La Cassazione nega il danno catastrofico per la sofferenza psichica patita dalla vittima nel tempo intercorso fra l’inizio dell’aggressione omicida e la morte, tempo in cui il giovane si era reso conto della propria fine imminente e aveva cercato rifugio in uno chalet vicino: l’azione omicida è stata istantanea, essendo durata solo pochi secondi.

(Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 29 novembre 2017, n. 28478)

…, omissis …

Fatto e diritto

Rilevato che:

Lu. De Fa., Ca. Ca. e Ma. De Fa., quali congiunti ed eredi del giovane Sa. Di Fa., ucciso nel luglio 1998 da un “commando” di camorristi, convennero in giudizio i responsabili dell’omicidio chiedendo il risarcimento dei danni subiti iure proprio e, con successivo atto di intervento volontario, il risarcimento del danno loro spettante iure hereditatis, in relazione al pregiudizio morale subito dal loro congiunto.

Il Tribunale riconobbe agli attori il risarcimento dei danni richiesti iure proprio, rigettando invece la domanda relativa ai danni subiti dal deceduto.

Avverso la sentenza della Corte di Appello, che ha rigettato il loro gravame, ricorrono per cassazione i De Fa. e la Ca., affidandosi ad un unico motivo, cui non resistono gli intimati.

Considerato che:

con l’unico motivo (che si assume genericamente «rientrante nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c. punto 3»), i ricorrenti si dolgono che la Corte territoriale abbia erroneamente richiamato Cass., S.U. n. 15350/2015 in punto di danno tanatologico, rilevando che, nel caso era stato richiesto il “danno catastrofico” per la sofferenza psichica patita dalla vittima nel tempo intercorso fra l’inizio dell’aggressione omicida e la morte, tempo in cui il giovane si era reso conto della propria fine imminente e aveva cercato rifugio in uno chalet vicino.

Il motivo è infondato, in quanto la Corte ha escluso la sussistenza del presupposto fattuale richiesto per l’insorgenza del danno catastrofale, costituito dall’acquisizione della consapevolezza della propria morte imminente.

Ha, infatti, affermato che «in punto di fatto, la tesi degli appellanti non trova pieno conforto negli atti prodotti», dovendosi ritenere, «in mancanza di ricostruzioni fattuali più precise, che l’azione omicida è stata istantanea, essendo durata solo pochi secondi» e che, pertanto, «l’evento morte, nel senso di cessazione della funzione vitale consapevole, è, poi, sopraggiunto istantaneamente».

Peraltro, insistendo nell’affermazione di una maggiore durata dell’azione omicidiaria, i ricorrenti non individuano alcun error in iure in cui sarebbe incorsa la sentenza, ma finiscono con sollecitare un’inammissibile rivisitazione dei fatti (ciò facendo -peraltro- in totale difetto di autosufficienza, in quanto non trascrivono il contenuto delle sentenze di condanna penale da cui risulterebbe una diversa modalità dell’agguato).

In difetto di attività difensiva da parte degli intimati, non deve provvedersi sulle spese di lite.

Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso. 

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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