Il commercialista non è punibile per il reato più grave di violazione della procedura di emersione dei lavoratori extracomunitari occupati irregolarmente se si è limitato a fornire documentazione fiscale falsa, predisposta ad altri fini, che è stata poi utilizzata dal consulente del lavoro per presentare l’istanza.

(Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 20 marzo 2017, n. 13203)

…, omissis …

Sentenza

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato in (OMISSIS) il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la sentenza in data 20/05/2015 della Corte di appello di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. RENOLDI Carlo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso presentato da (OMISSIS) e il rigetto del ricorso proposto da (OMISSIS);

udito, per (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento;

udito, per (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento.

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza n. 4822/2013 in data 7/11/2013 del Tribunale di Genova, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati alla pena, il primo, di sei mesi di reclusione (condizionalmente sospesa) e, gli altri due, a quella di dieci mesi di reclusione ciascuno, essendo stati riconosciuti colpevoli dei delitti, contestati al capo c) dell’imputazione, di cui agli articoli 110, 483 c.p., Decreto Legge 1 luglio 2009, n. 78, articolo 1-ter, comma 15, Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, articolo 76, accertati in (OMISSIS) il (OMISSIS).

All’esito del giudizio di primo grado, i tre erano stati ritenuti responsabili di avere, in concorso tra loro, nell’ambito della procedura di emersione di lavoratori extracomunitari irregolarmente occupati nel territorio dello Stato, effettuato una serie di operazioni volte ad attestare la sussistenza dei presupposti per la regolarizzazione del cittadino indiano (OMISSIS).

In particolare, secondo il primo giudice, (OMISSIS) aveva presentato alla consulente del lavoro (OMISSIS), in vista dell’invio in forma telematica allo Sportello unico per l’immigrazione, una domanda di regolarizzazione relativa allo stesso (OMISSIS) (che (OMISSIS) intendeva assumere in qualita’ di cuoco presso il ristorante “(OMISSIS)” da lui gestito), nella quale si attestava falsamente che (OMISSIS) lo aveva occupato alle proprie dipendenze, adibendolo ad attivita’ di lavoro domestico, almeno a partire dal (OMISSIS), continuando ad occuparlo alla data di presentazione della domanda.

Inoltre, al fine di far apparire soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 1-ter, comma 4, lettera d) del Decreto Legge citato, il quale richiedeva che il datore di lavoro avesse un reddito non inferiore a 20.000 Euro annui, (OMISSIS), commercialista di fiducia sia di (OMISSIS) che della (OMISSIS) s.r.l., aveva predisposto una dichiarazione Modello Unico (OMISSIS) attestante falsamente il conseguimento, da parte di (OMISSIS), nel corso del (OMISSIS), di un reddito pari a 22.120 Euro, nella qualita’, rivelatasi fittizia, di vice procuratore della medesima societa’.

Falsa attestazione della quale, secondo il primo giudice, (OMISSIS) era consapevole, essendo egli aduso frequentare la (OMISSIS) S.r.l. e, dunque, sapendo che l’azienda stava attraversando un periodo di crisi economica e che i redditi percepiti da (OMISSIS) nel 2008 erano molto piu’ modesti della somma dichiarata nel Modello Unico (OMISSIS).

A riprova di cio’ il Tribunale osservo’ che il teste (OMISSIS), uno degli amministratori di fatto della predetta societa’, aveva descritto le disagiate condizioni economiche in cui essa versava e aveva espresso dubbi circa l’effettivo conseguimento, da parte di (OMISSIS), degli importi formalmente indicati in busta paga.

La procedura era stata, poi, archiviata in data 5/07/2010, in quanto (OMISSIS), nel frattempo tratto in arresto in esecuzione di una misura cautelare, non aveva potuto rispondere alla convocazione della Prefettura ai fini della stipula del contratto di soggiorno.

Quanto al trattamento sanzionatorio, (OMISSIS) era stato ritenuto non meritevole delle circostanze generiche e, a cagione di pregresse condanne, a carico del medesimo era stata ritenuta sussistente la recidiva reiterata, con l’applicazione della pena di mesi dieci di reclusione.

