Dipendente postale accusato di essersi appropriato di una somma di danaro e per questo condannato. La Cassazione annulla (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 29 gennaio 2019, n. 4471).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente –

Dott. TRONCI Andrea – rel. Consigliere –

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.G., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/04/2018 della CORTE d’APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso, sentita la relazione svolta dal consigliere Dott. Andrea Tronci;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sost. Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. Diego Tranchida, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il difensore di fiducia di P.G. impugna tempestivamente la sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d’appello di Palermo ha confermato la pronuncia emessa dal G.u.p. del Tribunale di Trapani, all’esito del relativo giudizio condotto con le forme del rito abbreviato, di condanna del prevenuto – all’epoca dei fatti dipendente di Poste Italiane, con mansioni di operatore di cassa, addetto alla cassa/sportello dell’ufficio postale di (OMISSIS) alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi dieci di reclusione, oltre interdizione temporanea dai pubblici uffici, per essersi appropriato della somma di Euro 2.000,00, così commettendo il contestato reato di peculato.

2. Tre sono i motivi che il menzionato legale formula a sostegno del proprio ricorso (quali di seguito illustrati, tenendo conto del disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p.).

2.1 Con il primo di essi, il difensore deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per avere la Corte distrettuale:

omesso di considerare il dato obiettivo “della permanenza all’interno dell’ufficio postale dell’intera somma di denaro indicata nel capo d’imputazione”, debitamente riscossa dal prevenuto nell’esercizio delle funzioni sue proprie;

– fatto luogo ad una motivazione illogica, “a fronte della circostanza che il P.G. non ha mai lasciato l’ufficio nel corso della giornata del (OMISSIS)…”, a dimostrazione che la giornata lavorativa non era ancora cessata e che lo stesso non aveva esercitato sulla somma medesima alcun potere uti dominus, e, di più, in rapporto alla contestualità fra la segnalazione al direttore – asseritamente animato da manifesta acredine nei confronti del P. – dell’esistenza di un ammanco dalla propria cassa, comunicata dall’odierno ricorrente, e l’espletamento, da parte di quest’ultimo, “della operazione telematica di sovvenzione allo sportello del direttore medesimo”: dati tutti ritenuti significativi dell’assenza del requisito costitutivo dell’interversione del possesso, oltre che incompatibili con il dolo del reato contestato;

malamente reputato consumato il reato previsto e punito dall’art. 314 c.p., nonostante l’intervento dei militari dell’Arma, sollecitato dal direttore dell’ufficio postale – i termini della cui denuncia neppure sarebbero stati adeguatamente apprezzati – “quando ancora le casse non erano state definitivamente chiuse dallo stesso e prima che il direttore svolgesse personalmente un controllo interno come imposto dal suo ruolo”.

2.2 La seconda censura, sempre ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e) codice di rito, ha ad oggetto l’attribuzione al P., ritenuta erronea, della qualità di incaricato di pubblico servizio, che la Corte territoriale avrebbe ritenuto di supportare unicamente attraverso il richiamo a giurisprudenza di legittimità, significativo in realtà – giusta la tesi sostenuta – “di un approccio superficiale alla vicenda concreta”, perchè dimentico delle “specifiche e definite mansioni che il P.G…. aveva esercitato in data (OMISSIS)”, giorno dei fatti per cui è processo; mansioni definite in tutto corrispondenti a quelle esercitate dai dipendenti bancari e perciò da assoggettarsi al medesimo regime privatistico, con conseguente integrazione della fattispecie di cui all’art. 646 c.p., non procedibile per assenza di “una valida querela”, quale richiesta dal D.Lgs. n. 36 del 2018.

2.3 Il terzo profilo di doglianza, esso pure per violazione di legge e vizio di motivazione, verte sulla mancata applicazione dell’attenuante del danno di speciale tenuità, negato dalla Corte distrettuale senza tener conto che il suo apprezzamento non può prescindere – si assume – anche dal “valore complessivo del pregiudizio arrecato con l’azione criminosa, considerando i danni e le conseguenze lato sensu ulteriori che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione”.

Motivi della decisione

1. L’illustrato ricorso è fondato, nei limiti ed alla stregua delle considerazioni che seguono.

2. In punto di fatto, emerge dalla concorde ricostruzione patrocinata dai giudici di merito che militari dell’Arma, intervenuti a seguito di richiesta del direttore dell’ufficio postale di (OMISSIS) (che aveva segnalato l’esistenza di un “ammanco verificatosi alla cassa n. 4 gestita dall’impiegato P., unico impiegato di quella giornata”), effettuarono una prima ispezione dei luoghi, peraltro susseguente all’iniziale controllo negativo già eseguito nell’ufficio con l’ausilio dei due dipendenti A.R., addetta alle pulizie, ed V.E., portalettere, senza esito alcuno.

