Dire Straits (Live Show) /-/ Walk of Life …

video
play-sharp-fill
Gli inglesi usano un loro modo di dire: shot by both sides. Bella espressione che divenne anche il titolo di un singolo dei Magazine. Shot by both sides significa che non vai mai bene per nessuno.

Che qualsiasi mossa adotterai, sarai sempre nel torto. Quindi tanto vale lanciarsi e non pensarci più.

Ecco, i Dire Straits – in circa quindici anni di carriera – si sono costantemente trovati in questo cul de sac.

All’inizio per il genere proposto. Poi per il troppo successo accumulato che li ha resi antipatici ai critici.

Quando loro, in definitiva, volevano tenere le cose semplici, a misura d’uomo.

Tre erano le vie per farsi notare se facevi parte di un gruppo alle prime armi nel marasma collettivo dei tardi anni ’70. O suonavi punk facendo leva su slogan e scarsa abilità strumentale; o flirtavi con la new wave e, in tal caso, dovevi dividerti tra testi criptici e sonorità intellettuali; oppure ti dedicavi alla disco music e, nel migliore dei casi, diventavi gli Chic o il gruppo che accompagnava Donna Summer. I Dire Straits no. Loro scelsero un percorso totalmente “fuori moda” muovendosi tra rock delle origini, blues, country e giusto uno spruzzatina di jazz.

Le loro chitarre erano sì elettriche, ma cristalline e senza uno straccio di distorsione. E i testi non parlavano di politica o vita spericolata, ma di personaggi minori, scultori che non riescono ad esporre le proprie opere nelle gallerie d’arte, band che suonano nel disinteresse del pubblico, sfigati in generale.

Nell’Italia del ’78 (l’anno del debutto epocale Dire Straits) che stava facendo i conti con l’omicidio-Moro e i Mondiali di Calcio in Argentina (con tutti i problemi etici che comportava andare a giocare a pallone in un Paese dilaniato dalla dittatura), la proposta di Mark Knopfler e soci sembrava quasi una presa in giro. Uno stare lontano dalle “cose serie”. Ed invece la nostra penisola, nel tempo, sarà quella che vorrà più bene all’avventura degli stessi Dire Straits perché alla buona musica non si comanda.

Una scorribanda che, nel giro di appena sei album in studio, arriverà a vendere la cifra di 120 milioni di copie e, dal 1992 in poi, lascerà un vuoto incolmabile nel cuore di tutti i suoi fan. Perché sì che i dischi solisti di Knopfler sono sempre più eleganti e ricercati ma la verve esplosiva del gruppo è ibernata da circa venticinque anni.

Cristalizzata a dovere negli album più celebri ripubblicati in questo periodo da Sorrisi. E lì rimarrà per sempre.