Con la stessa sentenza, (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati, altresi’, assolti, perche’ il fatto non sussiste, dal reato previsto articoli 110, 483 c.p., Decreto Legge 1 luglio 2009, n. 78, articolo 1-ter, comma 15, Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, articolo 76, contestato ai capo a) dell’imputazione. Lo stesso (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati anch’essi assolti, perche’ il fatto non sussiste, in relazione ad analoga contestazione, descritta al capo b) dell’imputazione.

Infine, il solo (OMISSIS) era stato assolto, perche’ il fatto non sussiste, dal reato previsto dal Decreto Legge 1 luglio 2009, n. 78, articolo 1-ter, comma 15, Decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, articolo 76, articolo 483 c.p., contestato al capo d).

2. Avverso la predetta sentenza proposero appello i tre imputati chiedendo, in via principale, l’assoluzione e, in via subordinata, il contenimento della pena e, il solo (OMISSIS), i benefici di legge.

A sostegno dell’atto di gravame (OMISSIS) nego’ di avere mai assunto il lavoratore straniero, cosi’ come di avere mai percepito i redditi dichiarati nel (OMISSIS), definendosi prestanome di (OMISSIS), vero titolare della societa’ (OMISSIS). Affermo’, inoltre, di avere consegnato alla societa’, ovvero a (OMISSIS), i suoi documenti d’identita’ e di avere firmato “qualsiasi cosa gli avessero sottoposto”.

(OMISSIS), invece, riferi’ di avere portato dalla propria consulente del lavoro la domanda di regolarizzazione di (OMISSIS), straniero che conosceva in quanto viveva nella sua casa, affermando che i documenti necessari gli erano stati dati da (OMISSIS).

(OMISSIS), dopo aver dichiarato di essere sia commercialista di (OMISSIS) che della (OMISSIS), affermo’ di avere compilato le dichiarazioni dei redditi di (OMISSIS) sulla base dei dati fornitigli dalla societa’, negando di sapere che quest’ultimo fosse solo un prestanome, considerato che egli era in realta’ un mero professionista esterno, dotato di una conoscenza solo documentale delle vicende della societa’ e non avendo alcun obbligo di operare verifiche circa la veridicita’ della documentazione contabile aziendale.

Del resto, l’azienda avrebbe potuto avere interesse a emettere un CUD falso nei confronti di (OMISSIS) ad esempio per fornire una credibilita’ bancaria allo stesso (OMISSIS) e, di riflesso, alla societa’. Inoltre, (OMISSIS) non avrebbe avuto alcun motivo di commettere il reato ascrittogli.

In subordine, l’imputato insistette per la concessione delle attenuanti generiche, per essere stata la sua condotta occasionale, non connotata da particolare gravita’ e/o pericolosita’ e, in ogni caso, per il buon comportamento processuale serbato nel corso del giudizio.

Per le stesse ragioni, e per la modesta partecipazione al fatto, (OMISSIS) insistette per la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato penale.

3. Con sentenza n. 1623/2015 in data 20/05/2015 la Corte d’appello di Genova confermo’ la sentenza nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), assolvendo invece (OMISSIS) per non avere commesso il fatto.

Con riferimento a quest’ultimo, la Corte osservo’ che mentre (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati coinvolti in una serie di operazioni di regolarizzazione di cittadini stranieri, episodi per i quali era stata esclusa dal primo giudice la natura criminale, (OMISSIS), coinvolto solo per la regolarizzazione di (OMISSIS), a differenza degli altri due coimputati, non aveva nessuna conoscenza della materia, era una persona disagiata, che viveva di espedienti, tra i quali quello di procuratore fittizio della societa’ (OMISSIS), in realta’ amministrata dal gia’ citato (OMISSIS).

I giudici di merito, dopo avere rilevato che (OMISSIS), in realta’, non aveva sottoscritto la domanda di emersione, trattandosi di domanda trasmessa per via telematica su un modulo informatico, sul quale non era prevista alcuna firma, osservarono che i documenti alla stessa allegati (documento d’identita’ e dichiarazione fiscale del datore di lavoro) non erano soltanto nella disponibilita’ di (OMISSIS), ma anche della (OMISSIS) e, dunque, di (OMISSIS), il quale era il commercialista della societa’ e aveva anche elaborato la dichiarazione fiscale di (OMISSIS), ideologicamente falsa.

