In tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, sentenza 11 aprile 2018, n. 16107).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUMU Giacomo – Presidente –

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. BRUNO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CENCI Daniele – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.C., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 21/02/2017 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GIUSEPPE PAVICH;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FIMIANI PASQUALE, che ha concluso per l’inammissibilità;

E’ presente per la parte civile l’avvocato MIARI VALERIA del foro di REGGIO EMILIA in difesa di B.E. la quale deposita conclusioni e nota spese chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

E’ presente l’avvocato CAGOSSI PAOLA del foro di BOLOGNA in difesa di B.C. la quale si riporta ai motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

1. Decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento di precedente sentenza disposto dalla 3 Sezione della Corte di Cassazione, la Corte d’appello di Bologna, in data 21 febbraio 2017, ha confermato la sentenza emessa in data 1 febbraio 2012 con la quale il Tribunale di Reggio Emilia aveva condannato B.C. alla pena di giustizia in relazione al reato p. e p. dall’art. 81 c.p. e art. 609-quater c.p., comma 2, contestato come commesso tra il (OMISSIS).

1.1. Oggetto del processo sono le condotte attribuite al B. nei riguardi della di lui figlia E., la quale all’epoca dei fatti aveva 16-17 anni, condotte che sarebbero consistite in plurimi atti sessuali meglio descritti nell’imputazione, il cui andamento progressivo avrebbe alla fine indotto la minore a confidare a una sua insegnante (tale OMISSIS) quanto stava accadendo.

1.2. La fonte principale di prova è costituita dalle dichiarazioni della giovane, ormai divenuta maggiorenne: la quale veniva dapprima sentita in incidente probatorio, indi sottoposta ad accertamenti peritali per saggiarne la personalità e, in definitiva, l’affidabilità dichiarativa, ed infine veniva nuovamente escussa in dibattimento.

Tali accertamenti venivano condotti dalla psicologa d.ssa R.R. e formavano oggetto di contraddittorio con i consulenti della difesa (Dott. C.) e della parte civile (Dott. Co.).

Sulla vicenda riferivano poi, essenzialmente de relato, numerose altre fonti di prova orale, tra cui anche la madre della minore, T.M.L.; veniva altresì sottoposto ad esame l’imputato.

1.3. Riformando la pronunzia di condanna in primo grado, la Corte felsinea aveva emesso, in data 9 ottobre 2015, sentenza di assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto; seguiva il ricorso per cassazione presentato dal Procuratore generale di Bologna e dalla parte civile, in esito al quale veniva emessa, il 15 settembre 2016, sentenza rescindente da parte della 3 Sezione, con la quale la pronunzia d’appello veniva annullata con rinvio in relazione all’utilizzo delle dichiarazioni a carattere valutativo rese dalla teste a discarico della Dott.ssa P.A., nonchè alle ragioni di ritenuta inattendibilità della persona offesa poste a base della sentenza assolutoria, fondate tra l’altro su un percorso argomentativo immotivatamente adesivo alle valutazioni del consulente tecnico della difesa Dott. C., anzichè a quelle del perito Dott.ssa R..

1.4. In sede rescissoria, la Corte felsinea ha rivalutato criticamente le dichiarazioni rese dalla persona offesa, la sua attitudine dichiarativa e le valutazioni espresse da periti e consulenti al riguardo, contestualizzando gli esiti di tale rivalutazione alla luce del complessivo coacervo probatorio (nel quale sono stati scorti profili confermativi dell’attendibilità della vittima) e conseguentemente disattendendo le obiezioni difensive. In tal modo è pervenuta alla conferma della condanna emessa in primo grado dal Tribunale reggiano.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il B., per il tramite del suo difensore di fiducia.

Il ricorso originario consta di due motivi.

2.1. Con il primo motivo si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di penale responsabilità per il reato di atti sessuali con minore ultrasedicenne: richiamati i motivi d’appello a suo tempo presentati avverso la sentenza di condanna in primo grado, l’esponente censura la decisione della Corte di merito in sede di rinvio perchè non avrebbe rivalutato il materiale probatorio alla luce dei motivi d’appello, eludendo la questione di fondo relativa ai motivi per i quali la persona offesa reagì così tardivamente agli approcci fisici che le avrebbe rivolto il padre.

