REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACETO Aldo – Presidente –
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –
Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere –
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 22/05/2018 della CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott. LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, Dott. SPINACI SANTE;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto;
udito il difensore avv. Antonino Ordile;
il difensore presente si riporta ai motivi.
Svolgimento del processo
1. Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia, con la sentenza del 28 novembre 2014 emessa all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato R.G. per i reati L. n. 75 del 1958, ex art. 3, n. 3, perchè, quale gestore di fatto degli alberghi (OMISSIS) (capo a) e hotel (OMISSIS) (capo b), consentendo consapevolmente l’accesso con i loro clienti per lo svolgimento dell’attività di meretricio alle prostitute M.N., T.R.M., G.V.V., B.G.E. nel primo albergo e Z.A., P.F.C., M.P.A., M.C. nel secondo albergo, anche omettendo in tutto o in parte le registrazioni di cui all’art. 109 t.u.l.p.s., tollerava la prostituzione delle predette ragazze.
Il giudice dell’udienza preliminare ha invece ritenuto assorbita la condotta contestata di favoreggiamento della prostituzione in quella di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, n. 3; ha escluso la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 112 c.p., n. 1; ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 112 c.p., n. 2 per essere R.G. il promotore della cooperazione criminosa.
I fatti sono stati commessi in (OMISSIS).
1.1. Il giudice dell’udienza preliminare ha inoltre assolto dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto i coimputati R.F., R.A., F.F. e M.E. e M.S.A. dal reato ascritto al capo a) per non aver commesso il fatto; ha condannato M.S.A. per il solo reato di cui al capo b).
1.2. La Corte di Appello di Brescia con la sentenza del 22 maggio 2018 ha confermato la sentenza emessa dal giudice dell’udienza preliminare nei confronti di R.G.; ha assolto M.S.A. dal reato a lei ascritto al capo b) per non aver commesso il fatto.
2. I difensori di R.G. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 22 maggio 2018.
2.1. Con il primo motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), per l’erronea applicazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 3, in quanto non sussisterebbe la condotta oggettiva del reato contestato.
La Corte di appello avrebbe ritenuto la responsabilità dell’imputato solo in base ad una prova logica ed a congetture; invece, R.G. non avrebbe mai consentito l’ingresso di prostitute all’interno degli alberghi sussistendo la prova documentale contraria consistita nel fax inviato il (OMISSIS) da R.G. al direttore dell’albergo R.F. contenente un ordine di servizio con il quale si disponeva la reiezione di “quelle signore” dagli alberghi e di favorire solo l’ingresso delle coppie, dei normali clienti.
Secondo le dichiarazioni dei testi, assidui frequentatori ( V.R., C.P., A.F., B.E., A.G., B.T., M.F., O.D. e B.M.), i due alberghi sarebbero stati utilizzati da coppie alla ricerca di incontri privati senza pagamento di corrispettivo: mancherebbe quindi l’elemento oggettivo dell’abitualità della tolleranza. Vi sarebbe stata al più una condotta permissiva sporadica ed occasionale se rapportata alla clientela ordinaria.
2.3. Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), per l’erronea applicazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 3, per l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato. R.G. non avrebbe avuto la consapevolezza nè la coscienza e volontà che soggetti dediti alla prostituzione frequentassero gli alberghi.
Il ricorrente non avrebbe posto in essere alcuna condotta omissiva di tolleranza delle prostitute ma anzi avrebbe tenuto un comportamento orientato ad impedire la presenza delle persone che esercitavano il meretricio all’interno delle strutture, come dimostrato dal fax del (OMISSIS).
La Corte di Appello avrebbe dovuto ritenere insussistente il dolo generico sulla base di tale ordine di servizio.
Non sussistendo il dolo del delitto di tolleranza abituale, nemmeno sussisterebbe quello del delitto di favoreggiamento, in assenza di condotte positive di mediazione o interposizione da parte del gestore dell’albergo.
Si è poi riportata la giurisprudenza sulla distinzione dei due delitti contestati e si afferma che l’ordine di servizio del (OMISSIS) escluderebbe anche il dolo del favoreggiamento della prostituzione.
