Equo indennizzo per ingiusta detenzione (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 22 ottobre 2019, n. 43240).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere

Dott. CENCI Daniele – Consigliere

Dott. CAPPELLO Gabriella – rel. Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere

la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: CANNALONGA GEPPINO nato a SALERNO il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 20/03/2019 della CORTE ASSISE APPELLO di SALERNO;

svolta la relazione dal Consigliere Dott.ssa Gabriella CAPPELLO;

lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto Dott. Giuseppe CORASANITI, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto

1. La corte d’appello di Salerno ha parzialmente accolto la domanda di riconoscimento di un indennizzo per ingiusta detenzione, formulata dalla difesa di CANNALONGA Geppino, con riferimento a un procedimento penale nel quale l’uomo era stato sottoposto a misura cautelare (dapprima in carcere per giorni 11, quindi agli arresti domiciliari per giorni 247) per concorso in ricettazione e traffico illegale di armi e detenzione illecita di un’arma con relativo munizionamento, accuse dalle quali era assolto in primo grado, con conferma in appello.

2. Il rigetto parziale della domanda si è fondato sulla lettura incrociata dell’ordinanza custodiale, di quella del Tribunale del riesame che, ritenuto l’affievolimento del quadro cautelare, aveva sostituito la misura più afflittiva con quella domiciliare e delle due sentenze di merito, e alla stregua di tali elementi la corte territoriale ha ritenuto insussistenti profili di dolo o colpa grave determinanti l’adozione e il mantenimento della misura, al contempo ravvisando, tuttavia, profili di colpa lieve, alla luce dei quali ha disposto una riduzione dell’indennizzo poi liquidato.

3. La difesa del CANNALONGA ha proposto ricorso formulando un motivo unico, con il quale ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della colpa lieve, alla entità della somma riconosciuta per personalizzare la liquidazione dell’indennizzo e al criterio equitativo seguito.

Sotto il primo profilo, in particolare, ha contestato la valutazione della documentazione, assumendone l’errata interpretazione, atteso che le conversazioni intercettate alle quali ha fatto riferimento la corte territoriale non presenterebbero i connotati di ambiguità riconosciuti, altresì opponendo il difetto di una adeguata spiegazione del percorso seguito per ritenere sussistenti elementi a sostegno della colpa lieve del ricorrente.

Quanto alla riduzione, la difesa ha contestato il ricorso al criterio del terzo, rispetto al quale la corte territoriale non avrebbe espresso alcuna motivazione in ordine alle ragioni della individuata misura dell’indennizzo e della ritenuta colpa lieve, incidente sulla determinazione dell’indennizzo, non avendo neppure considerato tutti gli aspetti del danno patrimoniale patito (rilevante strepitus fori, incensuratezza, gravità del danno subito come imprenditore, amministratore unico della GEMI PLAST, rimasta inoperativa dal suo arresto con una perdita di fatturato documentata da apposita consulenza).

Sul punto, la difesa ha pure contestato l’assunto secondo cui l’attività imprenditoriale fosse da considerarsi di impronta familiare cosicché la stessa sarebbe proseguita nonostante l’arresto del ricorrente, opponendo il difetto di elementi a conferma e rilevando che ad impronta familiare era la GANA Sport, della quale il ricorrente era solo un dipendente.

Considerato in diritto

1. Il ricorso va rigettato.

2. La corte d’appello, per giustificare il parziale rigetto della domanda, ha opposto l’esistenza di un comportamento lievemente colposo del CANNALONGA, rinvenendolo nella ambiguità di due conversazioni intercorse con un soggetto che lavorava in un’armeria, tale Ranieri GRANOZIO, e sulla base dell’avvenuto sequestro di una pistola e relativo munizionamento per i quali in sede cautelare si era ritenuto che l’interessato non avesse la relativa autorizzazione.

La stessa corte di merito, peraltro, come evidenziato nell’ordinanza impugnata, aveva riconosciuto tale connotato di cripticità dei dialoghi (nei quali si parlava inspiegabilmente di “scarpe” e “14 cosette piccole”), pur essendo tale elemento rimasto penalmente neutro per carenza di elementi a riprova.

