La direttiva 2003/87/CE ha previsto l’istituzione di un sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, fissando un tetto alle emissioni totali e stabilendo che nessun impianto produttivo può esercitare alcuna delle attività elencate nell’Allegato I della stessa direttiva, che comportino emissioni di gas serra, senza essere munito di idonea autorizzazione.

(Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 31 ottobre 2016, n. 4598)

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 31 ottobre 2016, n. 4598

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 361 del 2016, proposto da:

En. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. To. e Cl. Ca., con domicilio eletto presso lo studio di Lu. To. in Roma, viale (…);

contro

Comitato Nazionale Gestione Direttiva 2003/87/Ce e Supporto Gestione Attività di Progetto Protocollo di Kyoto, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato Stato, domiciliati presso gli uffici di quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Is. s.r.l., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza 7 ottobre 2015, n. 11498 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma, Sezione II-bis.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 luglio 2016 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato Lu. To. e l’avvocato Ga. D’Av.o dell’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTO e DIRITTO

1.- En. s.p.a è proprietaria di uno stabilimento per la raffinazione del greggio nel Comune di (omissis) per il quale, nel dicembre del 2004, ha ottenuto l’autorizzazione, n. 223, all’emissione di gas serra.

2.- Con il presente giudizio di appello, instaurato da En., è stata impugnata la sentenza 7 ottobre 2015, n. 11498 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che ha ritenuto non illegittimo il provvedimento con il quale il Comitato nazionale per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività avrebbe respinto, «per la terza volta consecutiva», l’istanza della società di assegnazione di quote aggiuntive di CO2, a titolo gratuito.

3.- Si sono costituite in giudizio le amministrazioni intimate, chiedendo il rigetto dell’appello.

4.- La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 21 luglio 2016.

5.- La risoluzione della controversia presuppone la ricostruzione del quadro normativo rilevante e dell’evoluzione della vicenda concreta.

6.- La direttiva 2003/87/CE ha previsto l’istituzione di un sistema di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra, fissando un tetto alle emissioni totali di gas e stabilendo che nessun impianto produttivo può esercitare alcuna delle attività elencate nell’Allegato I della stessa direttiva, che comportino emissioni di gas serra, senza essere munito di idonea autorizzazione rilasciata dall’autorità competente. Agli impianti che ottengono tale autorizzazione è assegnata una determinata quota di diritti di emissione ovvero l’autorizzazione ad emettere una certa quantità di gas inquinanti.

Gli Stati membri sono chiamati ad elaborare periodicamente un piano nazionale di assegnazione (PNA), con il quale determinare le quote totali di emissioni da assegnare per ciascun periodo e le modalità di tale assegnazione. Una parte delle quote viene assegnata a titolo gratuito, la restante parte è disponibile sul mercato e può essere acquistata a titolo oneroso. Il totale delle quote disponibili sul mercato non può, in ogni caso, superare il limite massimo delle emissioni totali individuato dal PNA. La direttiva ha individuato, inoltre, i periodi di riferimento durante i quali si applica la disciplina: 1° periodo triennio 2005-2007; 2° periodo quinquenni 2008-2012, 2013-2018.

La disciplina europea riserva poi un trattamento speciale ai c.d. “nuovi entranti”, disponendo che a detti soggetti è consentito di ottenere determinate quote a titolo gratuito, evitando che soggetti già presenti nel mercato possano consolidare la loro posizione impedendo nuovi ingressi.

A livello nazionale è stato adottato, in data 15 luglio 2004, il PNA, a cui è seguita l’integrazione dello stesso in data 28 febbraio 2005.

Successivamente è stato emanato il decreto legislativo 4 aprile 2006, n. 216 (Attuazione delle direttive 2003/87 e 2004/101/CE in materia di scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, con riferimento ai meccanismi di progetto del Protocollo di Kyoto), con il quale è stato istituito il Comitato nazionale per la gestione della Direttiva 2003/87/CE, conferendo allo stesso il ruolo di Autorità preposta allo svolgimento delle attività necessarie per l’attuazione della Direttiva in questione, in sostituzione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (art. 8).