2.3. Con il terzo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., lett. b), il vizio di violazione di legge in relazione alla L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 8, poichè alcuna condotta di favoreggiamento della prostituzione è stata posta in essere da R.G. all’interno degli alberghi di (OMISSIS); nè la sua condotta ha avuto un’efficienza causale rispetto all’attività di prostituzione – e non rispetto alla singola prostituta – poichè il ricorrente non ha mai posto in essere condizioni favorevoli per consentire l’esercizio del meretricio all’interno degli alberghi o per trasformare gli stessi in case di prostituzione. Si ribadisce che la condotta attiva del ricorrente è stata finalizzata ad impedire che all’interno delle strutture alberghiere si esercitasse il meretricio.
2.4. Con il quarto motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’applicazione dell’art. 110 c.p., unitamente alla L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, nn. 3 e 8: non sussisterebbe il concorso di persone nei reati di tolleranza abituale e di favoreggiamento della prostituzione in quanto tutti gli altri concorrenti sono stati prosciolti “per non aver commesso il fatto”. L’attribuzione della responsabilità ad un singolo concorrente, cioè al solo R.G., non sarebbe confortata da alcun fatto storico.
Dopo i richiami giurisprudenziali, si afferma che la Corte di appello avrebbe omesso di individuare gli indizi gravi, precisi e concordanti che determinerebbero la responsabilità del ricorrente ed il suo contributo causale ai reati di favoreggiamento e di tolleranza abituale della prostituzione negli alberghi.
Dalla lettura della motivazione della Corte di Appello non emergerebbe alcun fatto che comprovi l’istigazione o la determinazione da parte di R.G. al delitto di tolleranza abituale delle prostitute in albergo o di favoreggiamento della prostituzione nei confronti dei lavoratori e dipendenti della reception. La prova della responsabilità sarebbe solo logica e non storica e sussisterebbe, come già rilevato, la prova contraria rispetto allo svolgimento della prostituzione negli alberghi costituita dal fax del (OMISSIS).
2.5. Con il quinto motivo si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 112 c.p., nn. 2 e 3.
Si rileva, quanto alla circostanza aggravante di cui all’art. 112 c.p., n. 2, che tutti gli imputati sono stati prosciolti; che per la sussistenza della circostanza aggravante è necessario che i concorrenti nell’esecuzione dei reati siano almeno due; che in ogni caso il ricorrente per ragioni lavorative si trovava fuori dalle strutture alberghiere e pertanto non poteva dirigere o coordinare l’attività dei concorrenti nel reato.
Si contesta altresì l’applicazione della circostanza aggravante ex art. 112 c.p., n. 3, effettuata dalla Corte di appello in quanto tra R.G. e i suoi lavoratori vi era solo un rapporto giuridico di subordinazione e non quel rapporto di coercizione psicologica richiesto dalla circostanza aggravante. In ogni caso l’ordine di servizio del (OMISSIS) sarebbe stato vincolante per i lavoratori degli alberghi e quindi tale da eliminare, oltre al fatto storico, anche la circostanza aggravante.
Per altro, alcuna coazione psicologica è stata effettuata verso i dipendenti nè il ricorrente ha consigliato di aumentare la clientela consentendo l’esercizio della prostituzione. Si rileva che R.A. è stato prosciolto essendo stata ritenuta priva di rilevanza penale la sua condotta.
2.6. Con il sesto motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e). Dopo aver riportato parte della motivazione della sentenza impugnata, si sostiene che la Corte di Appello avrebbe ritenuto erroneamente che la clientela degli alberghi fosse composta esclusivamente da prostitute, senza tener conto delle testimonianze di più persone (indicate nel primo motivo) che invece avevano indicato che l’albergo era frequentato anche da coppie in cerca di intimità con attività svolte senza alcun corrispettivo.
La Corte di Appello avrebbe poi ritenuto con congetture la presenza abituale delle prostitute allorquando invece sarebbe emerso che il personale della reception chiedeva ai clienti i documenti di identità o faceva firmare i moduli su cui venivano trascritte le generalità di chi chiedeva alloggio e la presenza di coppie “normali” in base alle richiamate deposizioni testimoniali.