Lo stesso dicasi quanto alla detenzione dell’arma e del relativo munizionamento: l’assoluzione era non era discesa da una riscontrata inidoneità dell’arma, bensì dalla singolarità della vicenda, essendosi trattato di un’arma vetusta, tale da essere inservibile a meno di un accurato restauro, cosicché ha riconosciuto che l’omessa denuncia di essa fosse dipesa da una negligenza dell’agente.

Trattasi di elementi confermati in sede di giudizio, tali da non superare la soglia del rilevante penale, ma idonei ad introdurre nella valutazione censurata un profilo di colpa, seppur non decisivo, rilevante ai fini della quantificazione dell’indennizzo.

Quanto a quest’ultimo, la Corte salernitana ha ben evidenziato la natura indennitaria e non risarcitoria della liquidazione, richiamando il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità che ha individuato il criterio matematico pari a euro 235,82 per ogni giorno di custodia cautelare in carcere e euro 117,91 per ogni giorno di arresti domiciliati, salva la possibilità per il giudice di adeguare la somma risultante dal calcolo aritmetico in relazione alle sofferenze in concreto patite dal soggetto, sempre nel contesto di una delibazione sorretta da criteri equitativi in coerenza con l’indole indennitaria e non risarcitoria della somma da riconoscere a titolo di riparazione per la subita ingiusta detenzione.

Alla stregua di tale premessa, ha considerato che la vicenda aveva avuto una risonanza mediatica e che il CANNALONGA era privo di pregiudizi penali, sul piano lavorativo richiamando gli elementi emersi dalla stima elaborata dal consulente di parte (perdita di introiti per circa nove mesi), in relazione alla carica ricoperta dal CANNALONGA nella GEMI PLAST (A.U.) e alla sua condizione di dipendente della GANA SPORT.

A tale proposito, tuttavia, quel giudice ha richiamato l’interrogatorio di garanzia per affermare che entrambe dette posizioni erano svolte in un contesto imprenditoriale di stampo familiare, circostanza dalla quale ha desunto che l’attività, pur subendo ragionevolmente una flessione in conseguenza dell’arresto del ricorrente, era proseguita senza il suo apporto, ribadendo che, in ogni caso, stante la natura dell’indennizzo di cui si tratta, il singolo elemento fattuale non acquista carattere di autonoma “posta” di danno. Pertanto, ha liquidato la somma complessiva di euro 39.000,00, riducendola di un terzo sulla scorta dei sopra evidenziati profili di colpa lieve, ancorando l’adeguamento agli stessi criteri di ragionevolezza che presiedono gli altri fattori considerati nella liquidazione dell’indennizzo.

3. Il motivo è infondato.

3.1. Quanto alla colpa lieve, in linea generale, va ribadito che – nel procedimento di equa riparazione per l’ingiusta detenzione – il giudice deve valutare anche la condotta colposa lieve, rilevante non quale causa ostativa per il riconoscimento dell’indennizzo, bensì per l’eventuale riduzione della sua entità (cfr. sez. 4 n. 51343 del 09/10/2018, Rv. 274006; n. 21575 del 29/01/2015, Antognetti, Rv. 259212; n. 2430 del 13/12/2011, dep. 2012, Popa, Rv. 251739).

Le censure che hanno attaccato la parte della decisione riguardante la ricorrenza di un comportamento del CANNALONGA sorretto da colpa lieve sono ai limiti della stessa ammissibilità: esse scontano il mancato confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni specificamente addotte dalla corte della riparazione quanto al profilo in esame (cfr., sul punto, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/01/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione) e si basano, in sostanza, su un diverso apprezzamento degli elementi legittimamente considerati dalla corte della riparazione, sulla scorta delle stesse affermazioni dei giudici che hanno definito in senso assolutorio il procedimento penale.

