Armi: divieto di detenzione viziato se manca una reale motivazione. A sostenerlo è il Tar di Salerno con sentenza n. 994 dell’1.06.2017.

Il Tar Salerno ci riporta alla ben nota questione della mancanza di motivazione del divieto di detenzione armi.

La vicenda

Il principio di fondo di questa pronuncia è semplicemente questo: il provvedimento di divieto detenzione armi è viziato se omette di motivare per quale ragione da certi reati commessi si desume l’inaffidabilità nella detenzione.

Parliamo di reati che non hanno una diretta relazione con l’uso delle armi.

Il Tribunale ancora una volta scardina (sia pur a notevole distanza di tempo dall’inizio della causa) errate convinzioni dell’amministrazione.

In buona sostanza, dice: il divieto di detenzione è viziato se è povero nella motivazione, cioè se non spiega per quale ragione dai reati commessi e non legati all’uso delle armi se ne fa derivare per l’interessato:

 

  1. a) l’inaffidabilità nella detenzione,

 

  1. b) una personalità violenta,

 

  1. c) una personalità aggressiva o priva di autocontrollo.

La questione viene esaminata partendo da questa specifica vicenda: il ricorrente impugna il diniego in quanto il Questore respinge l’istanza tesa ad ottenere il nulla osta alla detenzione di armi (cinque fucili e alcune cartucce) nella propria abitazione, a seguito del decesso del padre (persona che, a giudizio dell’autorità, non offriva sufficienti garanzie di affidabilità).

La soluzione del Tar

È favorevole al ricorrente.

Bisogna seguire gli orientamenti prevalenti in materia, sostiene l’avveduto Collegio, che accentuano la necessità di avere una congrua motivazione sulle ragioni, concrete ed attuali, dalle quali si desuma il rischio di un abuso delle armi in questione.

La massima giurisprudenziale presa a riferimento è questa: “il provvedimento di divieto di detenzione armi è viziato laddove omette di motivare per quale ragione da reati commessi, nei quali difetta una diretta relazione con l’uso delle armi, si possa desumere l’inaffidabilità nella detenzione, nell’uso e nella custodia delle armi stesse, o il possesso di una personalità violenta” (Tar Basilicata, sentenza n. 261 del 26.05.2015).

Tanto per essere chiari, le frasi stereotipe che l’amministrazione utilizza (ma non può utilizzare) sono quelle del tipo: “lette le note informative dei competenti organi di polizia”.

Si tratta, come si vede bene, di un simulacro di motivazione e non di una reale motivazione idonea a mettere in collegamento la vita precedente della persona con la sua presunta inaffidabilità nell’uso delle armi.

Conclude il Tar in questo modo.

Anche scendendo nel dettaglio della vicenda (due remote denunce: detenzione e spaccio di sostanze psicotrope, porto e detenzione di arma bianca) le autorità concludono in senso favorevole all’accoglimento dell’istanza, mettendo in risalto la buona condotta morale e civile del soggetto, l’assenza di malattie mentali o etilismo, l’assenza di altri elementi che possano far propendere per una prognosi infausta sull’uso delle armi da parte sua o da parte di altri membri della famiglia.

In pratica

Il senso di tutto questo è il seguente: episodi remoti, a suo tempo forse significativi sotto il profilo penale, oggi mancano del requisito dell’attualità, in quanto superati non solo dalla intervenuta riabilitazione ma più in generale da una prevalente buona condotta della persona interessata.

Il rigore della legge penale non è eterno.