2.7. Con il settimo motivo si deduce, ex art. 606 c.p.p., lett. e), l’illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata che avrebbe attribuito da un lato a R.G., quale amministratore di fatto degli alberghi, il ruolo di capo e promotore dell’azione criminosa volta a tollerare abitualmente l’attività di prostituzione negli alberghi e di favoreggiamento della prostituzione; dall’altro, anche la dipendente M.S.A. con la sentenza è stata assolta, per non aver commesso il fatto, mentre con la sentenza di primo grado erano stati assolti anche gli altri dipendenti della reception.
Anche il direttore dell’albergo R.F. non è stato neanche mai indagato: l’assoluzione dei dipendenti, l’irrilevanza penale della condotta del direttore dell’albergo, renderebbero impossibile che il solo R.G., amministratore di fatto, abbia potuto da solo tollerare abitualmente la presenza delle prostitute negli alberghi. Ciò soprattutto ove si considerino le assenze di R.G. dagli alberghi per svolgere le funzioni di amministratore della società gruppo (OMISSIS) s.r.l.
Sussisterebbe il travisamento del fatto perchè il ricorrente da solo non avrebbe potuto aver favorito o tollerato la presenza abituale delle prostitute negli alberghi, trattandosi di strutture di grandi dimensioni, non avendo il dono dell’ubiquità; si ribadisce che la motivazione della sentenza si fonda solo su una prova logica e non storica, con conseguente illogicità manifesta della motivazione. La prova logica sarebbe priva di riscontri storici obiettivi ed il ragionamento della Corte di appello sarebbe ancorato a criteri arbitrari.
2.8. Con l’ottavo motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), per il travisamento del fax del (OMISSIS) inviato da R.G. al direttore R.F., il cui contenuto è riportato nel ricorso.
Dopo aver riportato il contenuto della motivazione della sentenza impugnata sul punto, si osserva che la corte territoriale avrebbe travisato la prova documentale prodotta dalla difesa: il documento avrebbe un tenore oggettivo ed ha una natura di ordine di servizio.
Inoltre, si contesta la motivazione della sentenza laddove si afferma che il fax non sarebbe mai stato trasmesso da R.G. al direttore R.F. perchè si tratta di una fotocopia e non dell’originale del documento; si rileva che i fax, una volta, spediti sono sempre delle fotocopie. In ogni caso nel fax prodotto dalla difesa vi sarebbe la data e l’orario di trasmissione: la Corte di Appello avrebbe stravolto la prova documentale decisiva ed idonea a dimostrare l’innocenza di R.G. in quanto il fax sarebbe stato inviato prima dell’inizio delle indagini preliminari e ciò prova che il ricorrente avrebbe posto in essere le doverose cautele per evitare l’ingresso negli alberghi di persone dedite al meretricio.
Si censura infine la valutazione della non genuinità della prova documentale perchè tale valutazione non apparterrebbe alla cultura garantista della prova.
2.9. Con il nono motivo si deduce il vizio della motivazione per travisamento del fatto. La Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che R.G. si trovasse nella reception nel momento dell’ingresso delle prostitute negli alberghi e avesse favorito ed agevolato l’accoglienza delle prostitute con i clienti senza tener conto che egli ha il ruolo di Amministratore di fatto dell’azienda, è anche consigliere di amministrazione dell’azienda e amministratore di altre aziende: lo svolgimento di tali incarichi societari non consente al ricorrente di svolgere mansioni di coordinatore della reception e di portiere di giorno e di notte.
Vi sarebbe stata una palese inversione della prova storica di reità mediante congetture o insinuazioni; il quadro probatorio sarebbe stato insufficiente, tale da legittimare una sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p., comma 2.
2.10. Con il decimo motivo si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), per aver omesso la Corte territoriale la valutazione delle prove prodotte dalla difesa relative all’assenza dagli alberghi di R.G. per oltre un mese nel periodo estivo; prove costituite dai biglietti di viaggio aerei e ferroviari. Tali documenti provavano, secondo il ricorrente, le vacanze estive trascorse in Sardegna nei mesi di luglio ed agosto ed anche l’assenza di R.G. per lo svolgimento di attività collegate alla sua qualità di consigliere di amministrazione di un altro albergo con sede in Piemonte e la presenza presso un’azienda agraria in un comune della provincia di (OMISSIS).