Dopodiché, al termine di un colloquio privato avuto con il direttore, allorché i militari tornarono presso la postazione dell’odierno ricorrente, onde sottoporlo a perquisizione personale, notarono una mazzetta di banconote che fuoriusciva, per oltre metà della sua lunghezza, da sotto la tastiera del computer dell’anzidetta postazione, potendo così constatare che si trattava di 40 banconote da Euro 50,00, dunque corrispondenti esattamente all’ammontare mancante, essendo le stesse peraltro tenute insieme “da una graffetta, con sopra una striscia di carta nella quale era scritto Euro 2.000”.

3. Ciò posto, non rivestono alcuna concreta valenza le obiezioni difensive che pongono l’accento sul particolare carico di lavoro da cui era stato gravato quel giorno il P., quale unico impiegato presente; sull’assenza di un verbale ex art. 357 c.p.p., concernente specificamente l’iniziale attività d’ispezione dei luoghi da parte dei Carabinieri, come pure sulla mancanza di indicazioni circa l’avvenuta verifica precedente, ad opera del direttore, dello spazio sottostante la tastiera del computer della postazione dell’imputato; sulla non ancora avvenuta conclusione della giornata lavorativa, essendo appunto in corso le operazioni di rendiconto, cui stava fattivamente partecipando il P., non allontanatosi pertanto dall’ufficio.

Esse, invero, attraverso l’esile paravento del vizio di motivazione, sono funzionali a sollecitare, in realtà, una difforme ricostruzione del fatto rispetto a quella compiuta dai giudici di merito in termini congrui e lineari, come tali insuscettibili di censura nella presente sede di legittimità, in particolare la sentenza impugnata avendo rimarcato come, alla stregua degli atti di causa, fosse stata inizialmente compiuta una “accurata ricognizione visiva” a cura degli operanti, i quali avevano dato atto, “in corrispondenza della cassa occupata dall’operatore presente, (di) una fascetta di denaro contante rilegato da una graffetta, le cui banconote dapprima visibili erano di taglio di 10 Euro”, significando quindi, esplicitamente, non essere stata “notata la presenza di altro denaro in corrispondenza di detta cassa”: donde la logica inferenza, pure affermata altrettanto espressamente, che solo il P., di cui pure viene sottolineato nell’occasione il comportamento “irrequieto” e la “voce tremula” di fronte alla richiesta di giustificazioni rivoltagli dai militari, avesse potuto collocare sotto la tastiera il denaro precedentemente sottratto, “approfittando della favorevole occasione creatasi per il temporaneo allontanamento dei Carabinieri”.

Ovvero valorizzano, le anzidette obiezioni, circostanze non conferenti, atteso che la contestata appropriazione risulta appieno realizzata nel momento in cui il soggetto agente compie sulla res l’atto di dominio consistente nella volontà, espressa o implicita che sia, di farla propria, quindi senza necessità di ulteriori comportamenti uti dominus.

4. Diverso discorso s’impone quanto alla tematica sollevata – rectius: reiterata – dalla difesa in ordine alla veste giuridica del P., quale dipendente postale.

In proposito la Corte distrettuale, a fronte della questione esplicitamente sottopostale con l’atto di gravame, ha ritenuto di poterla superare sulla scorta dell’indirizzo secondo cui l’impiegato di Poste Italiane, al di là dello svolgimento dei servizi definiti riservati dal D.Lgs. n. 261 del 1999, sarebbe comunque destinatario della qualifica di incaricato di pubblico servizio, pur nello svolgimento delle attività proprie della divisione “bancoposta”; indirizzo che i giudici palermitani assumono essere tuttora conforme all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, all’esito della rivalutazione succeduta ad un iniziale ripensamento dell’indirizzo tradizionale, qui abbracciato.

Trattasi di assunto non corretto, come del resto emerge con chiarezza dagli stessi passaggi motivazionali che la Corte territoriale ha riportato nel corpo del suo argomentare, senza tuttavia trarne le necessitate implicazioni.

