Forze armate. Reggimento soppresso: trasferimento obbligatorio, ma va riconosciuta l’indennità.

(Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 24 marzo 2016, n. 1219)

Fatto e diritto

Nel corso del 2011 gli odierni appellati, militari dell’Esercito, sono stati trasferiti “a domanda” da Ravenna a Bologna a seguito della soppressione del 1° Gruppo del 5° Reggimento di artiglieria “Pescara”, presso il quale prestavano servizio.

Ritenendo di essere stati, in realtà, trasferiti d’autorità, hanno chiesto la corresponsione della relativa indennità e hanno poi impugnato il diniego dell’Amministrazione militare, proponendo un ricorso che il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sez. I, ha accolto con sentenza 16 novembre 2015, n. 1010, sul rilievo che il trasferimento avrebbe avuto natura autoritativa per essere stato disposto per necessità organizzative e operative dell’Amministrazione stessa.

Il Ministero della difesa ha interposto appello contro la sentenza, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.

Gli appellati si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello.

Alla camera di consiglio del 10 marzo 2016 la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei requisiti di legge e avendone preventivamente informato le parti comparse, il Collegio ritiene di poter definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata, a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

In via preliminare, va rilevato che la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono considerarsi assodati i fatti oggetto di giudizio.

Come osservano i militari appellati, il punto di diritto, oggetto della presente controversia, ha dato luogo a un contrasto di giurisprudenza nell’ambito stesso di questo Consiglio, che ha condotto a sottoporre la questione all’Adunanza plenaria.

Con sentenza 29 gennaio 2016, n. 1, questa ha enunziato il principio di diritto che segue.

“Prima dell’entrata in vigore (al 1° gennaio 2013) dell’art. 1, comma 163, l. 24 dicembre 2012, n. 228 – che ha introdotto il comma 1-bis nell’art. 1, l. 29 marzo 2001, n. 86 – spetta al personale militare l’indennità di trasferimento prevista dal comma 1 del medesimo articolo, a seguito del mutamento della sede di servizio dovuto a soppressione (o diversa dislocazione) del reparto di appartenenza (o relative articolazioni), anche in presenza di clausole di gradimento (o istanze di scelta) della nuova sede, purché ricorrano gli ulteriori presupposti individuati dalla norma, ovvero una distanza fra la nuova e l’originaria sede di servizio superiore ai 10 chilometri e l’ubicazione in comuni differenti”.

Alla stregua del principio fissato dall’Adunanza Plenaria, che ha composto il richiamato contrasto giurisprudenziale, e non essendo controversa né la soppressione del reparto di precedente assegnazione né l’ubicazione della sede di destinazione in un comune distante oltre il limite spaziale dei dieci chilometri, l’appello deve essere quindi rigettato, con conferma della sentenza impugnata.

In relazione all’esistenza dei due opposti orientamenti ermeneutici e alla loro ricomposizione soltanto a seguito della pronuncia dell’Adunanza Plenaria, successiva alla proposizione dell’appello, le spese relative al presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa fra le parti le spese processuali del presente grado.