Tale documenti dimostravano che R.G. non poteva essere presente nelle strutture alberghiere e porre in essere pertanto l’attività di tolleranza della prostituzione all’interno degli alberghi. Vi sarebbe dunque un vizio della motivazione sulla prova d’alibi.
3. Sono poi stati depositati, ex art. 611 c.p.p., u.c., dei motivi nuovi dai difensori.
3.1. Con il primo motivo nuovo, si deduce ex art. 606 c.p.p., lett. b), l’erronea applicazione e la violazione di legge in relazione alla L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 3); non sussisterebbe l’elemento psicologico o soggettivo del reato di tolleranza abituale della prostituzione altrui per carenza di facta concludentia da cui desumere la sussistenza del dolo generico.
Non sarebbe stato individuato alcun comportamento omissivo di R.G. teleologicamente orientato ad agevolare, favorire e tollerare l’ingresso di prostitute all’interno delle strutture alberghiere di (OMISSIS).
Si richiamano nuovamente le prove documentali prodotte dalla difesa ed il fax del (OMISSIS); si contesta la motivazione della sentenza rispetto alla valutazione di tale documento.
3.2. Con il secondo motivo nuovo, si deduce il travisamento della prova documentale costituita dal fax del (OMISSIS); si ribadiscono le argomentazioni già esposte nel ricorso.
3.3. Con il terzo motivo nuovo si deduce ex art. 606 c.p.p., lett. b), l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 530 c.p.p., comma 2, poichè una pluralità di testimoni, clienti e frequentatori degli alberghi – già indicati nel primo motivo – hanno affermato che nell’albergo vi si esercitava l’attività di ricezione ordinaria.
3.4. Con il quarto ed il quinto motivo nuovo si deduce nuovamente, ex art. 606 c.p.p., lett. b), l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 112 c.p., comma 1, n. 2), per l’assenza del rapporto di supremazia e per effetto dell’assoluzione di tutti gli altri concorrenti nel reato e si richiama ulteriormente il valore probatorio del fax del (OMISSIS).
Motivi della decisione
1. In punto di diritto, il reato L. n. 58 del 1975, ex art. 3, comma 1, n. 3, punisce il gestore – per quanto qui interessa – di un albergo che tollera abitualmente la presenza di una o più persone che, all’interno dell’albergo, si danno alla prostituzione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il reato di tolleranza abituale dell’altrui prostituzione commesso dal titolare di un esercizio alberghiero non esige la continuità della condotta, ma implica la sola reiterazione, per un tempo apprezzabile, del comportamento permissivo del gestore, idoneo a consentire che le persone alloggianti nell’albergo svolgano attività di meretricio (Cfr. in tal senso Cass. Sez. 3, n. 8037 del 16/02/2012, P. Rv. 252760 – 01: nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione è stato ritenuto integrato il reato nonostante i rapporti mercenari ammontassero al 2% delle complessive presenze registrate nella struttura ricettiva). Tollerare ha infatti il significato sia di sopportare che di consentire (cfr. vocabolario Treccani).
Il comportamento permissivo del gestore deve essere idoneo a consentire che le persone alloggianti nell’albergo svolgano attività di prostituzione, dovendosi, per contro, configurare il reato di favoreggiamento della prostituzione laddove il suddetto comportamento sia caratterizzato dalla mera occasionalità (Cass. Sez. 3 n. 35384 del 24/05/2007, N. Rv. 237535 – 01).
2. Il primo ed il secondo motivo di ricorso sono manifestamente infondati.
2.1. La motivazione della sentenza non si fonda affatto solo su una prova logica ma su una pluralità di fonti di prova, tutte indicate nel corpo della motivazione della sentenza.
