Circolazione stradale: danni in materia civile e penale. Liquidazione e valutazione (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 9 marzo 2011, n. 5540).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3365/2009 proposto da:

T.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G. BELLI 60, presso lo studio dell’avvocato COLANTONI Luciana, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DELLA COSTANZA MAURIZIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.M.G. (OMISSIS) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato RIZZO Carla, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COLI MARIO giusta delega in calce al controricorso;

ALLIANZ SUBALPINA S.P.A. (OMISSIS), in persona del procuratore speciale Dott. C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato SPADAFORA GIORGIO, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

D.M.P., G.C., D.M.M., D.M.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 585/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, emessa il 06/11/2007, depositata il 14/12/2007 R.G.N. 1258/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27/01/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato DELLA COSTANZA MAURIZIO;

udito l’Avvocato SPADAFORA GIORGIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

T.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pesaro, D.M.G., G.C., D.M.P., D.M.S. e D.M.M., nella loro qualità di eredi di D.M. F., nonchè la s.p.a. Allianz Subalpina Assicurazioni, quale compagnia assicuratrice per la r.c.a. di quest’ultima, per sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni da essa subiti a seguito di un incidente stradale.

Deduceva l’attrice che, mentre camminava sul margine destro di una strada provinciale era investita dall’auto condotta da D.M. F. riportando gravissime lesioni personali.

La s.p.a. Allianz Subalpina Assicurazioni si costituiva contestando la domanda attrice, sia in relazione all’an che in relazione al quantum.

IL Tribunale concedeva due provvisionali.

Con sentenza del 30.8-2.9.2002 il Tribunale dichiarava che l’incidente per cui la causa si era verificato per colpa concorrente di D.M.F. e T.M., rispettivamente nella misura dell’80% (percento) e del 20% (percento) e condannava i convenuti, in solido fra loro, al pagamento della somma di _ 65.587,24 già detratto quanto corrisposto dalla s.p.a. Allianz Subalpina in corso di causa, oltre accessori.

Proponeva appello T.M. deducendo che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto l’esistenza di un suo concorso di colpa.

Contestava la determinazione del danno biologico, del danno morale, delle spese medico assistenziali e di quelle future.

La Allianz Subalpina sosteneva la totale infondatezza del proposto gravame di cui chiedeva il rigetto, con integrale conferma della sentenza impugnata.

La Corte d’Appello di Ancona respingeva l’appello e confermava la sentenza impugnata.

Proponeva ricorso per cassazione T.M. con 10 motivi.

Resistevano con separati controricorsi la Allianz s.p.a. (già R.A.S. s.p.a. conferitaria dell’azienda di Allianz Subalpina s.p.a.) e D.M.G..

Le parti presentavano memorie.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione T.M. denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c.art. 2043 c.c.art. 2054 c.c.art. 2697 c.c.art. 115 c.p.c.art. 116 c.p.c. – art. 190 C.d.S., introdotto dal D.Lgs. n. 30 aprile 1992, n. 285 – art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente utilizzato le suddette norme in relazione alla fattispecie de qua in quanto ha confermato il concorso di colpa del pedone nella misura del 20% (percento) e quella del conducente in misura dell’80% (percento).

La Corte ha in particolare errato, secondo T.M., per aver affermato il concorso di colpa sostenendo che la mera violazione dell’art. 190 C.d.S., ha determinato il concorso di colpa affermato dal giudice di primo grado, senza neppure svolgere alcun rilievo circa l’elemento causale riferibile al pedone.

Il motivo è infondato.

In tema di investimento stradale, anche se il conducente del veicolo non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l’art. 2054 cod. civ. , comma 1, pone nei suoi confronti, non è preclusa l’indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone stesso, la colpa di questo concorre, ai sensi dell’art. 1227 c.c. , comma 1, con quella presunta del conducente (Cass., 22.5.2007, n. 11873).

D’altra parte il pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto, alla stregua dell’ordinaria diligenza, a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l’intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare, potendo egli fare ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti.

Ne consegue che la mera circostanza che il pedone abbia attraversato la strada, sulle strisce pedonali, frettolosamente e senza guardare non costituisce da sola presupposto per l’applicabilità dell’art. 1227 c.c. , comma 1, occorrendo invece, a tal fine, che la condotta del pedone sia stata del tutto straordinaria ed imprevedibile (Cass., 30.9.2009, n. 20949).