Su tale presupposto, i giudici di appello ritennero che (OMISSIS), amico del lavoratore straniero, e (OMISSIS), che aveva regolarizzato diversi stranieri insieme al primo, avessero utilizzato i documenti di (OMISSIS) per compilare la domanda a sua insaputa, confidando nella possibilita’ di coinvolgerlo successivamente per definire la pratica, approfittando delle sue condizioni di persona che vive di espedienti. Su tali presupposti, il solo (OMISSIS) fu assolto per non avere commesso il fatto, mentre la condanna a carico degli altri due imputati fu confermata, anche relativamente al trattamento sanzionatorio.

4. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, (OMISSIS) e (OMISSIS).

4.1. (OMISSIS) deduce due distinti motivi di censura e segnatamente: la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) per mancanza, contraddittorieta’ e/o manifesta illogicita’ della motivazione nonche’ la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) per erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 110 c.p..

Con il primo motivo, il ricorrente si duole che i giudici di merito abbiano erroneamente ritenuto che egli fosse a conoscenza del fatto che (OMISSIS) non avesse avuto alcun rapporto con (OMISSIS), tenuto conto che aveva ospitato in casa propria il lavoratore straniero e che si apprestava ad assumerlo.

In realta’, egli non avrebbe avuto alcun rapporto di amicizia con il lavoratore e si sarebbe limitato ad ospitarlo, analogamente a quanto aveva fatto in precedenza con altri connazionali, non avendo uno specifico interesse ad assumere proprio (OMISSIS), dal momento che avrebbe potuto impiegare, presso i suoi ristoranti, molti altri lavoratori.

Ne’ egli avrebbe potuto sapere della falsita’ dei documenti da lui consegnati alla propria consulente del lavoro, considerato che non conosceva (OMISSIS) e che non aveva mai avuto rapporti con la (OMISSIS) S.r.l..

Sotto altro profilo, il ricorrente censura come illogica la parte della motivazione che ha ritenuto inattendibile il teste (OMISSIS) con riferimento alla esclusione, da parte di quest’ultimo, di ogni responsabilita’ dello stesso (OMISSIS); e che, nondimeno, ha posto tale testimonianza a fondamento della affermazione della falsita’ del Modello Unico (OMISSIS) di (OMISSIS) e della impossibilita’, per quest’ultimo, di assumere un dipendente.

Quanto al secondo motivo, i giudici di merito avrebbero violato le norme in materia di concorso di persone nel reato non avendo dimostrato che (OMISSIS) fosse effettivamente a conoscenza della falsita’ della documentazione predisposta da (OMISSIS) e consegnata, dallo stesso imprenditore pakistano, alla propria consulente del lavoro.

4.2. Quanto al ricorso di (OMISSIS), affidato a sei motivi di censura, viene innanzitutto dedotta, con il primo motivo, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 139 del 2005, articolo 1, comma 4, Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 3, commi 3 e 3-bis e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 1.

Con riferimento all’elemento oggettivo del reato contestato, la Corte territoriale non avrebbe valutato la censura contenuta nell’atto di appello secondo cui (OMISSIS), nell’elaborazione dei dati raccolti, non avrebbe avuto l’obbligo di effettuare alcuna verifica circa la veridicita’ della documentazione o delle attestazioni in essa contenute, effettuando un controllo incrociato con il consulente del lavoro, unico professionista che potrebbe conoscere l’effettivo pagamento dei dipendenti e soci dell’azienda.

Premesso l’obbligo, per (OMISSIS), di presentare la dichiarazione dei redditi (OMISSIS) nella propria qualita’ di soggetto titolare di una busta paga, tenuto, a mente del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 1, a dichiarare all’Erario il dato contabile formale, relativo al reddito che risultava erogato in suo favore – dichiarazione personale del contribuente e non del commercialista – (OMISSIS) sarebbe stato obbligato, unicamente, a procedere alla trasmissione telematica del Modello unico in qualita’ di incaricato della trasmissione dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 3, ex comma 3-bis, senza alcuna valutazione di merito in relazione alle documentazioni attestanti il conseguimento da parte di (OMISSIS) di determinati redditi come vice procuratore della (OMISSIS). Cio’ in virtu’ del Decreto Legislativo 28 giugno 2005, n. 139, articolo 1, comma 4, lettera b) che detta il regime della professione di commercialista.