La Corte di appello ha correttamente applicato la norma perchè, in base alle fonti di prova dichiarative, ha ritenuto provato che il ricorrente fosse il gestore dei due alberghi (si citano le dichiarazioni dei dipendenti ed in particolare di B., A., L.L. che hanno dichiarato in sostanza che il ricorrente gestiva gli alberghi prendendo le relative decisioni) e che le ragazze escusse – indicate nei capi di imputazione – con continuità si recavano negli alberghi, anche più volte nella stessa notte, con i clienti, per esercitare il meretricio.
Che tale fosse l’attività delle ragazze era noto ai dipendenti dell’albergo non solo per l’abbigliamento delle giovani, divenute note ai dipendenti, ma anche per il tipo di clientela (spesso caratterizzata dalla differenza di età) e per le modalità di registrazione, posto che i documenti dei clienti non venivano registrati.
Sulla base delle dichiarazioni delle prostitute escusse la Corte di appello ha ritenuto provato che le ragazze si recavano negli alberghi “a colpo sicuro”: ciò dimostra, secondo la corte territoriale, che gli alberghi avevano una politica di accoglienza delle prostitute confermata dalle modalità di registrazione, dalla turnazione dei dipendenti alla reception, che non impediva alle prostitute di recarsi negli alberghi, e dal fatto che nessuno di essi frappose ostacoli a che le prostitute si recassero negli alberghi per esercitare la loro attività.
Sulla base delle dichiarazioni dei dipendenti, riportate nella motivazione, e di alcuni clienti, la Corte di appello ha ritenuto provato che gli stessi dipendenti degli alberghi sapessero dell’attività di prostituzione delle ragazze e che ciò nonostante le stanze erano comunque concesse alle ragazze, anche per poche ore e più volte nella stessa notte, e con una significativa frequenza, in quanto gli alberghi non ponevano alcun problema burocratico a che le ragazze andassero con i clienti.
Anche dalle dichiarazioni dei clienti, ritenuti “amanti clandestini”, la Corte di appello ha tratto ulteriori elementi di prova per ritenere che la politica di gestione degli alberghi era quella di riempire ad ogni costo il maggior numero di stanze possibili, con una prassi costante di ricezione di prostitute e coppie clandestine, mantenute tali mediante la violazione delle regole di registrazione.
Sul punto la Corte di appello riporta le dichiarazioni di L.L. (“le direttive e la politica della proprietà dell’albergo, per quanto riguarda la ricezione dei clienti, sono quelle di accettare sempre e comunque tutti i clienti e di non mandare via nessuno”).
Dunque, una volta ritenuto provato in base alle dichiarazioni delle persone informate sui fatti che il ricorrente sia stato colui ed il solo che prendeva le decisioni gestionali degli alberghi, la corte di appello ha correttamente ritenuto che al ricorrente fosse attribuibile quella politica aziendale volta ad accettare tutti indiscriminatamente, comprese le prostitute che negli alberghi esercitavano la loro professione, non avendo i dipendenti alcun potere gestionale né la possibilità di rifiutare l’ospitalità alle prostitute le quali per altro mai hanno riferito di mance o favori nei confronti del personale degli alberghi.
I dipendenti hanno dunque eseguito tali direttive, necessariamente impartite dall’unico soggetto preposto a farlo, il ricorrente, l’unico reale gestore delle strutture.
Pertanto, rileva la corte di appello, l’unico soggetto che aveva un interesse diretto a riempire gli alberghi con ogni tipo di clientela era il proprietario e gestore R.G. che dalla presenza delle prostitute negli alberghi ricavava un maggior guadagno.
Dunque, la corte di appello ha correttamente applicato la norma ritenendo provata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato ed il nesso di causalità.
2.2. Deve rilevarsi altresì che i primi due motivi non si confrontano minimamente con l’articolata e complessa motivazione della sentenza della Corte di appello di Brescia, che ha individuato gli elementi di prova a carico del ricorrente, per altro rispondendo ampiamente ai motivi di appello. I motivi sono pertanto inammissibili per il difetto del requisito della specificità estrinseca.
I motivi di ricorso per cassazione sono infatti inammissibili non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella motivazione della sentenza n. 8825 del 27/10/2016, Galtelli, Rv. 268822).
