(Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 9 aprile – 23 giugno 2015, n. 12915)
Svolgimento del giudizio
Nel luglio 2003 M.M. formulava nei confronti di F.S. intimazione di sfratto per morosità e finita locazione e, in subordine, domanda di risoluzione per inadempimento, in relazione al contratto locativo ad uso transitorio stipulato tra le parti nel gennaio ‘98 con durata annuale, e successivamente rinnovatosi.
Assumeva la M. che la convenuta aveva omesso la manutenzione ordinaria dell’immobile cagionandole danni risarcibili e che, inoltre, aveva unilateralmente proceduto all’autoriduzione del canone, oggetto di libera determinazione.
Nella costituzione in giudizio della F. – e previa riunione della causa ad altra da quest’ultima introdotta nell’aprile 2003 nei confronti della M. , ed avente ad oggetto la simulazione relativa della locazione, stipulata per soddisfare esigenze abitative stabili per motivi di studio ex articolo 26, 1^ comma, lettera a) legge 392/78, nonché la condanna della locatrice alla restituzione delle somme percepite in eccedenza rispetto all’equo canone nella specie applicabile – veniva emessa sentenza n. 1467/07 con la quale il tribunale di Bari, per quanto qui ancora rileva: – accertava che la locazione era stata stipulata per soddisfare esigenze abitative stabili per motivi di studi della conduttrice; – determinava di conseguenza l’equo canone secondo ctu; – condannava la M. a restituire alla F. la somma di Euro 9.508,79, a titolo di maggiori canoni da lei percepiti rispetto a quello legale, come sopra determinato; – condannava la locatrice al pagamento degli interessi legali sulla somma versata dalla conduttrice a titolo di cauzione; – compensava per metà le spese di lite, condannando la M. alla rifusione del residuo.
Proposto appello dalla M. , veniva emessa sentenza n. 910/11 con la quale la corte di appello di Bari rigettava il gravame, con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Avverso questa sentenza viene dalla M. proposto ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi, ai quali resiste con controricorso la F. .
Motivi della decisione
p.1.1 Con il primo, secondo e quarto motivo di ricorso la M. deduce – ex art. 360, 1^ co. nn. 3 e 5 cod.proc.civ. – violazione o falsa applicazione degli artt. 79 legge 392/78, 2702 – 2722 – 2725 cod.civ., nonché omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia; rappresentato dalla simulazione relativa del contratto di locazione tra le parti e, segnatamente, dal raggiungimento della prova della destinazione dei locali ad uso transitorio con occupazione stabile da parte della conduttrice per motivi di studio.
p.1.2 Si tratta di motivi suscettibili di considerazione unitaria in quanto tutti basati – nella prospettiva della violazione di legge e della carenza motivazionale – sull’erronea affermazione da parte del giudice di merito della simulazione relativa del contratto di locazione, con conseguente suo assoggettamento al regime vincolistico di equo canone; in quanto stipulato ad uso transitorio, ma con esigenza occupativa stabile per motivi di studio della conduttrice, ex art. 26, primo comma, lett. a), seconda parte legge 392/78.
Le doglianze sono infondate.
Sul piano della violazione normativa, la corte di appello ha fatto corretta applicazione della previsione in oggetto, secondo cui “Le disposizioni di cui al presente capo non si applicano: a) alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, salvo che il conduttore abiti stabilmente nell’immobile per motivi di lavoro o di studio (…)”.
In particolare, risulta rispettato il principio per cui l’inclusione del contratto nell’ambito dell’uso transitorio con occupazione stabile dell’immobile per motivi di studio determina deroga alla legge dell’equo canone (qui vigente al momento della stipula) soltanto in punto durata contrattuale, non anche in punto equo canone legalmente stabilito: “la locazione stipulata per esigenze abitative transitorie determinate da motivi di studio o di lavoro è soggetta alle disposizioni della legge 21 luglio 1978, n. 392, fatta esclusione per la durata legale, nel caso in cui, ferma restando la transitorietà delle esigenze abitative, concorrano il requisito della stabile abitazione dell’immobile da parte del conduttore, ed il requisito del motivo di studio o di lavoro per la cui realizzazione si deve intendere stipulata la locazione” (Cass. n. 15384 del 28/06/2010).
Si è, in particolare, chiarito che “nel sistema della legge n. 392/1978, il tipo legale della locazione ad uso abitativo risulta articolato in tre sottotipi: a) locazioni per esigenze abitative stabili e primarie; b) locazioni per esigenze abitative transitorie determinate da motivi di studio o di lavoro; c) locazioni per esigenze abitative non stabili né primarie ma genericamente transitorie”.
