Durante interrogatorio l’arrestato accusa un maresciallo dei cc di lesioni personali e abuso di ufficio per averlo picchiato ed averlo indotto ad allontanarsi dal domicilio (dove scontava gli arresti domiciliai) per poi arrestarlo.

(Corte di Cassazione penale, sez. VI, sentenza 12 agosto 2016, n. 34875)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierlui – rel. Consigliere –
Dott. DI SALVO Salvatore – Consigliere –
Dott. CORBO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

V.E., nato il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 03/10/2014 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/07/2016 la relazione svolta dal Consigliere Dott. DI STEFANO PIERLUIGI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. SPINACI SANTE che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Fatto e motivo della decisione.

Con sentenza del 3 ottobre 2014 la Corte di Appello di Bologna ha confermato la condanna di V.E. per il reato di calunnia per aver accusato, in sede di interrogatorio di convalida dell’arresto in data (OMISSIS), un maresciallo dei carabinieri di lesioni personali ed abuso di ufficio per averlo picchiato e per averlo indotto ad allontanarsi dal domicilio per poi arrestarlo.

Rileva la Corte che le dichiarazioni del ricorrente erano caratterizzate da serietà nell’accusa al militare, in occasione dell’arresto per violazione degli obblighi inerenti la misura di prevenzione.

V.E. propone ricorso a mezzo del difensore deducendo:

con primo motivo l’omessa notifica del decreto di citazione innanzi alla Corte di Appello all’imputato personalmente, in quanto era in stato di detenzione. Pur se il V. aveva eletto domicilio presso il difensore, la notifica doveva essergli fatta personalmente perchè detenuto.

Con secondo motivo la mancanza ed insufficienza della motivazione rilevando che, nella vicenda denunciata dal ricorrente, non poteva ritenersi integrata l’accusa di abuso di ufficio. La Corte di Appello non ha motivato al riguardo.

Con terzo motivo deduce la violazione di legge in quanto nel fatto asseritamente oggetto di falsa denuncia non era rilevabile una condotta di abuso di ufficio. Nè potevano sussistere le diverse ipotesi di procurata evasione o evasione determinata all’altrui inganno in quanto il ricorrente non era agli arresti domiciliari bensì aveva l’obbligo di non uscire la sera in base alla misura di prevenzione applicatagli.

Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione per la mancata valutazione della credibilità della persona offesa e dei riscontri alle sue dichiarazioni.

Il ricorso è inammissibile.

A prescindere dall’esservi effettivamente uno stato di detenzione al momento della notifica del decreto di citazione in appello, l’essere questo stato notificato presso il domicilio eletto rende, se del caso, tale notifica non inesistente per cui la relativa eccezione doveva essere proposta immediatamente dal difensore di fiducia che, invece, non ha dedotto alcunchè in sede di udienza di discussione.

Il secondo motivo è manifestamente infondato in quanto, una volta che la Corte ha correttamente ritenuto che il fatto integrasse il determinato reato, non era tenuta ad una ulteriore motivazione sulla diversa prospettiva giuridica del ricorrente.

Il terzo motivo è parimenti manifestamente infondato risultando correttamente qualificato il fatto come abuso di ufficio, ricorrendo le relative condizioni (violazione di una norma giuridica con specifica volontà di arrecare un danno).

Il quarto motivo è manifestamente infondato risultando valutata, nei termini necessari tenuto conto delle specifiche condizioni nel caso di specie, la credibilità della persona offesa, ancorchè in termini impliciti; nè era atto dovuto, non applicandosi l’art. 192 c.p.p., comma 3, la individuazione dei riscontri specifici alle accuse mosse dal militare.

Valutate le ragioni dell’inammissibilità, la sanzione pecuniaria va determinata nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2016.