Corsa clandestina di cavalli (Corte di Cassazione pen., Sez. feriale, Sentenza 4 settembre 2017, n. 39878).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefania – Presidente –
Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere –
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –
Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –
Dott. MENGONI Enrico – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

F.L., nato a (OMISSIS);
Fi.Gi., nato a (OMISSIS);
R.L., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/12/2016 della Corte di appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Mengoni Enrico;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Lori Perla, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/12/2016, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della pronuncia emessa il 29/5/2014 dal locale Tribunale, assolveva Fu.Gi., F.L., Fi.Ma., Fi.Gi. e R.L. dalle imputazioni di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 2, art. 340 c.p., e art. 610 c.p., perchè il fatto non sussiste, e rideterminava la pena loro inflitta quanto ai reati di cui all’art. 110 c.p., art. 61 c.p., n. 2, art. 544-ter c.p., e art. 544-quinquies c.p. in un anno e 15 giorni di reclusione ciascuno; agli stessi – con i ruoli di cui alla rubrica – era contestato di aver concorso nell’organizzazione e promozione di una corsa clandestina di cavalli, su strada asfaltata di (OMISSIS), con conseguente maltrattamento di numerosi elementi equini.

2. Propongono ricorso per cassazione F.L., Fi.Gi. e R.L., a mezzo dei propri difensori, deducendo i seguenti motivi: F.:

– erronea applicazione degli artt. 110, 544-ter e 544-quinquies c.p., contestati. La sentenza avrebbe confermato la condanna del F. con un mero simulacro di motivazione, nel quale peraltro non avrebbe valutato un elemento essenziale emerso dal dibattimento, ossia che il ricorrente avrebbe soltanto fatto parte della folla che assisteva alla corsa, senza alcun ulteriore ruolo; un mero partecipe, quindi, estraneo ad ogni condotta penalmente rilevante;

– carenza o manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 192 c.p.p., comma 1, art. 533 c.p.p., e art. 546 c.p.p.. La sentenza non spiegherebbe quale contributo causale sarebbe stato offerto dal F. all’illecito, così evidenziando una palese lacuna argomentativa, sanzionabile con l’annullamento della pronuncia medesima;

– mancanza ed illogicità della motivazione quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche (censura comune a Fi. e R.). Al riguardo, l’argomento speso dalla Corte risulterebbe laconico e vago, non evidenziando alcun elemento apprezzabile sul punto; specie, peraltro, a fronte di un ruolo del F. evidentemente marginale e, comunque, scarsamente definito;

Fi.:

– violazione dell’art. 192 c.p.p., in ordine alla pena, con vizio motivazionale, attesa la palese sproporzione della stessa;

R.:

– violazione dell’art. 110 c.p., con vizio motivazionale. Il ricorrente sarebbe stato condannato in forza di un dato – l’esser proprietario di una stalla emerso senza alcun elemento ulteriore di concorso (anche a titolo agevolativo), a muover dalla presenza sul luogo della corsa clandestina; al riguardo, la sentenza avrebbe travisato le risultanze probatorie, dalle quali quindi emergerebbe, al più, una mera connivenza;

– violazione dell’art. 163 c.p.; vizio motivazionale. La Corte di appello non avrebbe valutato affatto la richiesta di sospensione condizionale della pena, pur formulata all’udienza del 12/12/2016, come da relativo verbale; istanza che avrebbe meritato accoglimento, anche alla luce dell’età del ricorrente.

Motivi della decisione

4. Il ricorso di R.L. risulta fondato.

La Corte di merito ha riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato con riguardo ad entrambi i reati in contestazione – in forza della deposizione del Carabiniere M., che aveva riferito di averlo individuato sul luogo della corsa clandestina, il (OMISSIS); del pari, il R. era emerso quale proprietario della stalla nella quale era stato ricoverato uno dei cavalli poi impiegati nella corsa in oggetto, sì da evidenziare ulteriormente – come da sentenza impugnata – il suo concorso nell’organizzazione illecita.

Orbene, osserva il Collegio che, con riguardo al primo profilo, la sentenza non ha preso in esame la precisa doglianza sollevata dal R. in sede di appello, laddove si negava che il militare avesse confermato la presenza del ricorrente sul posto, essendosi invece limitato a richiamare il contenuto di un’annotazione di servizio redatta il giorno dell’accertamento; relazione nella quale non vi era cenno della presenza del soggetto.

Quel che, peraltro, questa Corte ha legittimamente verificato, avendo il ricorrente allegato al presente ricorso la relazione in esame, sì da risultare specifica e fondata la doglianza proposta.

Analoga carenza motivazionale, poi, si riscontra quanto al secondo profilo, inerente alla titolarità della stalla ove era stato ricoverato (peraltro, non è dato sapere quando) uno dei cavalli maltrattati; come ancora dedotto nell’impugnazione in esame, infatti, questo dato – pur pacifico – non permette ex se di ravvisare alcuna responsabilità del R. con riguardo al concorso nel maltrattamento dell’animale (condotta ascritta in relazione alle modalità della corsa clandestina), nè alcun ruolo nell’organizzazione o promozione dell’evento illecito, apparendo al riguardo la motivazione – anche quella di primo grado – come del tutto apodittica e generica, ossia fondata su un’astratta, quanto “necessaria” partecipazione del titolare della stalla nella realizzazione di gare di questa natura.

Senza alcun riferimento, quindi, al caso specifico.

Con riguardo al R., pertanto, la sentenza deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria.