Mentre il primo “sottotipo” è completamente soggetto all’applicazione della legge n. 392/1978, ed il terzo ne é invece totalmente esonerato, il secondo sottotipo “è soggetto all’applicazione della legge n. 392/1978 fatta esclusione per la durata legale”. Perché sia individuabile tale categoria contrattuale, è necessario il concorso di due requisiti: “la stabile abitazione nell’immobile da parte del conduttore, ed il motivo di studio o lavoro per la cui realizzazione si deve intendere stipulata la locazione” (Cass. n. 2147 del 31/01/2006).
Sempre nell’ambito della doglianza di violazione o falsa applicazione di legge, va poi osservato come la corte di appello abbia fatto corretto ricorso alla regola per cui – vertendosi di domanda di simulazione relativa, volta a far emergere la illiceità della clausola sul canone per contrasto con il regime vincolistico allora vigente e, segnatamente, ad affermarne la nullità ex art. 79 legge 392/78 – la prova della simulazione, posta per regola generale a carico del conduttore, non subisce limitazioni di sorta; potendo essere fornita, tra le parti, anche a mezzo di testimoni e di presunzioni ex art. 1417 cc: “la prova della sussistenza di un accordo simulatorio sull’apparente volontà espressa da entrambe le parti di concludere una locazione transitoria, in quanto volta a far valere l’illiceità delle simulate clausole contra legem, dissimulanti la reale natura dell’esigenza abitativa (in relazione all’art. 79, comma primo, legge n. 392 del 1978, e all’art. 1417 cod. civ.), può essere fornita dal conduttore anche mediante presunzioni; che possono consistere in circostanze oggettive conosciute dal locatore al momento della stipula, se hanno i requisiti per indurre a ritenere che le espressioni letterali del contratto sulla dichiarata transitorietà – smentita dalla situazione di fatto – abbiano costituito il mezzo, vietato dal disposto del citato art. 19 della legge n. 392 del 1978, per eludere l’applicazione della (precedente) normativa sull’equo canone” (Cass. n. 4484 del 25/02/2009, cit. anche nella sentenza qui impugnata).
A fronte della specialità derogatoria dell’ipotesi (simulazione per illiceità ex articolo 1417 cod.civ.) a nulla rilevavano i limiti generali alla prova testimoniale qui invocati dalla ricorrente, vieppiù considerando che non si trattava, nel caso in questione, né di far emergere patti aggiunti o contrari al testo scritto (bensì la divergenza originaria tra destinazione dei locali dichiarata in contratto: uso transitorio; e destinazione, conosciuta e voluta dalle parti: uso transitorio per motivi di studio); né di dare la prova di un contratto per il quale fosse allora prevista per legge la forma scritta.
Venendo, con ciò, alle censure di “omessa, insufficiente, confusa ed inconferente motivazione”, va affermato come esattamente inquadrata la fattispecie nell’ambito dei suddetti profili di diritto – la corte territoriale abbia poi dato congruamente conto della formazione del proprio convincimento circa la consapevole e voluta destinazione dei locali all’occupazione stabile della F. per ragioni di studio, in quanto studentessa con obbligo di frequenza presso la facoltà di veterinaria dell’Università di Bari.
In particolare, con motivazione lineare e logica, il giudice di merito ha individuato gli elementi di tale convincimento nella convergenza dei seguenti dati istruttori: – la sopravvenienza del contratto di locazione in oggetto ad un precedente rapporto locativo instaurato nel settembre ‘96 tra le stesse parti, ed avente ad oggetto un posto letto in un vano del medesimo alloggio; precedente rapporto dichiaratamente instaurato per consentire alla F. di frequentare il suddetto corso di studi; – le deposizioni testimoniali circa il carattere effettivamente stabile dell’occupazione dell’appartamento da parte della F. , con la relativa intestazione delle utenze di servizio ed assorbimento di consumi non compatibili con l’utilizzo saltuario dei locali; – l’ammissione da parte della M. , in sede di interrogatorio formale, del fatto che la F. l’aveva informata che “affittava l’appartamento per motivi di studio ed in particolare per seguire il corso di laurea presso la facoltà di veterinaria di Bari”.
Ora, a fronte di tale delibazione del quadro istruttorio, le censure in esame ad altro non mirano (attraverso l’attribuzione di un diverso significato dimostrativo alle stesse emergenze processuali riscontrate dal giudice di merito: destinazione contrattuale “ad uso transitorio”; residenza anagrafica della F. in (…); asserita irrilevanza dell’obbligo di frequenza universitaria ecc.) che ad inammissibilmente suscitare in sede di legittimità una diversa valutazione probatoria idonea ad astrattamente condurre ad una diversa e più gradita ricostruzione degli aspetti fattuali, e di volontà negoziale, della vicenda.
