In tema di dichiarazioni pubbliche del magistrato e quindi di responsabilità disciplinare, spetta anche al giudice il diritto di critica sui provvedimenti giudiziari, a condizione, però, che ciò non trascenda in offese e/o riferimenti alla persona del magistrato procedente esorbitanti dal contenuto del provvedimento criticato: così, costituisce violazione dei doveri di correttezza, riservatezza ed equilibrio nonché lesione dell’immagine, dell’onore e della reputazione il criticare l’operato del magistrato sottoposto per non avere, tra l’altro, «conciliato il rispetto delle regole» per «forte mania di protagonismo e per interessi personali».
Svolgimento del processo
1. II dott. G.T., all’epoca dei fatti giudice della sezione GIP/GUP del Tribunale di Taranto, facente funzioni di Presidente della sezione, è stato rinviato a giudizio dinanzi alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura sulla base delle seguenti incolpazioni:
a) Illecito disciplinare di cui agli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 109 del 2006 in quanto – giudice del tribunale di Taranto “facente funzioni di presidente di sezione GIP – GUP — violando i doveri di correttezza, riserbo ed equilibrio, teneva un comportamento gravemente scorretto nei riguardi dei magistrati del suddetto ufficio. Il dott. G.T., infatti, nel corso di un incontro pubblico svoltosi il 25 ottobre 2012 presso il convento di Sant”Egidio di Sava, Taranto, riferendosi alla vicenda penale riguardante lo stabilimento ILVA di Taranto ed ai provvedimenti di sequestro disposti da magistrati del suo stesso ufficio, sottoposti quindi alla sua vigilanza e direzione organizzativa, entrava nel merito del procedimento in corso che aveva un’ampia risonanza sulla stampa nazionale, pronunciando, fra l’altro, le seguenti frasi: “Ritengo che la vicenda giudiziaria non è stata affrontata dal GIP nel modo nel conciliare il rispetto delle regole. Purtroppo devo dire che i magistrati che hanno una forte mania di protagonismo portano il consenso che proviene dalla opinione pubblica. Mi chiedo come il cittadino non si accorga che dietro a questo protagonismo si nascondono interessi personali, soprattutto nella carriera politica. Da quasi venti anni il Paese è soffocato da tutto questo, anche l’Italia è effettivamente governata dalla magistratura e si vedono i risultati. Pochissimi appartenenti alla magistratura riescono a condizionare la politica e a far valere il proprio valore civile. Quello che appare è la carenza di equilibrio e soprattutto la violazione delle leggi basilari e regole processuali” “Radere al suolo I ‘ILVA non è un ordine che può partire dal GIP, ma dal Governo’: “…
Il GIP ha disposto una perizia fatta da professionisti di sua fiducia mentre avrebbe potuto acquisire i dati delle indagini commissionata dall’Istituto Superiore della Sanità. Il GIP non si poteva illudere di incidere servendosi con il supporto dei suoi periti in un campo che non è nelle sue competenze, riportando gravissime ripercussioni sull’economia nazionale”.
b) Illecito disciplinare di cui all’art. 4, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 109 del 2006 in quanto, con le suddette dichiarazioni, riportate ampiamente anche da una testata on line, il dott. G.T., con una condotta idonea a ledere la sua immagine di magistrato, ha offeso l’onore e la reputazione della dott.ssa P.T., GIP assegnatario del procedimento relativo allo stabilimento ILVA, che aveva emesso i provvedimenti menzionati dall’incolpato, attribuendo alla collega una “forte mania di protagonismo”, un “interesse personale di carriera politica” e “carenza di equilibrio”. Notizia circostanziata dei fatti acquisita il 21 novembre 2012.
2. Con sentenza depositata il 21 novembre 2014 la Sezione disciplinare del CSM ha dichiarato il G.T. responsabile dell’incolpazione ascritta al capo a) e gli ha inflitto la sanzione disciplinare del] ‘ammonimento; lo ha assolto dalla incolpazione di cui al capo b) avendo escluso l’addebito.
3. Con riferimento al capo di incolpazione sub b) la Sezione disciplinare, premesso che la norma alla base dell’incolpazione presuppone la sussistenza degli estremi dell’illecito penale, ha escluso che le sopra riferite dichiarazioni rese dal G.T. potessero considerarsi diffamatorie.