Il predetto decreto legislativo ha riprodotto la definizione di «nuovo entrante» già contenuta nella direttiva: per il primo periodo 2005-2007 sono intesi come tali quegli impianti che esercitino una o più attività indicate nell’Allegato A della stessa direttiva, entrati in esercizio dal 1° gennaio 2004, o in caso di impianto termoelettrico dal 1° gennaio 2005; mentre con riferimento ai periodi successivi sono considerati nuovi entranti quegli impianti che esercitino una o più attività indicate nell’Allegato A che abbiano ottenuto un’autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra o un aggiornamento di detta autorizzazione «a motivo di modifiche significative apportate alla natura o al funzionamento dell’impianto», o in ragione di ampliamenti apportati ai medesimi a seguito della notifica alla Commissione europea del PNA.

7.- La vicenda concreta si è sviluppata, sul piano procedimentale e processuale, nel senso di seguito indicato.

7.1.- La società ha presentato domanda di aggiornamento dell’autorizzazione n. 223, originariamente ottenuta, in ragione delle modifiche effettuate sull’impianto, in qualità di impianto nuovo entrante, chiedendo l’assegnazione di quote integrative.

Il Comitato, con deliberazione n. 48 del 2007, ha proceduto all’aggiornamento dell’autorizzazione.

Lo stesso Comitato, con atto del 25 marzo 2008, ha, però, rigettato l’istanza volta ad ottenere l’assegnazione di quote integrative gratuite, in quanto le stesse non potrebbero essere considerate modifiche sostanziali «vale ad dire modifiche sull’assetto dell’impianto con incremento della capacità produttiva della stessa». In questa prospettiva, non sono state ritenute rientranti nel campo di applicazione della normativa «quelle modifiche che comportano un maggiore sfruttamento della capacità installata/produttiva esistente, gli interventi volti all’ottimizzazione energetica dei processi, alla rimozione dei cosiddetti “colli di bottiglia”, alla riduzione dei “tempi morti” tra fasi di lavorazione successive, le modifiche dei turni lavorativi, gli interventi che non coinvolgano elementi tecnologici direttamente responsabili di emissioni di gas a effetto serra, gli interventi volti a migliorare esclusivamente la qualità del prodotto finale in uscita al processo, le modifiche dei combustibili impiegati».

7.1.1.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 31 marzo 2010, n. 5292, ha accolto il ricorso della società, rilevando il difetto di motivazione, in quanto ha ritenuto «carenti le giustificazioni volte a negare la qualifica di nuovo entrante alla società ricorrente con riferimento, in particolare, alle modifiche “significative” dell’impianto e all’asserito aumento quantitativo della capacità produttiva dello stesso, non risultando sufficienti i rilievi motivazionali forniti volti a dimostrare il maggiore sfruttamento della capacità produttiva (rimozione dei c.d. colli di bottiglia, riduzione dei tempi morti tra fasi di lavorazione, ecc.-9 ».

7.1.2.- Lo stesso Tribunale, con sentenza n. 1791 del 2011, ha accertato l’inottemperanza della sentenza e ha ordinato all’amministrazione di provvedere.

7.2.- Il Comitato, con provvedimento 3 febbraio 2011, ha nuovamente rigettato l’istanza, rilevando che per il settore della raffinazione la riserva di quote integrative sarebbe pari a zero, in quanto la decisione di assegnazione 2005-2007 avrebbe «già tenuto in considerazione tutte le modifiche impiantistiche finalizzate al miglioramento della qualità dei prodotti di raffinazione, imposto dalla direttiva 2003/17 e pertanto nessuna assegnazione aggiuntiva può essere prevista per il settore della raffinazione». In definitiva, si assume che gli adeguamenti impiantistici cui le raffinerie si sono dovute sottoporre, per ridurre il tenore dello zolfo della benzina e del gasolio, sarebbero stati già tenuti in considerazione nella suddetta decisione.

7.2.1.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 14 maggio 2012, n. 4374, ha accolto il ricorso «attesi gli assorbenti profili di carenza di motivazione in ordine alla possibile qualifica di nuovo entrante, anche con riguardo:

– alle caratteristiche specifiche delle modifiche apportate all’impianto di Taranto;

– alla questione della sufficienza del mero riferimento alla circostanza che la riserva di quote iniziali per i nuovi entranti fosse pari a zero;

– alla questione dei possibili effetti della qualifica di nuovo entrante anche per il secondo periodo (2008/2011)».