Va in proposito richiamato il principio consolidato di legittimità, secondo cui la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento; di assumere e valutare le prove; di controllarne l’attendibilità e la concludenza; di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (ex multis, Cass. n. 8718 del 27/04/2005).
Si è inoltre stabilito (Sez. U., n. 24148 del 25/10/2013; Cass. n.12799 del 6/6/2014) che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento; non già quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati; risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione.
Nel ragionamento logico-giuridico seguito dalla corte di appello non sono individuabili i vizi qui rilevanti; trattandosi di ragionamento coerente e sufficientemente chiaro nel ricostruire la fattispecie concreta, e nel ricondurla ad una determinata disciplina normativa. E ciò non solo con riguardo alla effettiva destinazione dei locali ma anche, e principalmente, alla circostanza che tale effettiva destinazione fosse nota e fosse stata consapevolmente accettata dalla M. ; salva la sua dissimulazione al fine di stabilire un canone eccedente quello legale.
Aspetto, quest’ultimo, anch’esso risolto in maniera conforme a diritto, posto che la ripetizione delle somme eccedenti l’equo canone è stata qui disposta a favore della F. sulla base, non già di situazioni di fatto occultate dalla parte conduttrice, ovvero fatti oggetto di sua riserva mentale, bensì di un consapevole accordo iniziale tra le parti relativamente alla stabile occupazione dei locali per motivi di studio (Cass. n. 12374 del 24/05/2006).
p.2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e carenza motivazionale su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla illegittimità dell’autoriduzione del canone da parte della conduttrice.
La giurisprudenza di legittimità invocata dalla ricorrente, ed effettivamente attestante l’illegittimità dell’autoriduzione del canone da parte del conduttore, non è qui pertinente, in quanto relativa alla diversa fattispecie nella quale il conduttore operi unilateralmente tale autoriduzione ex art. 1460 cc, al di fuori della pendenza di un giudizio sulla determinazione del canone, ed a fronte dell’asserito inadempimento del locatore alle obbligazioni sue proprie (da ultimo: Cass. n. 10639 del 26/06/2012; Cass. n. 26540 del 17/12/2014); mentre, nel caso in esame, tale autoriduzione era resa legittima dalla pendenza tra le parti di una controversia avente specificamente ad oggetto la determinazione del c.d. equo canone dovuto per legge.
La corte territoriale ha dunque fatto corretta applicazione del diverso principio, in base al quale nella pendenza di siffatta controversia il conduttore è ammesso (art.45 1.392/78) a corrispondere, salvo conguaglio, l’importo non contestato; nell’esercizio di una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e sostanzialmente congrua, non concreta morosità e, dunque, ipotesi di inadempimento risolutorio (Cass. n. 9548 del 22/04/2010 ed altre).
Né tale principio potrebbe ritenersi qui escluso, come sostenuto dalla ricorrente, dalla non assoggettabilità del rapporto di locazione alla legge 392/78, essendosi già osservato come tale esenzione – nell’ipotesi di uso transitorio per ragioni di studio o di lavoro – riguardi soltanto la durata legale del rapporto, e non la misura del canone.
p.3. Con il quinto motivo di ricorso si deduce violazione di legge ex artt. 1454 codice civile e 115 cod.proc.civ., nonché carenza motivazionale in ordine ad un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice agli obblighi di manutenzione ordinaria e di pagamento integrale del canone pattuito.
La censura non può trovare accoglimento, dal momento che la corte territoriale ha escluso, in fatto, che la M. avesse provato l’inadempimento della F. all’obbligo di eseguire la manutenzione ordinaria ex art. 1576 codice civile, provocando i danni lamentati. Quanto all’asserito inadempimento rappresentato dall’autoriduzione del canone, già si è posto in evidenza come quest’ultima non integrasse morosità; vieppiù considerato che, come accertato dal giudice di merito, l’importo corrisposto dalla conduttrice, ancorché ridotto, non rispondeva ad una modalità eccessiva e temeraria di autotutela, non essendo comunque mai risultato inferiore al canone dovuto per legge, come determinato dal ctu (sent. pag.13).
Confermando, con ciò, la valutazione già resa dal tribunale, la corte di merito si è in definitiva argomentatamente pronunciata su due profili (l’inadempimento e la sua gravità risolutoria) riservati alla sua valutazione discrezionale e, come tale, esenti dal vaglio di legittimità.