Nella specie l’impugnata sentenza ha accertato che la condotta della conducente del veicolo ha concorso in maniera rilevante alla produzione dell’evento, pur non rappresentandone la causa unica:

l’appellante infatti risulta aver contravvenuto ad un preciso obbligo imposto dall’art. 190 del codice stradale procedendo su un lato diverso da quello prescritto da quest’ultima norma (Cass., 30.10.1998, n. 902).

Con il secondo motivo si denuncia: “Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso essenziale per la decisione art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 e art. 366 bis c.p.c.”.

Parte ricorrente ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione: con la quale l’impugnata sentenza ha determinato il concorso di colpa della conducente dell’autovettura investitrice nella misura dell’80% (percento) della e della pedone investita nella misura del 20% (percento) senza motivazione e/o con motivazione insufficiente e contraddittoria.

Ritiene parte ricorrente che, nella specie, il rapporto eziologico necessario a determinare l’imputabilità concorsuale del comportamento della pedone non sussiste e l’investimento è derivato solo dallo sbandamento dell’auto che ha attinto la pedone.

Il motivo è infondato.

Come sostiene l’impugnata sentenza la T. procedeva infatti a piedi lungo la strada, nella stessa direzione dell’auto investitrice, sul margine destro della carreggiata, contravvenendo al disposto dell’art. 190 C.d.S., comma 1.

Dal rapporto degli agenti di polizia intervenuti sul luogo dell’incidente si evidenzia inoltre la presenza di una banchina erbosa della quale il pedone avrebbe prudentemente potuto avvalersi, almeno in parte, anzichè ingombrare detto margine stradale.

Alla luce di tali elementi deve ritenersi che il comportamento della T. non è stato privo di efficienza causale rispetto all’evento dannoso e che la motivazione sul punto è senz’altro congrua.

Con il terzo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2056 c.c. , art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Sostiene T.M. che la Corte d’appello di Ancona non ha correttamente applicato le suddette norme in relazione alla determinazione, sotto il profilo del quantum debeatur, del danno biologico da lei stessa subito.

Secondo la ricorrente la sentenza di secondo grado ha errato in particolare per avere applicato le “tabelle” del Tribunale di Milano cronologicamente corrispondenti al momento dell’incidente e non quelle pubblicate al tempo della decisione e per non avere operato alcuna integrazione in aumento in relazione alla peculiare gravita del danno da macro-permanente da essa stessa subito.

Il motivo è fondato.

In caso di lesioni gravissime con perdita della salute e con perdita totale della capacità lavorativa sia generica che specifica, il danno biologico deve essere necessariamente personalizzato calcolando anche la componente della capacità lavorativa e del danno psichico sicchè, ai valori tabellari della stima statica della gravita del danno, devono aggiungersi in aumento le altre componenti, secondo un prudente apprezzamento che tenga conto del tempo della liquidazione e dell’eventuale probabile aggravamento verificatosi successivamente, ove documentato e scientificamente provato (Cass., 12.12.2008, n. 29191).

Nella specie la Corte d’Appello, in presenza di lesioni gravissime, non ha provveduto alla personalizzazione del danno, limitandosi all’adozione di criteri predeterminati.

Con il quarto mezzo parte ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c.art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Sostiene parte ricorrente che la Corte d’Appello di Ancona non ha correttamente applicato le norme in epigrafe in relazione alla determinazione del danno morale accertato alla ricorrente a seguito delle lesioni riportate nell’incidente per cui è causa.

Il motivo è fondato.

Nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito, il giudice di merito deve infatti tener conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso, della gravita dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al caso concreto.

Il ricorso da parte dei giudici di merito al criterio di determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione dell’importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, è legittimo, purchè il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria personalizzazione cL detto criterio alla fattispecie e dando atto di non aver applicato i valori tabellari con mero automatismo (Cass., 9.11.2006, n. 23918). Nella specie T.M. ha subito un danno gravissimo e l’impugnata sentenza non ha provveduto a personalizzare il suddetto criterio.

Con il quinto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c.art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha correttamente applicato le norme in epigrafe in relazione alla determinazione dell’intero danno “non patrimoniale” nella concezione da ultimo proposta da questa Corte a Sezioni Unite con la sentenza dell’11.11.2008, n. 26972.