Secondo il ricorrente, non è credibile sul punto quanto asserito dalla persona offesa, la quale ha spiegato il suo atteggiamento con la sua abitudine a pensare che un genitore non può fare qualcosa contro il proprio figlio: ciò che però non è in linea con la sua deliberata scelta di farsi bocciare per non dover frequentare l’Accademia militare di Modena.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’inquadramento della vicenda ex art. 609-quater c.p., comma 2: non viene spiegato dalla Corte di merito in che cosa sarebbe consistito l’abuso di poteri connessi con la posizione genitoriale del B. (a fronte di una condotta che viene descritta dal Tribunale di Reggio Emilia come di “complicità, invischiamento, forte attrazione da ambo le parti”), e quindi in che cosa la condotta censurata si distinguerebbe rispetto alla fattispecie p. e p. dall’art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2.

2.3. Con un successivo atto, il ricorrente lamenta, quale motivo nuovo, violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alle modalità di verifica dell’attendibilità della persona offesa da parte della Corte di merito; ciò a fronte delle contraddizioni della giovane, la quale da un lato confidava di avere subito le attenzioni del padre ed attribuiva a tale circostanza la bocciatura scolastica, dall’altro dichiarava in dibattimento che tale bocciatura era un segno di reazione nei confronti dei genitori, desiderosi di avviarla all’Accademia militare.

2.4. Vengono inoltre passati in rassegna ulteriori elementi deponenti, secondo il deducente, per la non credibilità delle accuse della ragazza al padre (l’emersione della sua omosessualità, il fatto che la madre non si fosse mai accorta di nulla ecc.).

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, nonchè teso a prospettare indebitamente, in questa sede, una rivalutazione del materiale probatorio e una ricostruzione alternativa dei fatti, ciò che deve ritenersi inammissibile in questa sede a fronte di un ampio ed adeguato percorso argomentativo seguito dalla Corte di merito nella sentenza rescissoria.

Si ricorda in proposito che, in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (Sez. 3, Sentenza n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).

Del resto, anche con riguardo all’interrogativo retorico proposto dal ricorrente circa le spiegazioni fornite dalla vittima in ordine al fatto di avere così a lungo tollerato le attenzioni sessuali del padre, la motivazione della sentenza impugnata fornisce chiarimenti in ordine alla gratificazione inizialmente avvertita da E. in seguito all’atteggiamento paterno, mutato rispetto all’assenza precedente del B. dall’ambito familiare, in un contesto familiare che era stato fino ad allora di sostanziale vuoto affettivo (non solo da parte del padre, ma anche da parte della madre); e ciò, spiega la Corte felsinea, si innestava su una disposizione psicologica dell’allora minorenne ad accettare in modo acritico le condotte del genitore che, in quanto tale, “non avrebbe mai potuto farle del male”; tanto più che l’atteggiamento paterno si palesava in modo graduale, dapprima attraverso verbalizzazioni di fantasie sessuali, e solo in un secondo momento con condotte materiali, a loro volta graduate progressivamente nella loro intensità.

Nè può darsi spazio, in sede di legittimità, all’asserita incoerenza della scelta di E. di farsi bocciare per non frequentare l’Accademia, cui il ricorrente allude per ricavarne un atteggiamento disobbediente della persona offesa in contraddizione con l’acriticità dalla stessa dichiarata in ordine al comportamento genitoriale.

Trattasi invero di profili psicologici il cui approfondimento e la cui spiegazione sono demandati al giudizio di merito, ed in ordine ai quali è appena il caso di osservare che non è dato ravvisare elementi di macroscopica contraddittorietà fra la fiducia del figlio nel comportamento dei propri genitori nei suoi riguardi ed eventuali scelte attraverso le quali il figlio si autoafferma anche in contrasto con il volere dei genitori.

In definitiva, nell’incedere argomentativo della sentenza impugnata, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, si apprezza una capillare attenzione sia al contesto familiare, sia al profilo psicologico della vittima, sia al ruolo degli altri personaggi che hanno potuto riferire in ordine alla vicenda, sia infine alle valutazioni degli esperti (periti e consulenti) in ordine all’attendibilità dichiarativa di E..

Pertanto, le motivazioni della Corte felsinea sottese alla conferma della condanna si sottraggono al sindacato di legittimità, palesandosi caratterizzate da logicità, coerenza e completezza motivazionale.