Va peraltro osservato come, prima ancora di escludere – con argomentazione di merito resa ad abundantiam – l’inadempimento della conduttrice, la corte di appello abbia ravvisato (con ratio decidendi autonoma, e da sola in grado di fondare la decisione) la genericità ex articolo 342 cpc del motivo di appello formulato dalla M. avverso la decisione resa sul punto dal tribunale. Ebbene, tale statuizione di inammissibilità “in rito” del motivo di appello (sent. pag.15) non è stata censurata nella presente sede di legittimità.
Ciò depone per la radicale inammissibilità anche del presente motivo di ricorso, posto che: “il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti.
Ne consegue che, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione” (Cass. SSUU n. 7931 del 29/03/2013).
p.4. Con il sesto motivo di ricorso si deduce violazione di legge ex articolo 2 legge 431/98 nonché carenza motivazionale su un punto decisivo della controversia, rappresentato dall’asserito diritto del conduttore di proporre domanda di ripetizione dell’indebito per i maggiori canoni pagati anche in relazione al periodo di rinnovazione del rapporto successivo all’entrata in vigore della disposizione testé citata, introduttiva della regola della libera determinazione del canone.
Il motivo non può trovare accoglimento, non avendo la ricorrente preso specifica ed argomentata posizione nei confronti del recepimento da parte della corte territoriale dell’orientamento di legittimità (Cass. n.12996 del 05/06/2009), secondo cui: “nel caso di pendenza, alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1998, di un contratto di locazione ad uso abitativo con canone convenzionale ultralegale rispetto a quello c.d. equo da determinarsi ai sensi degli artt. 12 e segg. della legge n. 392 del 1978, qualora sia intervenuta la sua rinnovazione tacita ai sensi dell’art. 2, comma 6, della legge n. 431 del 1998, il conduttore – in difetto di una norma che disponga l’abrogazione dell’art. 19 della menzionata legge n. 392 del 1978 in via retroattiva o precluda l’esercizio delle azioni dirette a rivendicare la nullità di pattuizioni relative ai contratti in corso alla suddetta data – è da considerarsi legittimato, in relazione al disposto del comma 5 dell’art. 14 della medesima legge n. 431 del 1998, ad esercitare l’azione prevista dall’indicato art. 19 diretta a rivendicare l’applicazione, a decorrere dall’origine del contratto e fino alla sua naturale scadenza venutasi a verificare successivamente alla stessa data in difetto di idonea disdetta, del canone legale con la sua sostituzione imperativa, ai sensi dell’art. 1339 cod. civ., al pregresso canone convenzionale illegittimamente pattuito.
Tale sostituzione, in ipotesi di accoglimento dell’azione, dispiega i suoi effetti anche con riferimento al periodo successivo alla rinnovazione tacita avvenuta nella vigenza della legge n. 431 del 1998″.
Si tratta di affermazione esattamente in termini con la presente fattispecie, ed alla quale la ricorrente nulla ha contrapposto, se non mediante la citazione di taluni precedenti giurisprudenziali di merito formatisi prima del suddetto orientamento; e non in grado di far venir meno le ragioni a quest’ultimo sottese.
p.5. Con il settimo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 79 legge 392/78, nonché carenza motivazionale; ciò per avere la corte di appello omesso di considerare sia la decadenza della conduttrice dalla proposizione dell’azione di ripetizione dei maggiori canoni versati sia, in ogni caso, la prescrizione del relativo diritto.
Il presente motivo difetta di specificità ed autosufficienza ex articolo 366, primo comma, n. 6) cod.proc.civ., poiché esso non indica se, ed in quale sede processuale, siano state ritualmente eccepite dalla locatrice la decadenza e la prescrizione del diritto avversario alla ripetizione dei canoni.
Il richiamo a quanto “riportato dal ricorrente sin dall’atto introduttivo” (ric. pag. 26) non soddisfa il requisito in oggetto, in quanto palesemente indeterminato. Ciò a maggior ragione considerando che, indipendentemente dalla rituale opposizione di tali eccezioni già nel corso del primo grado di giudizio, il loro (esplicito ovvero implicito) rigetto da parte del primo giudice, ne avrebbe comunque imposto la riproposizione in sede di gravame mediante la formulazione di uno specifico motivo di appello; del quale però né il ricorso né la sentenza qui impugnata fanno menzione, così da legittimare il convincimento che si verta di eccezioni preliminari di merito proposte per la prima volta proprio nella presente sede di legittimità, così come opposto dalla controricorrente.