Dunque, in definitiva, il responsabile della correttezza dei dati elaborati dal commercialista sarebbe solo il contribuente. Per tale motivo, quand’anche (OMISSIS) fosse stato consapevole che le risultanze documentali relative ai redditi di (OMISSIS) erano inattendibili, nondimeno dal momento che i dati forniti risultavano dalle documentazioni aziendali e dalla contabilita’, essi dovevano essere elaborati per ricavare il testo della dichiarazione dei redditi da inoltrare telematicamente all’Agenzia delle Entrate.

Con il secondo motivo si censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza di motivazione in relazione alle doglianze difensive sviluppate in appello circa la mancanza di doveri e/o poteri di controllo del commercialista sui dati risultanti dalle documentazioni presentate dal cliente.

Dal momento che la motivazione sulla doglianza difensiva prospettata dalla difesa in appello e’ del tutto mancante, il ricorrente deduce anche il vizio di difetto di motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), della mancanza e/o illogicita’ della motivazione della sentenza nella parte relativa all’analisi dell’elemento soggettivo del reato.

La sentenza, pur dando contezza delle ragioni per cui (OMISSIS) sapeva che la dichiarazione di (OMISSIS) presentasse delle irregolarita’, non fornirebbe risposta in ordine al fatto che egli fosse consapevole dell’utilizzo di tale dichiarazione, considerato che, secondo l’imputazione, l’elaborazione del Modello Unico ideologicamente falso avrebbe costituito il passaggio di un piu’ articolato programma criminoso, che contemplava l’utilizzo della certificazione fiscale al fine di sanare la posizione di un cittadino extraunionista non in regola.

Nondimeno, la circostanza che (OMISSIS) sapesse della pratica di regolarizzazione, avviata fittiziamente a nome di (OMISSIS), sarebbe stato del tutto indimostrato, anche tenuto conto del fatto che tale pratica era seguita da altro professionista, ovvero dalla consulente del lavoro dott.ssa (OMISSIS).

Sotto un ulteriore profilo, la sentenza sarebbe illogica laddove la Corte avrebbe affermato che (OMISSIS), per il ruolo ricoperto quale “testa di legno” della societa’, non avrebbe dovuto percepire quanto conferitogli in busta paga, laddove, invece, quantomeno secondo la comune esperienza, tale ruolo verrebbe assunto proprio in vista di un tornaconto economico, sicche’ la busta paga di (OMISSIS) avrebbe potuto riprodurre il prezzo effettivo della sua attivita’ di prestanome.

Peraltro, le condizioni di difficolta’ economica della societa’ (OMISSIS) sarebbero state affermate alla stregua di quanto riferito dal teste (OMISSIS), del quale il Secondo Giudice avrebbe contraddittoriamente affermato la “costituzionale inattendibilita’”. Illogica ed immotivata sarebbe, inoltre, la parte della sentenza in cui la Corte ha affermato che “l’unico che potesse consegnare ad (OMISSIS) i documenti di (OMISSIS) era proprio (OMISSIS), che ne aveva la disponibilita’ grazie al suo lavoro per la (OMISSIS)”; cio’ sul presupposto che (OMISSIS) fosse stato il professionista di fiducia sia di (OMISSIS) che della (OMISSIS).

Un ragionamento, questo, non supportato da alcuna massima di esperienza, sicche’ l’eventuale ruolo giocato da (OMISSIS) avrebbe dovuto essere fatto oggetto di una puntuale motivazione e non essere affermato apoditticamente, tanto piu’ che il giudice di primo grado aveva individuato, quale trait d’union tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la persona di (OMISSIS), sicche’ il punto, cosi’ profondamente rivisitato, avrebbe dovuto essere sorretto da una puntuale e specifica analisi in motivazione.