7.3.- Il Comitato, a seguito di tale sentenza, ha adottato, in data 22 maggio 2014, un ulteriore provvedimento di rigetto, rilevando che:

– «per il settore della raffinazione, relativamente al periodo 2005-2007, non è neppure configurabile la nozione di nuovo entrante avente diritto all’assegnazione integrativa di quote (…) perché le quote relative alle modifiche che gli impianti avrebbero posto in essere nel periodo 2006-2007 ai fine di adeguarsi alle prescrizioni di cui alla direttiva 2003/17/CE (…) sono state assegnate in anticipo agli stessi impianti»;

– la modifica relativa all’introduzione degli impianti del dispositivo «intervento volto a migliorare il processo produttivo della raffineria mentre nessuna modifica della capacità produttiva è stata effettivamente apportata.

7.3.2.- Il Tribunale amministrativo, con sentenza 7 ottobre 2015, n. 11498, ha rigettato il ricorso, rilevando che la ricorrente non avrebbe dimostrato che le modifiche apportate agli impianti siano “significative” in «relazione alla natura o al funzionamento dell’impianto, specie sotto il profilo della “capacità produttiva”». Si è aggiunto che «in ragione delle peculiarità che connotano il settore della raffinazione, di cui è stata data in precedenza evidenza, è da rilevare – in particolare – che non risulta adeguatamente comprovato, mediante la produzione di elementi concreti e dati oggettivi, che le modifiche di cui si discute, inerenti l’installazione dei dispositivi “CDP-TECH per la produzione di benzina desolforata” e “IGAS per la produzione di singas”,, non siano state poste in essere in adempimento degli obblighi derivanti dalla direttiva 2003/17/CE – e, dunque, che si tratti effettivamente di modifiche di cui non si è già tenuto conto ai fini dell’attribuzione delle quote di emissione “a titolo gratuito” ai gestori del settore della raffinazione in sede di predisposizione del PNA1».

8.- L’appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza in quanto:

a) violerebbe il principio c.d. del one shot, elaborato dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui l’amministrazione ha la possibilità di indicare una sola volta dopo il giudicato nuove ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza mentre nel caso in esame ci sarebbero stati tre provvedimenti negativi;

b) elusione del giudicato, in quanto le ragioni del diniego sarebbero le stesse di quelle poste a fondamento dei precedenti provvedimenti annullati dallo stesso Tribunale amministrativo;

c) si fonderebbe su una nozione fuorviante di “nuovo entrante”, che, secondo l’appellante, dovrebbe essere conseguenza automatica dell’avvenuto aggiornamento dell’autorizzazione.

9.- L’appello è fondato.

10.- In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello per mancata impugnazione della sentenza n. 4374 del 2012 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. L’appellante non aveva, infatti, interesse all’impugnazione della suddetta decisione che, al contrario, costituisce il presupposto che legittimerebbe le pretese fatte valere nel presente giudizio.

11.- In presenza di un’attività amministrativa vincolata, il giudicato produce un effetto conformativo sostanzialmente pieno sull’attività amministrativa successiva al giudicato stesso, perché stabilisce quali sono le modalità di svolgimento della futura azione amministrativa.

In presenza, invece, di un’attività connotata da discrezionalità, l’effetto conformativo è solo parziale. Il principio di separazione dei poteri, che ha rilevanza costituzionale, impedisce, infatti, che il giudice possa definire profili del rapporto che attengono al merito delle scelte amministrative. Ne consegue che l’attività dell’amministrazione successiva al giudicato dovrà rispettare le regole giudiziali e, per le parti non oggetto della sentenza, le regole legali.

La giurisprudenza amministrativa ha, però, rilevato che nuove ragioni ostative al soddisfacimento della pretesa azionata possono essere fatte valere una sola volta dopo il giudicato.

Si è, infatti, affermato che «potendo in teoria l’Amministrazione pronunciarsi un numero di volte in via di principio infinito sullo stesso affare, ove questa ogni volta ponesse a sostegno del “nuovo” provvedimento fatti “nuovi” (in quanto non precedentemente esaminati) verrebbe vanificata la portata accertativa e soprattutto conformativa di ogni decisione». E’ stato individuato, in via empirica, il punto di equilibrio tra «due opposte esigenze rappresentate dalla garanzia della inesauribilità del potere di amministrazione attiva e dalla portata cogente del giudicato» nell’obbligo per amministrazione «dopo un giudicato di annullamento da cui derivi il dovere o la facoltà di provvedere di nuovo, di esaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, dopo di ciò non potendo tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati» (in questo senso, Cons. Stato, sez. IV, 11 febbraio 2013, n. 769).