2.3. Dai principi di diritto prima riportati, risulta inoltre del tutto irrilevante, come invece sostenuto dalla difesa, che nell’albergo si svolgesse anche l’attività lecita; la Corte di appello, per altro, ha rilevato come la presenza degli incontri tra coppie “clandestine” sia in realtà un ulteriore elemento di prova a carico dell’imputato per le modalità con le quali ciò accadeva, tali da consentire di mantenere almeno in parte l’anonimato.
2.4. Con i primi due motivi si contesta in realtà il valore probatorio negato dalla Corte di appello al fax del (OMISSIS) e la valutazione delle dichiarazioni di alcuni clienti degli alberghi, indicati dalla difesa, quali frequentatori leciti e non clienti delle prostitute. Dunque, più che il vizio di violazione della legge sostanziale si contesta la valutazione della prova effettuata dalla Corte di appello, incorrendo i motivi in un ulteriore profilo di inammissibilità.
3. Il terzo motivo è inammissibile perché la condanna è intervenuta per il solo reato L. n. 75 del 1958, ex art. 3, comma 1, n. 3: la condotta di favoreggiamento, che avrebbe avuto rilevanza solo in caso di occasionalità, è stata ritenuta assorbita dalla tolleranza. Dunque, l’impugnazione sul punto è del tutto priva di interesse perché anche una decisione favorevole non avrebbe alcuna incidenza sul dispositivo.
4. Anche il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili per il difetto del requisito della specificità estrinseca.
Oltre a ribadirsi quanto già osservato sulla indicazione delle fonti di prova nella motivazione e l’inammissibilità dell’impugnazione con riferimento al delitto di favoreggiamento della prostituzione, va aggiunto che la Corte di appello ha ritenuto che (cfr. pag. 25) il ricorrente non abbia commesso la condotta da solo ma unitamente ai dipendenti degli alberghi, anche se non incriminati, diversi da quelli prosciolti, che hanno seguito le sue direttive consentendo l’accesso indiscriminato negli alberghi delle prostitute con i clienti.
Pertanto, da un lato la corte territoriale ha confermato l’esistenza di concorrenti nei reati, pur se non individuati specificamente; dall’altro, ha ritenuto provato che il ricorrente abbia ideato ed avuto l’iniziativa dell’impresa delittuosa avendone tratto i vantaggi economici ed essendo stato l’unico gestore in grado di dettare quella linea imprenditoriale di indiscriminato accesso, finalizzato all’incremento dei guadagni. Dunque, in tale condotta la Corte di appello ha ritenuto sussistere la circostanza aggravante ex art. 112 c.p., n. 2.
Rispetto a tale motivazione, i motivi ripropongono le questioni già proposte con l’appello, senza confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata e sono pertanto inammissibili.
5. Il quinto motivo, con il quale si deduce il vizio di violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione all’art. 112 c.p., n. 3, è del tutto inammissibile posto che non risulta contestata tale circostanza aggravante.
6. Il sesto motivo è manifestamente infondato perchè, come già rilevato, è del tutto irrilevante in diritto che negli alberghi si svolgesse anche l’attività lecita.
Il motivo è poi anche privo del requisito della specificità estrinseca perchè non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata.
Contrariamente a quanto si afferma nel ricorso, la Corte di appello ha ampiamente motivato sulla frequentazione abituale da parte delle prostitute degli alberghi, come prima riportato, ed ha valutato le dichiarazioni dei clienti che non andavano con le prostitute: oltre a ritenerle in parte non attendibili, la corte territoriale ha dedotto da tali dichiarazioni ulteriori elementi di prova a carico dell’imputato, essendo emerso da tali dichiarazioni e da quelle rese dalle prostitute che la linea di gestione dell’albergo era di favorire la clientela che vi accedeva non osservando le regole della registrazione.
Sul punto, la Corte di appello ha esaminato le dichiarazioni di O.D., B.M., R.C., R.F., G.P. ed ha rilevato che le registrazioni delle coppie “clandestine” avvenivano irregolarmente con la sola registrazione dell’uomo.