4. Con riferimento al capo di incolpazione sub a) la Sezione disciplinare ha ritenuto la sussistenza degli estremi della grave scorrettezza nei confronti di magistrati dell’ufficio. Premesso che all’epoca del fatto contestato il G.T. rivestiva la qualifica di coordinatore dell’ufficio GIP di Taranto, presso il quale svolgeva la propria attività il magistrato che aveva adottato i provvedimenti criticati, e premesso altresì che tale condizione avrebbe imposto un dovere di correttezza nei confronti degli altri magistrati operanti all’interno dello stesso ufficio, sottoposti alla sua vigilanza e direzione organizzativa, anche nella prospettiva di evitare possibili strumentalizzazioni delle suddette dichiarazioni (ciò che in effetti si è verificato) e l’inevitabile delegittimazione dell’operato del singolo magistrato, come pure dell’intero ufficio da lui stesso rappresentato, ha affermato che le suddette dichiarazioni, pur non integrando gli estremi del reato di diffamazione, avevano realizzato l’illecito contestato, consistente nella adozione di un comportamento gravemente scorretto nei confronti di un magistrato dello stesso ufficio.
La conseguente sanzione disciplinare è stata determinata, tenuto conto della levità dei fatto, nell’ammonimento, e cioè nella misura minima consentita dall’ordinamento disciplinare.
5. Per la cassazione di tale sentenza il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite Civili affidato a due motivi. il G.T. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo viene denunziata violazione dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen. con riferimento all’art. 12, comma 1, lett. e), all’art. 1, comma 1 e all’art. 2, comma 1, lett. d) d.lgs. n. 109 del 2006. Si deduce che la sanzione dell’ammonimento, irrogata, per l’incolpazione di cui al capo a), tenuto conto della levità del fatto contestato, è da considerarsi illegittima in quanto per tale tipo di infrazione disciplinare è prevista (art. 12, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 109 del 2006) una sanzione non inferiore alla censura.
7. Con il secondo motivo viene denunziata, con riferimento alla statuizione concernente il capo b) dell’incolpazione, violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., dell’art. 4, lett. d), d.lgs. n. 109 del 2006 e dell’art. 595 cod. pen. nonché vizio di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.). Si osserva in particolare che l’aver ritenuto che le frasi riportate nei capi di incolpazione integrassero gli estremi di un comportamento gravemente scorretto nei confronti di un magistrato dello stesso ufficio (la dott.ssa T.) e l’aver negato il contenuto diffamatorio delle frasi stesse dimostra una palese contraddizione.
Si sottolinea altresì che il diritto di critica concernente provvedimenti giudiziari, diritto che spetta anche al magistrato, non può trascendere in offese e contumelie ovvero riferimenti alla persona del giudice che esorbitano dal contenuto del provvedimento criticato.
8. II primo motivo è fondato.
8.1. La sentenza della Sezione disciplinare ha ritenuto la sussistenza degli estremi dell’illecito disciplinare di cui al primo dei capi di incolpazione sopra indicati (contrassegnato dalla lettera a), illecito previsto dall’art. 2, comma 1, lettera d) d.lgs. n. 109 dei 2006 a norma dei quale costituiscono illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni (di magistrato) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti … omissis … di altri magistrati o di collaboratori.
Rispetto a tale statuizione non è stata proposta alcuna censura. La censura di cui al primo motivo di ricorso riguarda infatti unicamente la sanzione disciplinare irrogata e cioè l’ammonimento che, ai sensi dell’art. 5 del citato digs., costituisce la sanzione meno grave prevista in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati e che, viene definito dal successivo art. 6 come un richiamo, espresso nel dispositivo della decisione disciplinare, all’osservanza, da parte del magistrato, dei suoi doveri, in rapporto all’illecito commesso.
Tale sanzione, tuttavia, come correttamente rilevato nel motivo di ricorso, non può essere irrogata per l’illecito disciplinare in esame, stante i1 divieto previsto dall’art. 12, comma 1, lett. e), a norma del quale, infatti, per i comportamenti, come quello in esame, previsti dall’art. 2, comma 1, lett. d), si applica una sanzione non inferiore alla censura.
Dalla chiara formulazione della norma si evince che la suddetta soglia minima, riferita alla individuazione della sanzione applicabile, non può essere superata dall’organo giudicante con la conseguenza che non assume alcuna rilevanza per giustificare, nel caso in esame, l’irrogazione dell’ammonimento il riferimento, contenuto nella sentenza impugnata, alla “levità del fatto”.
9. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato.
10. La sentenza impugnata ha assolto il magistrato dalla incolpazione di cui al capo b) avendo escluso l’addebito. Alla base della suddetta incolpazione è stata posta la violazione dell’art. 4, lettera d), d.lgs. n. 109 dei 2006, a norma del quale costituisce illecito disciplinare “qualunque fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine del magistrato, anche se il reato è estinto per qualsiasi causa o l’azione penale non può essere iniziata o proseguita”.