Con il quarto motivo viene dedotta, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 110 c.p.. La Corte avrebbe affermato la partecipazione concorsuale di (OMISSIS) al programma criminoso di (OMISSIS), senza accertare che egli fosse effettivamente consapevole della esistenza della pratica di regolarizzazione in corso del cittadino extracomunitario (OMISSIS); e cio’ in violazione delle disposizioni in materia di concorso di persone nel reato come costantemente interpretate dalla giurisprudenza di legittimita’, non essendo sufficiente affermare la sua consapevolezza circa la falsita’ ideologica della dichiarazione fiscale, senza vagliare se egli fosse, altresi’, consapevole delle modalita’ con cui la propria condotta “si sarebbe venuta ad intersecare con quella dell’altro agente”.

Secondo la difesa, solo ipotizzando che il commercialista fosse stato consapevole del futuro utilizzo del Modello unico, si sarebbe potuto eventualmente configurare un concorso di persone nel reato.

Con il quinto motivo, il ricorrente si duole, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), della violazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 99 c.p.. La recidiva sarebbe stata ritenuta e applicata sulla sola base di un mero calcolo matematico, senza valutare se la stessa fosse espressiva di una maggiore gravita’ del fatto e rimproverabilita’ del colpevole, in violazione dell’articolo 99 c.p. come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 192/2007.

Con il sesto motivo si deduce, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), la mancanza di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio.

Oltre alla gia’ menzionata censura relativa alle modalita’ di applicazione della recidiva, il ricorrente lamenta il difetto motivazionale in merito al mancato riconoscimento della sospensione condizionale della pena e del beneficio di cui all’articolo 175 c.p., che sarebbe stato giustificato, in maniera lacunosa, con la presenza di pregresse esperienze giudiziarie oltre che, erroneamente, con la circostanza che l’imputato avesse mentito in sede di dibattimento, atteso che si tratterebbe in ogni caso del legittimo esercizio di un diritto.

Considerato in diritto

1. Il ricorso presentato da (OMISSIS) e’ infondato.

2. Giova premettere che al giudice di legittimita’ non e’ consentito ipotizzare alternative opzioni ricostruttive della vicenda fattuale, sovrapponendo la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, saggiando la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; in termini v. Sez. 2, n. 20806 del 5/05/2011, Tosto, Rv. 250362).

Ne consegue che, quando i giudici di merito abbiano motivato, alla stregua di un percorso argomentativo scevro da profili di illogicita’, le ragioni di fatto poste a fondamento della propria decisione, al giudice di legittimita’ non e’ consentito censurarne, sul piano della ricostruzione dei fatti, le scelte compiute accedendo ad ipotesi alternative, ove anche dotate di un maggiore grado di persuasivita’.

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno offerto una spiegazione perfettamente logica e plausibile della ragione per la quale hanno ritenuto che (OMISSIS) fosse a conoscenza della falsita’ della documentazione che egli aveva fornito alla propria consulente del lavoro affinche’ costei provvedesse alla presentazione dell’istanza di regolarizzazione.

Con motivazione del tutto logica, infatti, la sentenza ha chiarito come fosse totalmente inverosimile, anzi “impossibile”, che (OMISSIS) non sapesse che (OMISSIS), il quale in quel momento era ospitato in casa sua e con il quale doveva quindi esservi un rapporto di conoscenza personale, non avesse mai lavorato alle dipendenze di (OMISSIS), apparendo “impensabile” che egli non avesse parlato della vicenda con il lavoratore, limitandosi ad acquisire la documentazione contenente le false indicazioni sul precedente rapporto, da parte di soggetti che, senza uno specifico mandato dello stesso (OMISSIS), vero soggetto interessato alla regolarizzazione del lavoratore, non avrebbero avuto alcun motivo per predisporla.

Sulla base del logico percorso giustificativo appena riassunto, i giudici di merito hanno quindi esplicitato, in maniera del tutto adeguata, gli argomenti in base ai quali doveva ritenersi che (OMISSIS) avesse inteso regolarizzare (OMISSIS) avvalendosi di una falsa documentazione, del cui confezionamento erano stati, all’uopo, incaricati terzi soggetti, con cio’ fornendo una spiegazione assolutamente plausibile dell’attribuzione allo stesso ricorrente, secondo lo schema della responsabilita’ concorsuale, dei fatti a lui ascritti.

