(Corte di Cassazione penale sez. IV, sentenza del 28 novembre 2014, n. 49726)
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.L. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 351/2013 pronunciata dalla Corte d’appello di Lecce, sez. distaccata di Taranto il 12/3/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell’udienza pubblica del 6/11/2014 la relazione fatta dal Cons. Dott. DELL’UTRI Marco;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. POLICASTRO A., che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv.to Pagano C. del foro di Genova, che ha concluso per l’accoglimento del relativo ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa in data 12/3/2013, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la decisione in data 21/10/2011 con la quale il Tribunale di Taranto ha condannato M. L. alla pena di sei mesi di reclusione in relazione al reato di omicidio colposo commesso, in violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai danni di Mo.St., in (OMISSIS) (decesso avvenuto il (OMISSIS)).
All’imputato era stata originariamente contestata la violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, nonchè l’inosservanza delle norme di colpa specifica richiamate nel capo d’imputazione, per aver omesso, in qualità di amministratore delegato della ditta Cetena e datore di lavoro del prestatore infortunato, di predisporre un adeguato documento di valutazione dei rischi che tenesse conto del pericolo di scivolamento e caduta dall’alto dei dipendenti impegnati sulle gradinate del bacino di carenaggio costruito all’interno dell’Arsenale della Marina Militare di Taranto e, conseguentemente, di predisporre un idoneo sistema di trattenuta e protezione, con la conseguenza che, in occasione della vicenda oggetto di giudizio, il dipendente Mo.St., scendendo dai gradoni del bacino dell’altezza di m. 1,60 l’uno, perdeva l’equilibrio e precipitava rovinosamente da un’altezza di circa sei metri, riportando gravissime lesioni che ne cagionavano il decesso.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, per aver erroneamente ravvisato la responsabilità dell’imputato sul presupposto dell’avvenuta conoscenza, da parte dello stesso, che le operazioni di predisposizione dei presupposti per la rilevazione del rumore prodotto dal sommergibile immerso nel bacino dell’Arsenale della Marina militare di Taranto sarebbe stata eseguita, non già dal sommozzatore della marina militare, ma, a secco, da lavoratori della stessa impresa del M.; acquisizione di conoscenza alla quale non sarebbe seguita la decisione di procrastinare l’esecuzione dell’operazione o di prescrivere l’adozione delle cautele aggiuntive imposte dalla particolare situazione di fatto.
In particolare, i giudici del merito avrebbero tratto la convinzione della conoscenza di tale situazione, da parte dell’imputato, sulla base dell’erronea interpretazione delle deposizioni testimoniali acquisite nel corso del giudizio.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la corte d’appello trascurato di considerare la piena idoneità del documento di valutazione dei rischi regolarmente redatto dall’impresa dell’imputato, e che l’infortunio occorso al Mo.
doveva ritenersi imputabile esclusivamente all’abnormità del relativo comportamento, tenuto conto della qualità di preposto dallo stesso rivestita, che ne avrebbe a sua volta imposto l’adozione delle ulteriori cautele che la situazione di fatto rendeva in concreto necessarie.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
La corte territoriale, con motivazione dotata di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, ha sottolineato l’insostenibilità della tesi secondo cui l’imputato non fosse a conoscenza delle problematiche determinatesi nel cantiere di Taranto, tanto desumendo dal complesso delle dichiarazioni testimoniali riportate nel corpo della motivazione (v. le citazioni tratte dalle dichiarazioni dei testi P., Po. e Q.: pagg. 5-6 della sentenza impugnata), a loro volta riscontrate dal contenuto della documentazione acquisita e specificamente richiamata.
In particolare, la corte territoriale ha rilevato come, sulla base delle dichiarazioni del teste P., era emerso come il M. fosse perfettamente consapevole delle problematiche determinatesi a Taranto, al punto di attivarsi al fine di promuovere un tentativo, nei confronti dei responsabili della marina militare, per ottenere, all’ultimo momento, la disponibilità di un sommozzatore.
La stessa corte territoriale ha altresì evidenziato come il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ( Po.) avesse confermato, in sede testimoniale, come nel corso di una riunione precedente al trasferimento del Mo. a Taranto (alla quale ebbe a partecipare l’imputato), fu esposta la linea operativa dell’azienda, incline a “ridurre i tempi ed il personale delle prove, in generale, perchè costavano troppo” (cfr. pag. 6 sent. appello).
Dalla deposizione del teste Q., la corte territoriale ha inoltre tratto la conferma della circostanza costituita dalla totale impreparazione dell’impresa dell’imputato ad operare all’interno di un bacino a secco senza sommozzatori.