2. Il secondo motivo di ricorso è, a sua volta, manifestamente infondato.

3. Occorre in primo luogo sgombrare il campo da un equivoco nel quale è caduto il ricorrente, riguardante i rapporti fra il reato contestato al B. (art. 609-quater c.p., comma 2) e la fattispecie di cui all’art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2: a distinguere le due ipotesi non è solo il fatto che, in quella contestata al B., si enuncia espressamente che la condotta oggetto di addebito avviene con abuso dei poteri connessi alla sua posizione (abuso che, invece, non viene menzionato nella fattispecie di cui al cit. art. 609-quater, comma 1), ma è anche il fatto che, nell’imputazione mossa a carico dell’odierno ricorrente, la persona offesa ha compiuto i sedici anni (mentre nelle ipotesi di cui al primo comma la persona offesa è, rispettivamente, infraquattordicenne o infrasedicenne), e tale non trascurabile elemento differenziale spiega perchè la condotta di cui al comma 2 – caratterizzata, si ripete, dall’espresso riferimento all'”abuso dei poteri connessi” alla posizione del soggetto attivo – sia punita meno gravemente di quelle indicate al comma precedente, nelle quali la vittima non ha compiuto gli anni 14 (n. 1) o gli anni 16 (n. 2).

3.1. Tanto chiarito, la connotazione residuale della condotta contestata rispetto a quella di cui all’art. 609-bis c.p. rende evidente che l’abuso dei poteri connessi, nella specie, alla condizione genitoriale dell’imputato rispetto alla persona offesa deve necessariamente consistere in una forma di induzione del minore a compiere o a subire atti sessuali, che il soggetto attivo pone in essere profittando della sua posizione qualificata rispetto al minore (prossimo, nell’ipotesi di cui al comma 2, al compimento della maggiore età).

Ove tale condotta fosse invece connotata da elementi di costrizione, o di abuso di autorità, si verserebbe eo ipso nella più grave fattispecie di cui all’art. 609-bis c.p..

Pertanto, è di tutta evidenza che il richiamo della fattispecie in esame all’abuso dei poteri connessi alla posizione del soggetto attivo, più che con l’esigenza di contraddistinguere la posizione di quest’ultimo rispetto a condotte penalmente irrilevanti (o comunque di minore gravità), si giustifica proprio con la necessità di tracciare una distinzione rispetto a più gravi forme di abuso, legate alla posizione di autorità del soggetto attivo (e della conseguente strumentalizzazione di tale posizione a fini sessuali) o alle caratteristiche esplicite e coercitive della condotta abusante.

3.2. Illuminante, sotto tale profilo, è quanto affermato da Sez. 3, Sentenza n. 2681 del 11/10/2011, dep. 2012, R. e altro, Rv. 251885): in tale pronunzia si è affermato che l’espressione “abuso di autorità”, che costituisce, unitamente alla “violenza” o alla “minaccia”, una delle modalità di consumazione del reato previsto dall’art. 609-bis c.p., non include la violenza sessuale commessa abusando della potestà di genitore: argomentando detta decisione, la 3 Sezione, nell’escludere che possa intendersi per “autorità” ogni posizione sovraordinata pubblicistica o privatistica, ha precisato che, a ritenere diversamente, resterebbe inapplicabile l’art. 609-quater c.p., comma 2, che presuppone l’inapplicabilità delle ipotesi previste dall’art. 609-bis c.p., tra cui rientra, appunto, anche quella di ogni atto sessuale commesso con abuso di autorità.

4. Anche con il motivo nuovo di ricorso, rassegnato con ulteriore atto, si propone in questa sede una nuova valutazione del materiale probatorio, valutazione che in realtà è demandata in via esclusiva al giudice di merito ed è incompatibile con il presente sindacato di legittimità.

Le considerazioni ivi svolte dal ricorrente si appalesano infatti ripropositive di circostanze di mero fatto e si sottraggono all’esame della Corte regolatrice per ragioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle enunciate a proposito del primo motivo di ricorso, alle quali perciò si rinvia.

5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende; va condannato altresì alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile B.E., che vengono liquidate come da dispositivo.

6. Va disposto, ratione materiae, l’oscuramento dei dati personali.

P.Q.M. 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende, nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile B.E., che liquida in complessivi Euro 2.340,00 oltre spese generali nella misura del 15%, CPA e IVA.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Cassazione, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2018.