REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –
Dott. APRILE Stefano – Rel. Consigliere –
Dott. CASA Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
VIZZINI ROSARIO nato a GELA il 23/02/1960;
avverso l’ordinanza del 04/02/2020 del TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Stefano APRILE;
lette le conclusioni del PG, Marilia DI NARDO e Marco DALL’OLIO Alfredo Pompeo VIOLA, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di sorveglianza di Roma, ha revocato la misura della detenzione domiciliare concessa al collaboratore di giustizia Rosario VIZZINI per l’espiazione della pena di anni 28 di reclusione in relazione ai delitti di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 74 TU Stup., in ragione della violazione degli obblighi assunti nell’ambito delle speciali misure di protezione, essendosi il medesimo rifiutato di raggiungere una diversa destinazione individuata dal Servizio Centrale di Protezione per ragioni di sicurezza derivanti dal casuale incontro con un altro collaboratore di giustizia.
2. Ricorre Rosario VIZZINI, a mezzo del difensore avv. Manfredo Fiormonti, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge, in riferimento agli articoli 16-noníes, comma 7, ultima parte, 13-quater, 16-septies, 12 lett. a, decreto-legge n. 8 del 1991, e il vizio della motivazione.
2.1. La principale censura in diritto riguarda la erronea equiparazione, ai fini della disposta revoca della detenzione domiciliare, della violazione delle regole comportamentali concernenti la misura di protezione alla violazione delle prescrizioni imposte con il provvedimento che ha concesso la misura alternativa.
Sarebbe, infatti, erronea l’interpretazione seguita dal giudice di merito che ha ritenuto rilevante, ai fini disporre la revoca, la violazione degli obblighi assunti con il codice di comportamento della misura di protezione speciale, mentre la revoca della misura alternativa può derivare unicamente dalla violazione delle prescrizioni imposte con la medesima.
2.2. Il provvedimento è censurato anche sotto l’angolo visuale del vizio motivazionale poiché il rifiuto, peraltro giustificato da ragioni familiari e lavorative, di trasferirsi immediatamente in una diversa località, individuata dal Servizio Centrale di Protezione a seguito dell’occasionale incontro – per altro comunicato dallo stesso ricorrente al Servizio – con un altro collaboratore di giustizia non può essere acriticamente considerato, anche qualora si ritenga che detto comportamento possa costituisca una infrazione di una prescrizione specifica della misura alternativa, una grave violazione delle prescrizioni relative alla ridetta misura, essendo piuttosto necessaria, ma assolutamente mancante nel provvedimento impugnato, una specifica valutazione della rilevanza del comportamento assunto.
Sarebbero, perciò, apodittiche le considerazioni sviluppate nel provvedimento impugnato in ordine alla rilevanza di tale condotta ai fini di dimostrare il totale allontanamento dal percorso di risocializzazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni che saranno esposte.
1.1. Il ricorrente è stato ammesso, con ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Roma del 26 settembre 2017, al beneficio della detenzione domiciliare ai sensi dell’articolo 47-ter ord. pen., 16-nonies decreto-legge n. 8 del 1991, in quanto collaboratore di giustizia sottoposto a speciale programma di protezione.
La misura, eseguita regolarmente per oltre due anni, non ha mai dato luogo a segnalazioni di sorta. Con ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Roma del 18 dicembre 2019 la misura è stata provvisoriamente sospesa a seguito della comunicazione da parte del Servizio Centrale di Protezione che VIZZINI, il quale aveva riferito di avere casualmente incontrato un altro collaboratore di giustizia, si era rifiutato di recarsi in una nuova località individuata dal medesimo servizio, adducendo motivi familiari e lavorativi.
Con il provvedimento impugnato il Tribunale di sorveglianza ha definitivamente revocato la misura della detenzione domiciliare ritenendo il comportamento assunto, di rifiuto di raggiungere il nuovo domicilio individuato dal Servizio Centrale di Protezione, indicativo non solo della violazione di una prescrizione della misura alternativa, ma anche espressivo della grave e totale indifferenza del ricorrente al profilo di sicurezza proprio e dei suoi familiari nonché delle altre persone che, frequentando la sua famiglia, sono esposte a eventuali azioni violente di terzi i quali, a causa dell’occasionale incontro, possono avere individuato il luogo di residenza del collaboratore di giustizia.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. È bene ricordare che «Nei confronti delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, che abbiano prestato, anche dopo la condanna, taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali, la liberazione condizionale, la concessione dei permessi premio e l’ammissione alla misura della detenzione domiciliare prevista dall’articolo 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, sono disposte su proposta ovvero sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo» Art. 16-nonies – Benefici penitenziari.