5. Alle medesime conclusioni, ma soltanto in parte, perviene poi il Collegio quanto al ricorso di F.L..

Per quanto attiene, in primo luogo, alla responsabilità per il delitto di maltrattamenti di animali (capo a), occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247).

Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett e), è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).

In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti nè all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile:

a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760).

5. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che la doglianza mossa dal F. quanto al capo a) della rubrica si evidenzia infondata; ed invero il Collegio di appello pronunciandosi proprio in ordine alla stessa questione – ha steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettivi elementi dibattimentali e priva di qualsivoglia illogicità manifesta o contraddizione; come tale, dunque, non censurabile.

In particolare – e muovendo dalla premessa, non contestata, che il (OMISSIS) a (OMISSIS) si era tenuta una corsa clandestina di cavalli – la sentenza ha evidenziato la complessa organizzazione che fa da sfondo a tali eventi, con l’intervento di molte persone chiamate a diversi ruoli; tra queste, una moltitudine di soggetti a bordo di ciclomotori, il cui compito è quello di bloccare il transito di autovetture e mezzi pubblici lungo la strada scelta per il percorso, oltre che garantire – in caso di intervento delle forze dell’ordine – che queste non avvicinino i protagonisti delle competizioni e, soprattutto, non sequestrino i cavalli impegnati nella gara, dietro ai quali operano elevati interessi economici, legati in particolare alle scommesse.

Orbene, questa moltitudine di soggetti in motorino era risultata pacificamente presente anche nel caso di specie, ed alla stessa aveva partecipato F.L., congiunto di Fu.Gi. (impegnato a condurre uno dei cavalli); e con la precisazione che il ruolo del primo quale concorrente nel maltrattamento dell’animale – non contestato e tale da integrare il delitto di cui all’art. 544-ter c.p. – è stato ricavato dalla Corte di merito anche dalle inverosimili dichiarazioni dallo stesso rese (così come dal congiunto), con le quali aveva cercato di accreditare la tesi della “passeggiata con mio fratello perchè siamo appassionati di cavalli…lui davanti, io dietro con il vespino…la domenica abbiamo questa passione di farci un giro con il cavallo”.

Quel che la sentenza – con argomento congruo e non certo censurabile – ha definito “a dir poco singolare”, quindi inverosimile, alla luce del contesto affollato di uomini, mezzi ed animali della stesa razza nel quale i due avrebbero inteso svolgere la passeggiata in esame.

Sì da concludere, dunque, che il F. aveva svolto un ruolo non di mero spettatore o di semplice connivente, come invece dedotto nel ricorso, ma di vero concorrente nel reato contestato al capo a) della rubrica, con evidente coscienza e volontà di contribuire al maltrattamento del cavallo nell’ambito della corsa clandestina in oggetto; quel che, peraltro, il gravame ha obliterato del tutto, limitandosi ad una generica doglianza in punto di carenza motivazionale.

Con piena conferma al riguardo, dunque, della pronuncia impugnata.

6. Con riferimento, poi, all’in sè della gara, e, quindi, alla fattispecie di cui all’art. 544-quinquies c.p., ritiene invece la Corte che la sentenza debba essere annullata con rinvio; malgrado l’espressa doglianza difensiva, infatti, nessun argomento è stato speso a tale proposito (al pari della pronuncia di primo grado) e, in particolare, nessuna considerazione è stata svolta quanto al contributo che il ricorrente avrebbe fornito alla organizzazione o promozione dell’evento illecito, sì da integrare la fattispecie in oggetto (che, infatti, non sanziona la mera partecipazione alla gara clandestina).

Quel che, correttamente, il F. lamenta dunque in questa sede, con censura da accogliere.

7. Da ultimo, il ricorso di Fi., che risulta manifestamente infondato.

Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire il costante e condiviso indirizzo secondo cui nel motivarne il diniego, non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899).

Ciò premesso, la Corte ha fatto buon governo di questo principio, negando le circostanze medesime alla luce della gravità del fatto, dell’organizzazione che lo sostiene e dei precedenti penali a carico dell’imputato.

E senza che, pertanto, possa qui valutarsi il “ruolo marginale e comunque scarsamente definito svolto dal ricorrente”, di cui al ricorso, perchè argomento generico e, comunque, escluso in fatto dalla stessa sentenza.

8. Nei medesimi termini, poi, deve esser ritenuta manifestamente infondata anche la seconda doglianza del Fi., in punto di entità della pena; questa, infatti, è stata individuata dal Collegio con adeguato percorso argomentativo, ancora fondato sulla complessità organizzativa dell’evento illecito e sui precedenti a carico del ricorrente, e senza che, dunque, possa accogliersi la censura sul punto, che peraltro emerge come del tutto generica e priva di effettivo argomento.

8.1. E fermo restando, peraltro, che la Corte di appello ha individuato il trattamento sanzionatorio in termini assai contenuti, muovendo dalla pena base di un anno di reclusione quanto al delitto di cui all’art. 544-quinquies c.p. (minimo edittale), ed applicando allo stesso un aumento ex art. 81 cpv. c.p., di soli 15 giorni.

9. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del Fi. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di 2.000,00 euro in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.L. e, limitatamente al reato di cui all’art. 544-quinquies c.p. (capo B) nei confronti di F.L., e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Reggio Calabria. Rigetta nel resto il ricorso di F.L..

Dichiara inammissibile il ricorso di Fi.Gi., che condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 29 agosto 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2017.