Se così non fosse, era comunque onere della ricorrente formulare la censura sotto il profilo dell’omessa pronuncia da parte della corte di appello su un motivo di gravame ritualmente e specificamente portato alla sua attenzione. In difetto di tutto ciò, la censura non può che essere dichiarata inammissibile.
p.6. Con l’ottavo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e carenza motivazionale su un punto decisivo della controversia, costituito dall’insussistenza del diritto della conduttrice ad ottenere la restituzione della cauzione, con i relativi interessi, stante la tardiva proposizione della relativa domanda e, comunque, l’inadempimento contrattuale al quale la stessa conduttrice aveva dato corso.
Anche questa doglianza è mal posta, atteso che con essa si lamenta l’erroneo accoglimento di una domanda (quella di condanna della locatrice alla restituzione del deposito cauzionale) che, in realtà, non è stata affatto accolta dal tribunale (a differenza di quella relativa alla corresponsione degli interessi sul medesimo deposito cauzionale); bensì fatta oggetto di pronuncia di cessazione della materia del contendere (v. ric. pag. 5). Né risulta che tale pronuncia sia stata riformata in appello, con riconoscimento del relativo diritto a favore della F. .
Quanto alla parte di censura riferita ai soli interessi sulla cauzione, basterà rilevare come il fatto impeditivo al riconoscimento di tali interessi qui ancora opposto dalla ricorrente (grave e plurimo inadempimento della conduttrice), sia stato ormai definitivamente ed insindacabilmente escluso dal giudice di merito: sia per quanto concerne la mancata esecuzione della manutenzione ordinaria, sia per quanto concerne la legittima autoriduzione del canone.
p.7. Con il nono motivo di ricorso si deduce violazione degli articoli 9 legge 392/78 e 1591 cod.civ., nonché carenza motivazionale sulla determinazione dell’equo canone, posto che la consulenza tecnica d’ufficio, recepita dal giudice di merito, non aveva tenuto conto che nel canone pattuito rientravano altresì gli oneri condominiali ed accessori.
Il giudizio di determinazione dell’equo canone rientra tra gli accertamenti del giudice di merito il quale, nella specie, ha fatto ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio svoltasi nel pieno contraddittorio delle parti.
La doglianza in esame deve dunque anch’essa ritenersi inammissibile perché: – involgente una tipica quaestio facti; priva di ogni specificazione (mediante indicazione dei passaggi rilevanti e dagli accertamenti svolti dalla consulenza tecnica d’ufficio sul punto in oggetto) dalla quale possa desumersi che effettivamente il canone contrattuale preso a riferimento dal consulente del giudice fosse comprensivo degli oneri condominiali e accessori; – altresì priva di qualsivoglia indicazione circa il fatto che le conclusioni peritali siano state contestate dalla locatrice già avanti al tribunale e, poi, in appello (in assenza di ciò, la questione risulta ormai coperta da giudicato).
p.8. Con il decimo motivo di ricorso la M. lamenta violazione di legge e carenza motivazionale sulla esorbitante liquidazione delle spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio; non proporzionata al valore della causa ed al fatto che quest’ultima era “priva di qualsivoglia complessità per le questioni giuridiche ivi affrontate”.
La censura è inammissibile, poiché non tiene minimamente conto della argomentata motivazione con la quale la corte di appello ha respinto il settimo motivo di gravame proposto dalla M. in punto liquidazione delle spese processuali.
In particolare, tale liquidazione è stata ritenuta, con riguardo al primo grado di giudizio, del tutto congrua dalla corte territoriale, posto che (sent. appello pag. 17): – il valore della controversia non era dato dall’importo dei canoni ultralegali di Euro 9508,79 di cui si chiedeva la ripetizione, bensì da due cause riunite di valore indeterminato, e recanti ognuna di esse una pluralità di domande principali e riconvenzionali; – il procedimento per convalida di sfratto si caratterizzava per la presenza di una duplice fase, sommaria e di merito; – l’andamento processuale aveva imposto una complessa attività istruttoria, sia orale sia peritale.
Tutto ciò deponeva, nell’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, per la congruità delle spese liquidate dal tribunale (in complessivi Euro 3070,97, per la quota non compensata del 50%) sulla base dei parametri tariffari.
A fronte di ciò, la ricorrente si limita ad apoditticamente affermare la “semplicità” del contenzioso, senza peraltro ancorare la censura alla violazione dei criteri normativi di tariffa né, soprattutto, alla confutazione critica dei plurimi parametri di liquidazione così adottati dal giudice di appello.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione che si liquidano, come in dispositivo, ai sensi del DM 10 marzo 2014 n.55.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.