L’art. 13-quater, comma 2, stabilisce che «Costituiscono fatti che comportano la revoca delle speciali misure di protezione l’inosservanza degli impegni assunti a norma dell’articolo 12, comma 2, lettere b ed e, nonché […].
Costituiscono fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione l’inosservanza degli altri impegni assunti a norma dell’articolo 12, la commissione di reati indicativi del mutamento o della cessazione del pericolo conseguente alla collaborazione, la rinuncia espressa alle misure, il rifiuto di accettare l’offerta di adeguate opportunità di lavoro o di impresa, il ritorno non autorizzato nei luoghi dai quali si è stati trasferiti, nonché ogni azione che comporti la rivelazione o la divulgazione dell’identità assunta, del luogo di residenza e delle altre misure applicate.
Nella valutazione ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione, specie quando non applicate mediante la definizione di uno speciale programma, si tiene particolare conto del tempo trascorso dall’inizio della collaborazione oltre che della fase e del grado in cui si trovano i procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese e delle situazioni di pericolo di cui al comma 6 dell’articolo 9».
È importante ricordare che, a norma dell’art. 12, comma 2, lett. a, «Le speciali misure di protezione sono sottoscritte dagli interessati, i quali si impegnano personalmente a: a osservare le norme di sicurezza prescritte e collaborare attivamente all’esecuzione delle misure […]», sicché la violazione dell’obbligo di osservare le suddette norme di sicurezza può costituire causa di revoca della misura di protezione.
D’altra parte, a mente dell’art. 16-nonies, comma 7, terzo periodo, DL n. 8 del 1991, ai fini della modifica, della revoca o della sospensione cautelativa dei provvedimenti concernenti i benefici penitenziari, «assumono specifico rilievo quelle condotte tenute dal soggetto interessato che, a norma degli articoli 13- quater e 16-septies, possono comportare la modifica o la revoca delle speciali misure di protezione […]», sicché la condotta che può legittimare la revoca della misura di protezione, può a sua volta costituire causa di revoca del beneficio penitenziario e, quindi, della misura alternativa.
2.2. Può, quindi, concludersi che la detenzione domiciliare, cui può essere ammesso il collaboratore di giustizia in deroga alle disposizioni ordinarie, a norma dell’art. 16-nonies, inserito dall’art. 14 legge 13 febbraio 2001, n. 45, nel d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991 n. 82, può essere revocata, oltre che nel caso, previsto in via generale dall’art. 47-ter, comma 6, ord. pen., in cui il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della misura, anche nei casi specifici previsti dallo stesso art. 16- nonies, comma 7, ultimo periodo, che richiama gli articoli 13-quater e 16-septies del medesimo d.l. n. 8 del 1991, ossia per inosservanza degli impegni assunti con la sottoscrizione delle speciali misure di protezione o per richiesta di revisione delle sentenze che abbiano applicato circostanze attenuanti in materia di collaborazione a soggetti rivelatisi immeritevoli di esse per dichiarazioni false o reticenti o per la successiva commissione di delitto per cui sia obbligatorio l’arresto in flagranza.
In proposito va precisato che, come il presupposto delle condotte di collaborazione, ai fini dell’ammissione ai benefici penitenziari delle persone condannate per un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale o per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., deve formare oggetto di accertamento ad opera del Tribunale di sorveglianza richiesto dell’applicazione dei benefici, senza che a tal fine assuma rilievo l’eventuale provvedimento amministrativo di ammissione dell’interessato alle speciali misure di protezione, e ciò per l’autonomia voluta dal legislatore, pur nel previsto dialogo istituzionale, tra le valutazioni e deliberazioni riservate, rispettivamente, alle autorità giudiziarie e amministrative in tema di protezione di coloro che collaborano con la giustizia secondo le disposizioni di cui al capo II del d.l. n. 8 del 1991, cit., e le decisioni del Tribunale di sorveglianza in tema di benefici penitenziari [Sez. 1, n. 25044 del 13/01/2012, Casella, Rv. 253334]; analogamente e specularmente non sussiste un onere consultivo preventivo delle autorità competenti alla proposta, applicazione e controllo delle misure speciali di protezione, da parte del Tribunale di sorveglianza che sia investito della valutazione del comportamento del collaboratore di giustizia in detenzione domiciliare, potenzialmente incompatibile con la prosecuzione della misura.
