In tema di furto di energia elettrica, è configurabile l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 2 cod. pen. (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 15 aprile 2020, n. 12168).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI SALVO Emanuele – Presidente –

Dott. TORNESI Daniela Rita – Consigliere –

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. TORENSI Daniela Rita – Rel. Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ANGILERI GIOVANNI nato a MARSALA il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 29/11/2018 della CORTE APPELLO di PALERMO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DANIELA RITA TORNESI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. CIRO ANGELILLIS che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 dicembre 2016 il Tribunale di Marsala dichiarava Angileri Giovanni responsabile del reato di cui agli artt. 624 e 625, comma 1, n. 2 cod. pen. e lo condannava, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 1.200 di multa.

2. Con sentenza del 29 novembre 2018 la Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Marsala, ha rideterminato la pena in mesi cinque e giorni dieci di reclusione ed euro 1000 di multa.

3. Angileri Giovanni, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza elevando due motivi.

3.1. Con il primo motivo denuncia l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge in relazione agli artt. 624 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e il vizio motivazionale sostenendo, che la Corte distrettuale non abbia adeguatamente valutato le risultanze probatorie contenute nella c.n.r. n. 2163/2013 della Polizia Municipale di Castelvetrano / dalla quale si evince che l’appartamento presso cui veniva convogliata abusivamente l’energia elettrica era situato al piano terzo, lato destro, del complesso immobiliare sito in Castelvetrano mentre l’abitazione di cui il medesimo era titolare si trovava al piano secondo dell’edificio e, quindi, non era interessata dal collegamento abusivo.

Rappresenta che in ogni caso difetta l’elemento soggettivo del reato in quanto non è stata presa in considerazione la circostanza che in data anteriore ai fatti contestati era stato stipulato un regolare contratto di fornitura di energia elettrica.

3.2. Con il secondo motivo lamenta l’inosservanza e/o erronea applicazione di legge e il vizio motivazionale non essendo ravvisabile la circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen. e, pertanto, il reato non è procedibile per difetto di querela.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile sia per genericità che per manifesta infondatezza alla stregua di quanto qui di seguito esposto.

2. Giova rammentare che, secondo i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto, con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione (Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, Rv.256133).

In linea generale si osserva che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi i quali, a pena di inammissibilità, devono indicare specificatamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.

Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, indefettibilmente il confronto puntuale con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta. Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità.

Esso, oltre ad essere conforme all’art. 581 lett. c) cod. proc. pen., quando «attacca» le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., deducendo altresì le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a una decisione differente (Sez. 6, n. 8700 del 21 gennaio 2013, Rv. 254585).

3. Orbene, nel caso in esame i motivi di ricorso, già proposti con l’atto di appello, sono stati riprodotti pedissequamente in questa sede, in assenza di una censura argomentata alle ragioni contenute nella decisione impugnata.

4. Inoltre i predetti motivi poggiano su considerazioni di mero merito, non scrutinabili in sede di legittimità, a fronte della completezza e della tenuta logica – giuridica dell’apparato argomentativo posto a supporto della sentenza impugnata.

Va rammentato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuove- e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).

Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le incongruenze logicamente incompatibili con la decisione adottata/ purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento (per tutte, Sez. Un. n. 24 del 24/11/1999, Spina, v. 214794).

5. Ciò premesso si procede alla disamina dei singoli motivi di ricorso.

6. Quanto al primo motivo si premette che la pretesa inosservanza od erronea applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.

In tema di valutazione della prova non può essere qualificata in termini di violazione di legge. Tale disposizione non è, infatti, assimilabile ad una norma di diritto penale o ad altra norma giuridica di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, come indicato nell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., integrando piuttosto una norma processuale non stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, ai sensi del predetto art. 606, comma 1, lett. c), giacché l’inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. non è in tal modo sanzionata (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, Rv. 253567; Sez. 6, n. 7336 dell’ 08/01/2004, Rv. 229154), ne consegue che la dedotta violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. rileva solo come vizio di motivazione nei limiti indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame; con la precisazione che il concetto di mancanza di motivazione non può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione od errore che concernano l’analisi di determinati, specifici elementi probatori, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto con il complessivo quadro istruttorio (Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 258153).

6.1.Ciò posto, si osserva che le sentenze di merito che nel caso in esame, trattandosi di c.d doppia conforme, si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, hanno operato la ricostruzione dei fatti sulla base delle risultanze contenute nella c.n.r. redatta in data 26 aprile 2014 dai Carabinieri di Castelvetrano.

Da tale accertamento risulta che il 17 luglio 2013 personale dell’Enel procedeva ad effettuare un sopralluogo nell’immobile sito in Castelvetrano Piazzale Unità d’Italia n. 12, rectius via Duse n. 4, e in particolare presso l’appartamento posto al terzo piano, lato destro. A seguito della verifica veniva constatato che l’energia elettrica era fornita tramite un allaccio diretto consistito nel collegamento dei fili elettrici dalla linea principale sino all’alloggio dell’Angileri.

Tale appartamento, di proprietà dello I.A.C.P. di Trapani, era occupato dall’imputato dal 29 novembre 1991 e in data 14 novembre 2002 il predetto aveva presentato domanda di sanatoria ed era in attesa dell’assegnazione definitiva da parte dell’Amministrazione Comunale.

Dalla nota dell’ENEL del 28 febbraio 2014 emergeva altresì che l’Angileri aveva stipulato un contratto di fornitura elettrica in data 7 giugno 2013 che veniva poi risolto per cambio di gestore in data 1 ottobre 2013. Al riguardo i giudici di merito osservavano, con argomentazioni congrue, che tale circostanza non valeva certo a mettere in dubbio la sussistenza dell’allaccio abusivo nei termini di cui all’imputazione ed anzi confermava che il predetto fosse l’effettivo utilizzatore di quella utenza.

7. In relazione al secondo motivo si osserva che,secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, n. 23660 del 23/11/2012 – dep. 2013 Rv. 256190), in tema di furto di energia elettrica, è configurabile l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 2 cod. pen. quando la sottrazione dell’energia avviene mediante l’allacciamento diretto alla rete di distribuzione in quanto tale attività comporta il necessario danneggiamento, seppure marginale, per distacco dei fili conduttori.

7.1. Orbene, la Corte distrettuale ha fatto corretta applicazione del predetto principio di diritto risultando comprovato che l’allaccio diretto ha comportato una modificazione della rete elettrica consistita nel collegamento di due cavi provenienti dall’alloggio dell’imputato ad essa.

8. Alla stregua di quanto sopra esposto va pronunciata la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 18/02/2020.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.