La decisione della Corte d’Appello di Ancona, si afferma, pur riconoscendo la necessità che il danno sia risarcito integralmente in relazione alla concretezza del caso singolo, si è limitata ad applicare le tabelle pubblicate dal Tribunale di Milano che sono invece preordinate a criteri standardizzati e quindi prive di autonoma valutazione della fattispecie concreta.

Il motivo è fondato.

Il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce infatti una categoria ampia ed onnicomprensiva nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima (Cass., S.U., 11.11.2008, n. 26972).

Nel caso di specie risulta dalla C.t.u. che il soggetto era gravemente menomato nella sua integrità psicofisica, che a causa della tracheotomia e dell’impedimento fonetico aveva difficoltà a verbalizzare la propria pur limitata produzione ideativa.

Con il sesto, settimo e ottavo motivo che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, si denuncia rispettivamente: 6) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c. e art. 115 c.p.c.art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″; 7) “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c.art. 115 c.p.c.art. 112 c.p.c.art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3 – art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″; 8) “Omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto controverso essenziale per la decisione – art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 5 e art. 366 bis c.p.c.”.

Si afferma con tali motivi che la Corte territoriale non ha fatto buon uso delle norme in epigrafe in ordine alla valutazione e quantificazione del danno emergente costituito dalle spese sostenute sino alla decisione e di quelle da affrontare in futuro.

Sostiene in particolare T.M. che in ordine a talune spese sostenute e provate la Corte d’Appello ha violato le norme in epigrafe ( art. 2056 c.c. , art. 1223 c.c. e art. 115 c.p.c. ) le quali assicurano il diritto del darmeggiato ad essere risarcito delle spese che provi di aver sostenuto a causa dell’incidente.

In tal senso, secondo parte ricorrente, la Corte territoriale non ha fatto buon governo dell’art. 112 c.p.c., secondo il quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda. Infatti in ordine al capo della domanda avente ad oggetto le “spese sostenute da T.M. a causa dell’incidente nel periodo dal 16.12.97 alla decisione, la Corte d’Appello di Ancona ha omesso la pronuncia con riferimento a talune spese quali quelle per ticket per medicinali, visite specialistiche trasporti in ambulanza, diritti di copia di cartelle cliniche, esami di laboratorio, assistenza.

I motivi sono infondati.

La Corte d’appello ha infatti correttamente osservato che, riguardo alle spese future, il giudice deve accertare che le stesse saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità e che nella specie dalla Ctu non risulta l’esigenza di una assistenza di tipo infermieristico mentre per la manutenzione della protesi è previsto il ricovero ospedaliero a carico del servizio sanitario nazionale così come a carico di tale servizio è la terapia riabilitativa.

Quanto alle spese sostenute dal di dell’incidente a quello della pronuncia la Corte territoriale le ha ritenute dovute in misura ridotta adottando il criterio della liquidazione forfettaria.

Con il nono motivo di ricorso si denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c.Art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Secondo il ricorrente la Corte territoriale non ha correttamente applicato le suddette disposizioni in ordine alla qualificazione della natura del danno da incidente stradale e correlata applicazione della rivalutazione monetaria e degli interessi.

Il motivo è infondato.

Secondo l’impugnata sentenza l’importo determinato in valori monetari correnti all’epoca della sentenza di primo grado, costituiscono debito di valuta in conseguenza della liquidazione operata e sono suscettibili di incremento sulla base degli interessi legali fino al saldo, senza operare ulteriore valutazione, in applicazione della sentenza di questa Corte (Cass., S.U., 17.2.1995, n. 1712).

Con il decimo ed ultimo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c.artt. 112 e 115 c.p.c. , art. 360 c.p.c. , comma 1, n. 3, art. 366 c.p.c. , comma 1, n. 4″.

Sostiene parte ricorrente che la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione delle facoltà che il nostro ordinamento offre al giudice per decidere correttamente. Basti ricordare che nella fattispecie de qua la Corte territoriale non ha vagliato nel complesso le prove della parte, e soprattutto non ha neppure preso in esame i titoli e tantomeno adempiuto l’obbligo di motivazione.

Il motivo è infondato.

La valutazione delle prove rientra infatti nella discrezionalità del giudice di merito che, ai fini della decisione, non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averle vagliate, nel loro complesso, indichi gli elementi si quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

In conclusione, devono essere accolti il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso e rigettati gli altri. L’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso;

rigetta gli altri. Cassa in relazione e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2011.