Attraverso la documentazione richiamata, infine, è rimasta attestata la circostanza dell’avvenuta comunicazione, alla società dell’imputato, da parte della Marina Militare, dell’impossibilità di assicurare la disponibilità di un sommozzatore, in coerenza al contenuto degli accordi contrattuali originariamente stipulati tra le parti (cfr. pagg. 6-7- sent. appello).
Ciò posto, osserva il collegio come l’odierno ricorrente, nel contestare la circostanza dell’avvenuta conoscenza, da parte del M., della situazione di fatto in esame, si sia unicamente limitato alla mera prospettazione di semplici criteri d’interpretazione e valutazione delle deposizioni contestate in modo difforme rispetto alle scelte interpretative e valutative adottate dai giudici di merito.
Sul punto, varrà richiamare il costante insegnamento di questa corte di cassazione, ai sensi del quale deve ritenersi non sindacabile, in sede di legittimità, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o circa la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti, salvo il controllo su eventuali vizi di congruità e logicità della motivazione, in questa sede in nessun modo riscontrabili, avendo la corte territoriale congruamente elaborato il complesso degli elementi di prova dichiarativa e documentale assunti, sulla base di un ragionamento probatorio coerentemente ricostruito e del tutto lineare in termini logici, oltre che pienamente fedele al contenuto delle risultanze acquisite (Cass., Sez. 2^, n. 20806/2011, Rv. 250362; Cass., Sez. 4^, n. 8090/1981, Rv. 150282).
Quanto alle dedotte responsabilità del lavoratore infortunato, osserva il collegio come la corte territoriale abbia correttamente sottolineato, a seguito dell’inedita situazione venutasi a creare per effetto dell’indisponibilità di un sommozzatore (situazione, dunque, non prevista nella documentazione relativa alla valutazione dei rischi originariamente predisposta), la necessità che i vertici della società dell’imputato adottassero tutte le ulteriori cautele indispensabili al fine di prevenire i prevedibili nuovi rischi per i lavoratori impegnati nell’incauta operazione che lo stesso imputato aveva comunque deciso di portare a termine; cautele eventualmente consistenti financo nel procrastinare i lavori ad altra data in attesa della disponibilità di un sommozzatore.
Proprio l’imprudente decisione del M. di procedere in ogni caso al compimento delle operazioni in esame costrinse il Mo. ad organizzare autonomamente il lavoro da eseguire, assumendo impropriamente su di sè e sui suoi collaboratori l’opera di sistemazione delle “panciere” – normalmente espletata dal sommozzatore a bacino pieno – sul fondo del bacino vuoto.
Sotto altro profilo, la corte territoriale si è correttamente allineata al consolidato insegnamento della valenza di legittimità, secondo cui la circostanza del ricorso di un’eventuale imprudenza o negligenza del lavoratore infortunato nell’esercizio delle incombenze affidategli, non vale in ogni caso a escludere la responsabilità del datore di lavoro, dovendo ritenersi ricompreso, entro l’ambito delle responsabilità di quest’ultimo, l’obbligo di prevenire anche l’ipotesi di una condotta imprudente o negligente del lavoratore, al fine di scongiurare la verificazione delle prevedibili evenienze riconducibili all’ordinario sviluppo delle lavorazioni oggetto d’esame.
Il datore di lavoro, infatti, in quanto destinatario delle norme antinfortunisti-che, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del dipendente, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia assolutamente abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente e ontologicamente diverso dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267/2009, Rv. 246695).
Questa stessa corte ha avuto recentemente modo di sottolineare come l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti dei lavoratori non è invocabile da parte del datore di lavoro, il quale, per la sua posizione di garanzia, risponde dell’infortunio, sia a titolo di colpa diretta, per non aver negligentemente impedito l’evento lesivo ed eliminato le condizioni di rischio, che a titolo di colpa indiretta, per aver erroneamente invocato a sua discriminante la responsabilità altrui qualora le misure di prevenzione siano state inadeguate (Cass., Sez. 4^, n. 16890/2012, Rv. 252544).
4. Il complesso delle motivazioni elaborate dalla corte territoriale, pienamente coerenti sul piano logico e del tutto lineari in chiave argomentativa, appaiono sufficienti a giustificare il giudizio di condanna emesso nei confronti dell’odierno imputato, da tanto derivando il riscontro dell’infondatezza del ricorso dallo stesso proposto, a cui segue la pronuncia del relativo rigetto e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 28 novembre 2014