REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CERVADORO Mirella – Presidente –
Dott. MANTOVANO Alfredo – Rel. Consigliere –
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –
Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) nato a REGGIO CALABRIA il xx/xx/xxxx;
(OMISSIS) nato a REGGIO CALABRIA il xx/xx/xxxx;
(OMISSIS) nato a REGGIO CALABRIA il xx/xx/xxxx;
avverso il decreto del 13/11/2018 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alfredo MANTOVANO;
lette le conclusioni del PG.
RITENUTO IN FATTO
1. La CORTE di APPELLO di REGGIO CALABRIA -sez. misure di prevenzione-, con decreto in data 13/11/2018 dep. il 23/09/2019, confermava il decreto col quale il TRIBUNALE di REGGIO CALABRIA -sez. misure di prevenzione- in data 13/12/2017 aveva applicato a (OMISSIS) la misura della sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno per la durata di tre anni e sei mesi, e aveva disposto nei confronti dello stesso (OMISSIS) e dei terzi interessati (OMISSIS) e (OMISSIS) – suoi figli – la misura patrimoniale della confisca di beni ritenuti riferibili, in modo diretto o indiretto, al proposto, pur se formalmente intestati ai terzi appena menzionati, in particolare di un appartamento al secondo piano di un fabbricato di quattro piani fuori terra sito in contrada (OMISSIS) nel territorio del Comune di Reggio Calabria.
Propongono ricorso per cassazione, per il tramite dell’unico difensore, comune a tutti e tre, (OMISSIS) contro il decreto nel suo insieme, riferito sia alla misura di prevenzione personale che a quella patrimoniale, (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la parte del decreto riguardante la misura patrimoniale, e incidentalmente anche contro la misura personale per le ricadute che essa ha sulla reale, per i motivi che seguono.
I ricorsi sono identici per il proposto e per i terzi interessati, sì che possono essere trattati congiuntamente.
2. Il primo motivo di ricorso attiene alla misura personale: con esso viene dedotta la violazione di legge con riferimento all’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli art. 4 co. 1 lett. a) e 6 d.lgvo n. 159/2011, poiché la ritenta sussistenza della pericolosità sociale qualificata a carico del proposto si basa esclusivamente sulle dichiarazioni di taluni collaboratori di giustizia, tuttavia prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, e su una recente ordinanza di custodia cautelare in carcere che lo ha colpito.
3. Il secondo motivo si ricollega al primo e, premesso che la violazione di legge che legittima il ricorso al Giudice di legittimità sulle misure di prevenzione nella specie coincide con l’arbitraria retrodatazione della pericolosità sociale al periodo di completamento dell’immobile confiscato, ricorda che (OMISSIS) aveva trasferito la propria residenza in tale appartamento nel 1997, all’atto della formazione della propria famiglia, e che il bene, in realtà intestato al padre, era stato da costui donato nel 2002 ai nipoti, quindi ai figli del proposto, terzi nel procedimento in esame.
Il ricorrente contesta la corrispondenza fra il periodo di pericolosità accertata alla stregua della ordinanza custodiale prima menzionata e il momento di acquisizione dell’immobile: l’imputazione posta a base dell’ordinanza riguarda infatti la violazione dell’art. 416 bis cod. pen. a partire dall’anno 2014, cui si affianca la contestazione di intestazione fittizia commessa in data 1°/09/2006, ma la retrodatazione della pericolosità di GIOE’ agli anni 1990 deriva dalla generica dichiarazione del collaboratore di giustizia (OMISSIS) Roberto, che ha riferito di un coinvolgimento di (OMISSIS) in un traffico di armi in epoca successiva alla “seconda guerra di mafia”, pertanto a partire dal 1991.
Questo spiega perché, essendo stati i lavori dell’appartamento completati fra il 1996 e il 1997, l’acquisizione della disponibilità di fatto del bene ricade nel periodo della pericolosità, anche perché per esso erano stati spesi circa 30.000 euro, non giustificati dai redditi del proposto.