2.3. Resta perciò chiarito che la detenzione domiciliare, cui è stato ammesso il collaboratore di giustizia in deroga alle disposizioni ordinarie, a norma dell’art. 16-nonies, inserito dall’art. 14 legge 13 febbraio 2001, n. 45, nel D.L. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991 n. 82, può essere revocata nei casi specifici previsti dallo stesso art. 16-nonies, comma 7, ultimo periodo, che richiama gli articoli 13-quater e 16-septies del medesimo d.l. n. 8 del 1991, ossia per inosservanza degli impegni assunti con la sottoscrizione delle speciali misure di protezione, sempre che il Tribunale di sorveglianza, in piena autonomia rispetto alle determinazioni eventualmente dai competenti organi in merito alla misura di protezione adottata, compia una ponderata valutazione della gravità della condotta, soprattutto con riguardo al percorso intrapreso [Sez. 1, n. 3763 del 21/10/2015 dep. 2016, Galasso, Rv. 266001].
2.4. Alla luce di tali conclusioni deve concludersi che non sussiste la violazione di legge denunciata al primo motivo, perché il Tribunale di sorveglianza deve valutare, al fine di disporre la revoca del beneficio penitenziario – nella specie della misura alternativa – applicato al collaboratore di giustizia, le condotte che la legge ritiene rilevanti ai fini della revoca o modifica della speciale misura di protezione.
3. Sussiste, invece, il denunciato vizio motivazionale dell’ordinanza impugnata.
La valutazione del Tribunale circa il comportamento di VIZZINI, pur legittima nella sua autonomia rispetto allo sviluppo e agli esiti del procedimento amministrativo eventualmente attivato in ordine alla speciale misura di protezione, non si sottrae, quindi, a censura nella misura in cui muove da un dato storico rispondente a realtà, ma lo valorizza in modo del tutto de- contestualizzato senza, cioè, inquadrarlo nel suo concreto divenire caratterizzato dall’occasionalità dell’incontro, del resto prontamente riferito dallo stesso collaboratore – a dimostrazione della piena aderenza alle prescrizioni imposte – e dalla rappresentazione delle gravissimi difficoltà umane, famigliari e lavorative che derivavano dall’ordine di trasferimento impartitogli dal Servizio Centrale di Protezione.
La valutazione compiuta dal Tribunale si palesa, d’altra parte, astratta e apodittica, nel suo contesto motivazionale, là dove annette, alla condotta di rifiuto opposta dal collaboratore al disposto trasferimento, un significato di assoluta inaffidabilità e indifferenza, omettendo però di considerare il percorso di assoluto rispetto delle prescrizioni fino a quel momento – e per un non breve periodo – tenuto dal collaboratore, sicché il ragionamento appare contraddittorio al punto tale da risultare apodittico.
3.1. Come osservato dal giudice delle leggi, i principi di colpevolezza, proporzionalità e individualizzazione della pena operano tanto nella determinazione quanto nell’esecuzione della pena che deve tendere alla rieducazione del reo, a norma dell’art. 27, comma terzo, Cost. [sentenze Corte cost. n. 306 del 1993, n. 299/1992; n. 203/1991; n. 282/1989; n. 343/1987; n. 50/1980].
Ne discende che la revoca di un beneficio penitenziario postula una valutazione della condotta, in ipotesi contraria alla legge o alle prescrizioni dettate, che non può limitarsi al singolo episodio contestato, specie se storicamente isolato, eccettuato il caso in cui esso presenti un’intrinseca gravità talmente elevata da rendere superfluo il giudizio comparativo tra l’entità della deviazione accertata e il percorso rieducativo fino ad essa compiuto.
Nel caso di specie, per ammissione dello stesso Tribunale, il collaboratore di giustizia, oltre ad avere reso un contributo particolarmente qualificato all’accertamento di gravissimi delitti, quale membro di potente organizzazione criminale, perciò ammesso a programma speciale di protezione, aveva presentato, con riguardo al rifiuto opposto al trasferimento, una specifica giustificazione che, seppure eventualmente irrilevante dal punto di vista giuridico, non poteva essere negletta nell’ottica di valutazione complessiva della gravità della condotta.
Tale situazione, caratterizzata dall’episodicità della violazione e dalla soggettività della giustificazione offerta, avrebbe reso necessaria una particolare prudenza nella valutazione del rilievo da attribuire all’episodio di interesse e, comunque, avrebbe imposto un apprezzamento di esso non avulso dal percorso compiuto dal collaboratore nel corso del periodo di detenzione domiciliare, sulla base delle relazioni delle autorità preposte alla vigilanza.
Di tale valutazione unitaria e comparativa non vi è traccia nell’ordinanza impugnata che ha circoscritto la sua analisi al singolo episodio, senza considerare il complessivo andamento della misura e il grado di rieducazione già raggiunto dall’interessato, sbrigativamente annullato sulla base della sola violazione suddetta.
3.2. L’ordinanza impugnata va perciò annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Roma il quale, ferma l’assoluta autonomia di giudizio, procederà a nuova valutazione, attenendosi ai principi di diritto dianzi evocati e colmando i vizi motivazionali denunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Sorveglianza di Roma.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2020.