Quanto ai profili riguardanti, invece, la quantificazione dell’indennizzo, deve intanto precisarsi che la giurisprudenza ha da tempo elaborato il parametro aritmetico, al quale riferire la liquidazione dell’indennizzo, costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315, comma secondo, cod. proc. pen., e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma quarto, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita, affermando che il potere di valutazione equitativa del giudice, per la soluzione del caso concreto, non può in ogni caso comportare lo sfondamento del tetto massimo normativamente stabilito (cfr. Sez. U. n. 24287 del 09/05/2001, Ministero del Tesoro e Caddi, Rv. 218975).

La somma che deriva da tale computo (euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere e euro 117,91 per la detenzione domiciliare), tuttavia, offre solo una base utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo ad un’eccessiva discrezionalità del giudice e garantire in modo razionale una uniformità di giudizio nei diversi contesti territoriali.

Si tratta, in altri termini, di un criterio predefinito che prende in considerazione un’astratta situazione in cui le diverse voci di danno derivanti dall’ingiusta detenzione si siano concretizzate in modo medio ed ordinario (cfr., in motivazione, sez. 4 n. 10123 del 17/11/2011, dep. 2012, Amato).

Il riferimento a tale criterio, dunque, non esime il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame (cfr. sez. 4 n. 34857 del 17/06/2011, Giordano, Rv. 251429; sez. 3 n. 3912 del 05/12/2013, dep. 2014, D’Adamo, Rv. 258833).

Il giudice però è tenuto a dar conto, alla luce del materiale probatorio acquisito, delle ragioni per le quali abbia deciso di distaccarsi da tali parametri, fermo restando in ogni caso il tetto normativamente fissato, non potendo il giudizio di equità risolversi nel mero arbitrio, ma dovendo essere sorretto da una giustificazione adeguata e logicamente congrua, così assoggettata alla possibilità del controllo da parte dei destinatari e dei consociati (cfr. sez. 4 n. 21077 dell’01/04/2014, Rv. 259236).

Ciò si pone in linea di continuità con quanto da tempo affermato da questa stessa sezione: la liquidazione dell’indennizzo di che trattasi, fermo restando il parametro aritmetico, quantomeno come dato di partenza della valutazione indennitaria, va comunque disancorata da criteri o parametri rigidi, dovendosi procedere con equità (anche perché la delicatezza della materia e le difficoltà per l’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto, valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà (cfr. sez. 4 n. 30317 del 21/06/2005, Bruzzano, Rv. 232025; in termini sostanzialmente analoghi, sez. 4 n. 34857 del 17&06/2011, Giordano, Rv. 251429).

Ne deriva, come logico corollario, che il giudice, nel liquidare l’indennità di che trattasi, è vincolato esclusivamente dal tetto massimo normativamente stabilito, che non può essere superato, ma non anche dal parametro aritmetico fondato su tale limite, poiché esso offre solo una base di calcolo, che deve essere maggiorata o diminuita con riguardo alle contingenze proprie del caso concreto (cfr. sez. 4 n. 23119 del 13/05/2008, Zaccagni, Rv. 240302), al fine di rendere la decisione più equa possibile e rispondente alla specificità (positiva o negativa) della situazione concreta (cfr. sez. 3 n. 29965 dell’01/04/2014, Chaaij, Rv. 259940).

3.2. Nel caso di specie, la corte territoriale ha esercitato il suo potere discrezionale, ma lo ha giustificato dando specificamente conto degli elementi di valutazione, come sopra richiamati. In base ad essi, ha ritenuto di doversi discostare dal criterio aritmetico, riducendo la somma nella misura indicata.

3.3. Quanto a questo ulteriore profilo, deve ribadirsi che il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità, che può soltanto verificare se il giudice di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e non sindacare la sufficienza o insufficienza dell’indennità liquidata, a meno che, discostandosi sensibilmente dai criteri usualmente seguiti, lo stesso giudice non abbia adottato criteri manifestamente arbitrari o immotivati ovvero abbia liquidato in modo simbolico la somma dovuta (cfr. sez. 4 n. 10690 del 25/02/2010, Cammarano, Rv. 246424; n. 24225 del 04/03/2015, Pappalardi, Rv. 263721). Ciò che nella specie non è riscontrabile nella valutazione censurata.

4. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In Roma 08 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 22 ottobre 2019.

Sentenza Corte di Cassazione del 22 ottobre 2019