Il ricorrente censura la confusione da parte della CORTE territoriale tra quanto riferito da (OMISSIS) in relazione al procedimento penale in corso, riscontrato dalle dichiarazioni di altri collaboratori, e la retrodatazione della sua appartenenza all’associazione di tipo mafioso – e quindi della sua pericolosità sociale – ai primi anni 1990, posto che la realizzazione dell’appartamento è avvenuta fra il 1985 e il 1994.
Peraltro il traffico di armi che (OMISSIS) asserisce aver avuto per protagonista il proposto non appare riconducibile all’associazione cui egli avrebbe in seguito aderito, tant’è che i capi di essa non ne erano al corrente.
4. Il ricorso deduce altresì motivazione apparente sulla produzione documentale difensiva – la Docfa 2007 – riguardante l’intero fabbricato di quattro piani, da cui si evince che l’appartamento oggetto di confisca, collocato al secondo piano, era stato realizzato nel 1985, ed era stato poi completato fino al 1994, tanto che la domanda di condono relativa a quel piano era stata proposta il 4/03/1995.
Ulteriore errore di motivazione interessa il decreto della CORTE d’APPELLO, nella parte in cui colloca temporalmente il completamento dell’appartamento agli anni 1996-97 per il fatto che GIOE’ e la moglie avevano ottenuto un prestito bancario di 30.000 euro – in realtà 30 milioni -, poi estinto nel 2002 col pagamento della somma di circa 21.000 euro.
Carenza di motivazione vi sarebbe anche, accedendo alla tesi del completamento dell’immobile effettuato con le risorse rivenienti dal mutuo bancario, che queste fossero di provenienza illecita.
Analoga lacuna riguarderebbe la parte del decreto relativa ai costi sostenuti, che il consulente della difesa ha quantificato in circa 37.000 euro, ridotti a circa 20.000, e quindi al 60% di quanto calcolato, perché l’opera è stata eseguita in economia, dal momento che la famiglia di (OMISSIS) si occupa di edilizia: la CORTE territoriale ha immotivatamente disatteso tale conclusione, ritenendo non rilevanti le fotografie prodotte e la titolarità di una impresa edile in capo allo zio del ricorrente.
La difesa contesta infine la sproporzione affermata dal decreto oggetto del ricorso, poiché invece una spesa di 20.000 euro nell’arco di nove anni di lavori ha comportato un esborso medio di 2000 euro all’anno, e cioè di 150 euro al mese, del tutto sostenibile.
Il PROCURATORE GENERALE ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il decreto impugnato va annullato e rinviato alla Corte territoriale per un nuovo giudizio.
1. E’ ben noto che, ai sensi dell’art. 10 co. 3 d.lgs. n. 159/2011 il ricorso per cassazione è ammesso solo per violazione di legge.
Tale violazione è riscontrabile nel caso in esame nell’assenza di motivazione quanto alla estensione della perimetrazione temporale del giudizio di pericolosità sociale di (OMISSIS), con ricaduta sulla misura reale, avendo la CORTE di APPELLO di REGGIO CALABRIA fornito risposta solo apparente ai rilievi difensivi mossi contro il decreto di primo grado.
Questa conclusione è l’esito del confronto fra le contestazioni difensive, prima riassunte, e le (non) risposte fornite dai Giudici di secondo grado, i quali hanno confermato la natura qualificata della pericolosità ritenuta a carico del proposto, ricavandola dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere a lui notificata nel marzo 2016 per partecipazione ad associazione di tipo mafioso – la cosca (OMISSIS), all’intento della ndrangheta – e per plurimi delitti di interposizione fittizia di beni (art. 12 quinquies d.l. n. 306/1992, aggravata dall’art. 7 legge n. 203/1991).
Il dato controverso attiene non già alla misura di prevenzione personale, in ordine alla quale la corte territoriale, attingendo dalla motivazione della menzionata misura restrittiva e confermando la valutazione del TRIBUNALE, ha fornito elementi a sostegno della sussistenza e della attualità della pericolosità sociale qualificata: elementi sui quali le contestazioni difensive appaiono assai contenute e generiche.