La Corte di appello ha riportato le fonti da cui ha ritenuto provato che negli alberghi avveniva la registrazione solo parziale – delle prostitute o del solo cliente – e che ciò consentiva alle prostitute di portare indisturbate i clienti negli alberghi per lo scambio tra prestazione e contro prestazione; si citano le dichiarazioni di M.N., T.R.M., Z.A., M.R..
Con tale motivazione il motivo in realtà non si confronta.
7. Il settimo motivo è manifestamente infondato; si ripropongono in parte le stesse questioni già dedotte con il quarto e quinto motivo, pur se con riferimento al vizio della motivazione. La motivazione, quanto all’esistenza del concorso di persone con altri soggetti non identificati o non incriminati non è nè manifestamente illogica, conseguendo al percorso logico della Corte di appello fondato sulle prove descritte in sentenza, nè contraddittoria. Devono ribadirsi le argomentazioni già espresse con riferimento al quarto e quinto motivo di ricorso.
8. L’ottavo motivo, con il quale si deduce il vizio della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), per il travisamento del fax del (OMISSIS), è manifestamente infondato.
8.1. Ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), può essere invocato quale vizio della motivazione, sotto i profili della contraddittorietà o illogicità manifesta, esclusivamente il c.d. “travisamento della prova”, il quale si realizza nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia: quest’ultimo è indicato quale fenomeno della prova omessa, rilevante e decisiva, cioè del vizio di omessa pronuncia rispetto a un significativo dato processuale o probatorio.
E’ invece intangibile la valutazione nel merito del risultato probatorio. Infatti, pur in presenza della possibilità di dedurre il travisamento della prova, non muta la natura del sindacato di legittimità, che rimane limitato alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento impugnato e non può comportare una diversa lettura del materiale probatorio, anche se plausibile, sicchè, per la rilevazione dei vizi della motivazione, occorre che gli elementi probatori indicati in ricorso siano decisivi e dotati di una forza esplicativa tale da vanificare l’intero ragionamento del giudice del merito.
Si è infatti ribadito che è inammissibile il motivo di ricorso che sottopone al giudice di legittimità atti processuali per verificare l’adeguatezza dell’apprezzamento probatorio ad essi relativo compiuto dal giudice di merito ed ottenerne una diversa valutazione, perchè lo stesso costituisce censura non riconducibile alle tipologie di vizi della motivazione tassativamente indicate dalla legge (cfr. Cass. Sez. 7, ordinanza n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948).
Esula dai poteri della Corte di cassazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, e non integra il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. Unite, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
8.2. Tanto premesso, deve rilevarsi che con il motivo ci si lamenta in realtà della valutazione del valore probatorio, ritenuto nullo, del documento effettuata dalla Corte di appello; pertanto, non si deduce il travisamento della prova ma si contesta, in maniera inammissibile, solo la sua valutazione, per altro effettuata con una motivazione logica.
La corte territoriale ha ritenuto che il fax non avesse alcuna rilevanza in favore dell’imputato: nessuno dei dipendenti risulta essere stato a conoscenza del fax e nessuno vi ha fatto riferimento. Da ciò la Corte di appello ha correttamente ritenuto l’inaffidabilità della prova documentale, anche se risultata spedita.
Il documento era infatti smentito, secondo la Corte di appello, anche da ciò che accadeva ed era in contrasto con le deposizioni dei clienti riportate nella sentenza, sulla politica degli alberghi di ricevere chiunque, anche con le registrazioni irregolari.
9. Il nono ed il settimo motivo sono inammissibili essendo stato dedotto il travisamento del fatto; deve ribadirsi il principio di diritto espresso da Cass. Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 – 01, secondo il quale anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.
10. Il decimo motivo, relativo al vizio della motivazione per il travisamento della prova d’alibi è inammissibile ai sensi dell’art. 609 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3, trattandosi di questioni non dedotte con l’appello. Dall’analisi dell’atto di appello e dei motivi aggiunti non risultano dedotte le questioni relative alle assenze dell’imputato dalle strutture alberghiere per ferie nei periodi estivi.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata dell’art. 609 c.p.p. e art. 606 c.p.p., comma 3, impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perchè mai investito della verifica giurisdizionale (in tal senso cfr. Cass. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794, Spina).
11. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4, l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di Euro 2.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2019.