E’ bene aggiungere che altra parte della giurisprudenza ha ritenuto, invece, che con il secondo provvedimento l’amministrazione non possa considerarsi «obbligata a fornire una risposta definitiva e coerente rispetto all’istanza di attribuzione del bene delle vita, e che se ciò non avviene quel bene va senz’altro attribuito». Aggiungendosi, però, che «l’adozione di un secondo diniego dopo il giudicato può far soltanto presumere l’atto elusivo del giudicato stesso: ma si tratta di una presunzione non assoluta, che può essere superata sia dall’interessato, sia da considerazioni di ordine sistematico riguardanti il complessivo sviluppo concreto della vicenda che giustifichi l’adozione di un secondo provvedimento non conforme alla pretesa» (Cons. Stato, sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 769).

12.- Applicando questi principi al caso di specie ne risulta la fondatezza dell’appello.

Il Comitato, dopo il primo giudicato, ha adottato altri due provvedimenti di rigetto, indicando in entrambi “nuove” ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza.

Se si segue il primo orientamento sopra riportato, deve ritenersi che l’amministrazione ha sostanzialmente esaurito il proprio potere discrezionale.

Nel primo atto amministrativo la ragione del diniego era rappresentata dal fatto che le modifiche all’impianto erano state ritenute di tipo qualitativo e non anche quantitativo.

Nel secondo atto amministrativo la ragione del diniego era rappresentata dal fatto che le modifiche apportate all’impianto erano state già valutate al momento della decisione di assegnazione 2005-2007 e quindi non potevano essere nuovamente riconsiderate ai fini dell’assegnazione di quote aggiuntive a titolo gratuito.

Entrambi gli atti amministrativi indicati sono stati annullati, con le sentenze sopra riportate, dal Tribunale amministrativo regionale.

Il terzo provvedimento di diniego sarebbe, pertanto, contrario alla regola dell’esaurimento del potere discrezionale, con conseguente sua illegittimità.

Ma anche se si segue la variante interpretativa del secondo orientamento l’esito, nella fattispecie in esame, non muta. Il Comitato ha inserito nella determinazione impugnata due ragioni, costituite dall’esistenza di modifiche qualitative e non quantitative, sia pure con motivazione calibrata su uno specifico impianto, e l’impossibilità di potere considerare utili le modifiche agli impianti già valutate al momento della decisione di assegnazione.

Tale motivazione riprende, sostanzialmente quelle che, in modo più sintetico, erano state prospettate nei due precedenti dinieghi. Può ritenersi, pertanto, che l’appellante abbia dimostrato la sostanziale elusione del giudicato senza che tale esito possa essere contraddetto da un’analisi complessiva del sistema in cui la decisione si colloca e, in particolare, di eventuali oggettive sopravvenienze in grado di giustificare la scelta amministrativa.

13.- L’accoglimento dell’appello per le ragioni indicate esime il Collegio dall’esaminare anche il terzo motivo di ricorso.

14.- L’accoglimento dell’appello comporta l’obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sull’istanza dell’appellante entro sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, nel rispetto di quanto indicato nella presente decisione, e, in caso di persistente inadempimento, si nomina, quale commissario ad acta, il Presidente dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico o un suo delegato.

15.- Non può, invece, trovare accoglimento la richiesta di condanna, ai sensi dell’art. 114, comma 1, lettera e), c.p.a. in quanto può ritenersi sufficiente garanzia di adempimento la nomina del commissario ad acta che sostituendosi all’amministrazione eventualmente inadempiente sarà il soggetto su cui grava l’obbligo di assicurare la corretta esecuzione della presente decisione.

16.- Le amministrazioni statali intimate sono condannate al pagamento, in solido, delle spese del doppio grado di giudizio che si determinano in euro 7.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:

a) accoglie l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara la invalidità degli atti amministrativi impugnati in primo grado e dispone gli incombenti indicati nella parte motiva;

b) condanna le amministrazioni statali intimate al pagamento, in solido, delle spese del doppio grado di giudizio che si determinano in euro 7.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Sergio Santoro – Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore

Italo Volpe – Consigliere