Il dato controverso attiene piuttosto al terminus a quo della pericolosità medesima e, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa S.C., al collegamento da stabilire fra il momento in cui tale pericolosità si è manifestata e il momento di acquisizione del bene colpito dalla confisca: l’appartamento sito al secondo piano di un fabbricato di quattro piani fuori terra sito in contrada (OMISSIS) nel territorio del Comune di Reggio Calabria.
Non ha invece costituito oggetto di ricorso, e neanche di appello, la confisca della polizza assicurativa.
2. Come hanno ricordato le Sezioni Unite della Cassazione n. 18 ric. Spinelli dep. 2 febbraio 2015, “rispetto alla misura di prevenzione personale il requisito della persistente pericolosità continua ad avere una ragion d’essere, in quanto, ben potendo quella risolversi nel tempo o grandemente scemare, sarebbe aberrante – siccome oggettivamente inutile, se non per finalità surrettizie o pretestuose – una misura di prevenzione applicata a soggetto non più socialmente pericoloso”.
Ciò posto, “quanto alla misura patrimoniale, la connotazione di pericolosità è immanente alla res, per via della sua illegittima acquisizione, e ad essa inerisce “geneticamente”, in via permanente e, tendenzialmente, indissolubile.
Ciò significa che (…) il giudice della prevenzione debba valutare, sia pure incidenter tantum, la condizione di pericolosità del soggetto nei cui confronti sia richiesta la misura patrimoniale. (…)
Se così è, e se tale rapporto è indefettibile, nel senso che, in tanto può essere aggredito un determinato bene, in quanto chi l’abbia acquistato fosse, al momento dell’acquisto, soggetto pericoloso, resta esaltata la funzione preventiva della confisca, in quanto volta a prevenire la realizzazione di ulteriori condotte costituenti reato, stante l’efficacia deterrente della stessa ablazione.”
La sentenza appena menzionata ribadisce che “sul piano concettuale, la pericolosità rimane pur sempre presupposto indefettibile e ragione giustificatrice della misura espropriativa, indipendentemente dall’epoca della sua manifestazione.
Donde, la persistente possibilità di assimilare la confisca in esame alle ordinarie misure di sicurezza, sì da consentire l’applicabilità ad essa del menzionato art. 200 cod. pen.”.
3. Alla stregua di tali principi e dei motivi di ricorso, la carenza di motivazione nel decreto impugnato si riscontra quanto alla mancata risposta in ordine al momento iniziale di manifestazione della pericolosità sociale del proposto.
Su tale elemento, rilevante nel caso in esame ai fini della correlazione temporale fra tale manifestazione e il momento in cui il bene è stato acquisito, gli elementi di fatto sono ricavabili esclusivamente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia (OMISSIS).
Esse non appaiono munite di riscontro dal momento che, in base a quanto riportato nel decreto impugnato:
a) (OMISSIS) non è mai stato condannato per aver realizzato un traffico di armi in contesto mafioso. Nulla emerge in tal senso dal certificato penale (che riporta come condanna definitiva solo un illecito poi depenalizzato) o dal certificato di carichi pendenti;
b) gli altri soggetti indicati come collaboranti in realtà non confermano nulla, poiché DE ROSA Enrico parla genericamente del proposto come di un soggetto “collocato in ambienti criminali”, e in specie della ndrangheta, mentre (OMISSIS) Mario lo individua come principale collaboratore di (OMISSIS) Roberto, fino a diventare per conto di costui il gestore della rivendita di auto (OMISSIS), senza tuttavia indicare né l’uno né altro il momento di avvicinamento e di ingresso di (OMISSIS) nella ndrangheta, ovvero al servizio di (OMISSIS). Si tratta di una lacuna significativa, poiché fra l’inizio degli anni 1990 e la condotta illecita oggetto dell’ordinanza restrittiva intercorre circa un quarto di secolo, e ciò preclude ogni retrodatazione di inserimento nel contesto di tipo mafioso evocato;
c) la cosca facente capo a (OMISSIS) è stata ritenuta operativa dal 1986 al 1999 con sentenza passata in giudicato, ma tale pronuncia non riguarda (OMISSIS).