4.1 Risponde in effetti a verità che la messa in discussione del risalente orientamento che attribuiva comunque la qualità di incaricato di pubblico servizio al dipendente postale – orientamento formatosi in epoca in cui ben diversa era la veste giuridica di Poste Italiane e, soprattutto, meno ampio ed articolato il ventaglio delle attività espletate, avuto riguardo al criterio oggettivo-funzionale privilegiato dall’art. 358 c.p. – ha comportato un’opportuna ed approfondita rivisitazione della materia da parte di questa Suprema Corte, in esito alla quale è stato rilevato che le attività di bancoposta, quali definite dal D.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, art. 2, comma 1, (Regolamento recante norme sui servizi di bancoposta) e successive modifiche, in ragione della molteplicità e varietà loro proprie, non costituiscono affatto un tutt’uno inscindibile ed omogeneo, bensì vanno singolarmente considerate: donde la conclusione che fra esse la sola attività di raccolta del risparmio postale – oggetto della previsione di cui al succitato art. 2, comma 1, lett. b – “si distingua dalle altre attività di bancoposta per alcune peculiari caratteristiche che la rendono oggetto di una specifica disciplina pubblicistica”, quali discendono dalla destinazione della provvista in tal modo raccolta alle finalità proprie della Cassa Depositi e Prestiti, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284 chiamata “a svolgere attività e servizi normativamente definiti di interesse economico generale, consistenti tra l’altro nel ricevere direttamente depositi, con la garanzia dello Stato, da parte (…) di privati nei casi prescritti da leggi o da regolamenti e nel concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, alle regioni, agli enti locali, agli altri enti pubblici, ai gestori di pubblici servizi, alle società a cui la Cassa partecipa e agli altri soggetti indicati dalla legge, utilizzando allo scopo, oltre al proprio patrimonio, i fondi rimborsabili sotto forma di libretti di risparmio postale, buoni fruttiferi postali e di altri prodotti finanziari, assistiti dalla garanzia dello Stato (D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 2)”; il che dà ragione della già sintomatica autonomia della previsione relativa alla raccolta del risparmio postale, rispetto alla raccolta del risparmio tra il pubblico, “raccolta di risparmio tra il pubblico, come definita dall’art. 11, comma 1 Testo Unico Bancario ed attività connesse e strumentali”, ai sensi del già menzionato D.P.R. n. 144 del 2001, art. 2, comma 1, lett. a.

In tal senso è esplicita la sentenza Sez. 6, n. 10875 del 23.11.2016 – dep. 2017, Rv. 272079, da cui sono tratte le parti sopra virgolettate ed a cui si ricollega direttamente la pure perspicua pronuncia Sez. 6, n. 14227 del 13.01.2017, Rv. 269481, dalla motivazione della quale ultima – come già in precedenza accennato – il provvedimento qui impugnato ha tratto alcuni passaggi particolarmente significativi che, ancorchè specifici dell’attività di raccolta del risparmio postale, sono stati indebitamente estesi alla totalità dei servizi di bancoposta (che comprendono anche, in conformità all’art. 2, comma 1, ripetutamente indicato, ed in aggiunta alla già menzionata attività di raccolta di risparmio tra il pubblico di cui alla lett. a): “c) prestazioni di servizi di pagamento, comprese l’emissione di moneta elettronica e di altri mezzi di pagamento, di cui all’art. 1, comma 2, lett. f), nn. 4) e 5) Testo Unico Bancario; d) servizio di intermediazione in cambi; e) promozione e collocamento presso il pubblico di finanziamenti concessi da banche ed intermediari abilitati; f) servizi di investimento ed accessori di cui all’art. 12; f-bis) servizio di riscossione crediti; f-ter) esercizio in via professionale del commercio di oro, per conto proprio o per conto terzi, secondo quanto disciplinato dalla L. 17 gennaio 2000, n. 7).

4.2 Alla stregua di siffatta impostazione, che il Collegio condivide e da cui non ha dunque motivo di discostarsi, è di tutta evidenza che il ragionamento svolto dalla Corte palermitana – che ha ritenuto di poter prescindere dalla pur sollecitatale valutazione delle concrete operazioni attraverso le quali l’imputato venne in possesso della somma in contanti di Euro 2.000,00, coordinando l’obiettivo dato fattuale per cui tutte le attività postali furono comunque poste in essere dal P., quale solo impiegato di cassa presente, con l’erroneo principio di diritto da essa enunciato – non può che essere censurato.

Di contro, vi è la necessità, ai fini dell’esatto inquadramento giuridico del fatto per cui è processo, di stabilire a quale tipo di attività si ricolleghi l’incasso della somma oggetto di pacifica appropriazione ad opera dell’imputato, relativamente alla cui entità è appena il caso di rilevare la manifesta infondatezza della censura ultima del ricorrente, in punto di danno di speciale tenuità: ciò in ragione del carattere residuale e sussidiario che è proprio del criterio soggettivo valorizzato dalla difesa, allo stesso potendo dunque farsi correttamente riferimento solo allorchè l’apprezzamento oggettivo, legato al valore della res, non risulti di per sè risolutivo. Il che è conforme al risalente, ma sempre valido insegnamento della giurisprudenza di legittimità (si veda in proposito Sez. 6, sent. n. 10034 del 12.03.1990, Rv. 184842), ribadito anche di recente alla stregua della massima di seguito riportata:

“La concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressochè irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sè della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subito in conseguenza della sottrazione della “res”, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale l’imputato invocava la configurabilità della predetta circostanza attenuante in una fattispecie di furto di merce del valore commerciale di 82 Euro, sul presupposto che tale somma fosse irrilevante rispetto alla capacità economica del supermercato vittima del reato).” (così Sez. 4, sent. n. 6635 del 19.01.2017, Rv. 269241).

5. S’impone dunque, in definitiva, il già anticipato annullamento della sentenza della Corte palermitana, spettando al giudice del rinvio il compito di far luogo all’accertamento in precedenza indicato, per poi provvedere alla verifica della qualificazione giuridica del fatto per cui è processo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo per nuovo giudizio.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2019.