, purché emergenti dagli accertamenti o dimostrate dal contribuente, su cui grava l’ onere della prova dei costi deducibili dall’ammontare dei ricavi induttivamente determinati” (Cass. n. 22266 del 2016): una siffatta prova la società contribuente non ha offerto.

Il giudice d’appello ha osservato, ed ha in proposito argomentato (a pag. 11), anche alla luce dell’art. 109 del tuir, che gli eventuali costi non registrati non erano deducibili, “sia perché non sono certi (non avendo la Edil CM chiarito da chi e quando gli acquisti sarebbero stati operati), sia perché non quantificabili; al riguardo si osserva che non è possibile fare riferimento a generiche medie di mercato, né all’incidenza dei costi sul venduto elaborati dagli studi di settore ad altri fini”.

Va, infine, disatteso l’ultimo motivo.

Giova anzitutto osservare, in generale, come “in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa” (Cass. n. 13229 del 2011).

Nella specie, il giudice d’appello ha spiegato le ragioni per le quali le competenze del ctu, concernenti un’unica consulenza tecnica relativa a tre periodi d’imposta (i cui accertamenti erano stati oggetto di altrettanti giudizi), siano state applicate dal primo giudice separatamente per ciascuna annualità esaminata nella ctu stessa, in luogo che unitariamente intese: l’importo delle competenze liquidate da quel giudice al ctu “appare adeguato alla natura dell’elaborato e al valore della causa, da considerare di per sé, a prescindere da altre cause similari”.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso. 

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese in del giudizio, liquidate in Euro 10.200 oltre alle spese prenotate a debito.