4. Dunque, quel che il decreto della CORTE di APPELLO non tratta in alcun modo è la perimetrazione della pericolosità personale, in particolare l’indicazione dell’inizio di essa, posto che il suo termine finale coinciderebbe con l’arresto di (OMISSIS), avvenuto nel marzo 2016.
Questa S.C., e ora la Corte costituzionale, reputano essenziale la verifica della correlazione temporale fra l’acquisto dei beni e la manifestazione della pericolosità sociale.
In proposito le Sezioni Unite ric. Spinelli hanno affermato “il principio di diritto secondo cui sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, indipendentemente, dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta di prevenzione.”
E ciò per la “ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da “patologia ontologica”) ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame.
Diversamente, ove fosse possibile aggredire, indiscriminatamente, i beni del proposto, indipendentemente da ogni relazione “pertinenziale” e temporale con la pericolosità, lo strumento ablatorio finirebbe, inevitabilmente, con l’assumere connotati di vera e propria sanzione.
Una siffatta misura sarebbe, così, difficilmente compatibile con i parametri costituzionali in tema di tutela dell’iniziativa economica e della proprietà privata, di cui agli artt. 41 e 42 Cost, oltreché con i principi convenzionali (segnatamente, con il dettato dell’art. 1, Prot. 1, CEDU). (…) la funzione sociale della proprietà privata (può) essere assolta solo all’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico.
Non può, dunque, ritenersi compatibile con quella funzione l’acquisizione di beni contra legem”.”
Peraltro “l’individuazione di un preciso contesto cronologico, entro il quale può essere esercitato il potere di ablazione rende assai più agevole l’esercizio del diritto di difesa, oltre ad assolvere ad ineludibili esigenze di garanzia generica.
Di talché, anche sotto tale profilo la dinamica di apprensione coattiva di beni dei cittadini risulta esente da criticità sul versante della necessaria sintonia con i dettami della Carta costituzionale, comunque assicurata dal riconoscimento al soggetto inciso della facoltà di riprova in merito alla legittimità dell’acquisto in contestazione.”
La lacuna motivazionale fin qui evidenziata conduce all’annullamento del decreto, con rinvio alla Corte territoriale, quanto alla individuazione del periodo di manifestazione della pericolosità sociale di (OMISSIS) (OMISSIS), e soprattutto al momento di inizio della stessa, al fine di comparare tale manifestazione con i tempi di acquisizione dei beni sottoposti a confisca.
5. L’accoglimento di tale motivo di ricorso assorbe le altre questioni sollevate, lasciando impregiudicata l’eventuale nuova trattazione nel giudizio di rinvio degli altri motivi prospettati, in particolare di quelli riguardanti la misura patrimoniale, con riferimento alla posizione del proposto e alle posizioni dei terzi interessati, una volta che sia temporalmente delimitata la pericolosità sociale del primo.
In tal caso, andranno considerati i rilievi tecnici contenuti nella consulenza di parte del dott. (OMISSIS) in ordine alle entrate di cui il proposto e i terzi interessati assumono la lecita percezione, nonché il momento di completamento dell’immobile sottoposto a confisca, tenendo conto che quest’ultima ha riguardato il secondo piano fuori terra di un immobile di quattro piani, la cui realizzazione ha preso l’avvio nella metà degli anni 1980 e ha conosciuto passaggi di proprietà e interventi di completamento diluiti nel corso degli anni: anche su tali profili la motivazione del decreto impugnato è del tutto apparente.
P.Q.M.
Annulla il decreto impugnato e rinvia per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
Così deciso il 9/01/2020.
Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2020.