Pertanto, il ricorso presentato da (OMISSIS) deve essere rigettato.

3. Il ricorso presentano (OMISSIS) e’, invece, fondato.

Osserva preliminarmente il Collegio che i primi due motivi di ricorso pongono questioni logicamente susseguenti rispetto al tema del fondamento concorsuale della responsabilita’ dell’odierno ricorrente.

E’, infatti, evidente che il tema dell’obbligo, per un commercialista, di verificare la veridicita’ del contenuto di una determinata dichiarazione presentata dal proprio assistito e’ destinato a perdere qualunque rilevanza ove si ritenesse che egli fosse partecipe dell’operazione complessiva, volta a realizzare, attraverso la predisposizione di documenti falsi da parte dello stesso commercialista, la illegittima regolarizzazione di lavoratori extraunionisti.

Ne consegue, che appare ineludibile affrontare preliminarmente le questioni poste con il terzo e il quarto motivo di ricorso, con cui (OMISSIS) ha eccepito la mancata dimostrazione da un lato della consapevolezza della falsita’ ideologica di quanto attestato dal Modello unico; e, dall’altro lato, della consapevolezza della futura utilizzazione della dichiarazione fiscale per la presentazione della domanda di regolarizzazione.

Sul punto, osserva il Collegio che la sentenza ha motivato in maniera apodittica in ordine alle ragioni per le quali (OMISSIS) dovesse essere a conoscenza del fatto che la dichiarazione di (OMISSIS) presentasse delle irregolarita’, non essendo stato specificato a quali “documenti” di quest’ultimo egli avesse accesso e attraverso quali concreti elementi di conoscenza potesse, quindi, sapere della falsita’ della dichiarazione fiscale che andava predisponendo.

Sotto altro profilo, la sentenza non ha indicato sulla base di quali concreti elementi egli avrebbe dovuto essere consapevole del successivo utilizzo del Modello unico, tanto piu’ che la pratica di regolarizzazione era seguita da altro professionista, ovvero dalla consulente del lavoro dott.ssa (OMISSIS).

Ma soprattutto, la sentenza non ha chiarito sulla base di quali concreti elementi di fatto fosse possibile affermare, in maniera logica e conferente, che l’unica persona che potesse consegnare ad (OMISSIS) i documenti di (OMISSIS) fosse proprio (OMISSIS), se non attraverso il riferimento alla circostanza, in se’ logicamente non concludente, per la quale, essendo egli il professionista di fiducia sia di (OMISSIS) che della (OMISSIS), avrebbe sicuramente provveduto lui a farla avere all’imprenditore pakistano.

Tanto e’ vero che il giudice di primo grado aveva individuato, quale trait d’union tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la persona di (OMISSIS), a dimostrazione della controvertibilita’ della ricostruzione del ruolo svolto da (OMISSIS), che avrebbe, quindi, richiesto una maggiore precisione del relativo passaggio motivazionale.

Non e’, infatti, stato adeguatamente chiarito se il contributo concorsuale ascritto a (OMISSIS) sia consistito nella predisposizione della falsa documentazione fiscale al preordinato fine di consentirne l’utilizzazione nell’ambito della pratica di regolarizzazione (ipotesi che avrebbe richiesto la dimostrazione della consapevolezza del successivo avvio dell’iter burocratico della relativa pratica); o se, al contrario, il contributo ascritto all’imputato sia stato quello di consegnare una falsa documentazione fiscale, predisposta ad altri fini, per consentirne, sempre scientemente, l’utilizzazione da parte di (OMISSIS) una volta che questi aveva manifestato a (OMISSIS) la necessita’ di poter fare risultare, in vista della regolarizzazione di (OMISSIS), un suo precedente rapporto di lavoro.

Si rende, dunque, necessario un nuovo esame, da parte della Corte territoriale, al fine di meglio chiarire gli indicati passaggi motivazionali.

3.1. All’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso consegue l’assorbimento dei due successivi motivi di impugnazione, in quanto relativi all’applicazione asseritamente erronea della recidiva e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena e del beneficio della non menzione.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al riconoscimento della responsabilita’ di (OMISSIS), con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Genova, la quale si atterra’ ai motivi prima indicati.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.