Secondo la giurisprudenza di queste Sezioni Unite (cfr., in particolare, Cass. S.U. 23 gennaio 2015 n. 1240) nell’ipotesi prevista dalla norma citata il giudice disciplinare può individuare, accertare e sanzionare una “condotta-reato” disciplinarmente rilevante anche indipendentemente da qualsiasi individuazione, accertamento e sanzione della condotta medesima da parte del giudice penale.
11. Nel caso di specie la Sezione disciplinare ha escluso che le dichiarazioni del magistrato sopra riportato possano considerarsi diffamatorie perché “non si traducono in un attacco personale nei confronti del collega al fine di inciderne la sfera dell’onore, ma costituiscono, piuttosto, valutazioni di carattere generale, in relazione alle quali le specifiche vicende menzionate, coinvolgenti anche i colleghi, costituiscono la mera occasione per lo sviluppo di un ragionamento critico, del tutto lecito, in quanto espressione della generale facoltà di critica dei provvedimenti giudiziari” la quale deve riconoscersi anche al cittadino – magistrato.
12. La suddetta conclusione suscita perplessità sotto il profilo del vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. (Sulla ammissibilità della suddetta censura nel caso di sentenza emessa dalla Sezione disciplinare del C.S.M. avente ad oggetto la condanna del magistrato cfr., da ultimo, Cass. S.U. 23 gennaio 2015 n. 1241).
13. Deve premettersi che, con riferimento al problema della configurabilità, o meno, della fattispecie disciplinare di cui al capo di incolpazione, la giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. S.U. 12 ottobre 2011 n. 20935) ha chiarito che, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, integra l’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 109 del 2006, in quanto fatto costituente reato idoneo a ledere l’immagine dei magistrato, l’espressione di giudizi pesantemente critici in merito alla capacità professionali ed alle caratteristiche di imparzialità ed indipendenza di altri magistrati. Ed infatti, ai fini della configurabilità dell’esimente dell’esercizio dei diritto di critica, occorre che la critica, lecita anche se aspra, rimanga nei confini della continenza espressiva, senza quindi trasmodare in aggressioni verbali gratuitamente e gravemente infamanti.
14. La sentenza impugnata non ha spiegato le ragioni per cui ha ritenuto sussistente l’esimente del diritto di critica (e quindi rispettati i confini della continenza espressiva nei termini definiti dalla giurisprudenza sopra citata) in un contesto nel quale il magistrato, dopo aver specificamente menzionato il GIP che aveva adottato il provvedimento di sequestro concernente l’ILVA di Taranto (la dott.ssa T.), accusandolo di non aver affrontato la vicenda giudiziaria in modo di “conciliare il rispetto delle regole”, ha parlato, nello stesso contesto argomentativo, di “forte mania di protagonismo”, di “interessi personali, soprattutto nella carriera politica” che si nasconderebbero dietro i citati interessi personali, di “carenza di equilibrio” e di “violazione delle leggi basilari e regole processuali”
15. AI suddetto profilo di carenza della motivazione si aggiunge un ulteriore profilo di contraddittorietà della stessa. Ed infatti la stessa sentenza, nel motivare la distinta statuizione secondo cui sussistevano, nel caso di specie, gli estremi della grave scorrettezza nei confronti di un magistrato ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. d) (capo di incolpazione a), ha individuato nelle medesime dichiarazioni sopra riferite, rivolte al medesimo destinatario (e cioè alla dott.ssa T. che aveva emesso i provvedimenti di sequestro nei confronti dell’ILVA) i comportamenti che integravano la suddetta grave scorrettezza. In particolare la sentenza impugnata sottolinea che, essendo il destinatario delle suddette dichiarazioni un magistrato addetto all’ufficio GIP coordinato dal dott. G.T., le suddette dichiarazioni avevano determinato, oltre alla strumentalizzazione delle suddette dichiarazioni, la delegittimazione dell’operato dei magistrato, come pure dell’intero ufficio GIP.
16. Appare in sostanza difficilmente conciliabile dal punto di vista della coerenza logica l’affermazione, posta alla base dell’esclusione della valenza diffamatoria delle frasi contestate, secondo cui le stesse costituiscono “valutazioni di carattere generale, in relazione alle quali le specifiche vicende menzionate, coinvolgenti anche i colleghi, costituiscono la mera occasione per lo sviluppo di un ragionamento critico” con quella secondo cui le medesime dichiarazioni costituiscono una grave scorrettezza nei confronti dei GIP tanto da aver determinato la delegittimazione dell’operato dello stesso.
17. La sentenza deve essere in definitiva cassata, con rinvio alla Sezione disciplinare dei Consiglio Superiore della Magistratura, in diversa composizione, che provvederà in coerenza con i principi e le indicazioni sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura in diversa composizione.