La richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (Consiglio di Stato, Sezione IV, Sentenza 9 febbraio 2018, n. 829).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

con l’intervento dei magistrati:

Dott. Vito Poli – Presidente

Dott. Luca Lamberti – Consigliere

Dott.ssa Daniela Di Carlo – Consigliere

Dott. Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore

Dott. Nicola D’Angelo – Consigliere

ha pronunciato la presente

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 6336 del 2012, proposto dalla signora Pa. Bu., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Mi., con domicilio eletto presso lo studio Fa. Br. Ma. in Roma, via (…);

contro

Ministero dell’economia e delle finanze e Agenzia delle dogane e dei monopoli, ciascuno in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);

nei confronti di

An. Ma. Sa., rappresentata e difesa dagli avvocati An. Za. e Da. Ed., con domicilio eletto presso lo studio En. Ca. in Roma, via (…);

Ra. Ca., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per le Marche – Sezione I – n. 79 del 27 gennaio 2012, resa tra le parti, concernente revoca/decadenza della autorizzazione-licenza di rivendita ordinaria di tabacchi n. (omissis).

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli nonché della signora An. Ma. Sa.;

Visto l’appello incidentale proposto dalla signora An. Ma. Sa.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 gennaio 2018 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati Mi. e Fi. (Avv.to dello Stato);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e Diritto

1. Con ricorso ex art. 21-bis della l. n. 1034/1971 la Sig.ra Pa. Bu. – titolare di una struttura turistico-ricettiva in (omissis) (PU) località (omissis) – impugnava il diniego opposto dall’Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) all’istanza del 21.11.2008/24.11.2008 presentata dalla stessa.

1.1. Con sentenza n. 933 del 2009 il T.a.r. per le Marche, respingendo il ricorso, osservava incidentalmente che la ricorrente aveva a disposizione altri strumenti di tutela, fra cui la possibilità di sollecitare l’Amministrazione intimata a dichiarare la decadenza a carico del titolare della rivendita n. (omissis).

2. La sig.ra Bu. rivolgeva pertanto, in data 13.01.2010, formale istanza all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (sede di Ancona, in prosieguo AAMS), affinché venisse dichiarata la revoca e/o decadenza della concessione di rivendita ordinaria di tabacchi e generi di monopolio (la n. (omissis)) rilasciata alla sig.ra An. Ma. Sa. (poi ceduta alla Sig.ra Ca. Ra.), deducendo ed elencando all’uopo una serie di inadempienze agli obblighi scaturenti dalla concessione che la contro interessata avrebbe asseritamente posto in essere negli anni precedenti.

2.1. Con ricorso proposto al medesimo T.a.r., la Sig.ra Bu. impugnava il provvedimento di cui alla nota prot.9528/MO datata 17.03.2010 con cui l’AAMS, sede di Ancona, aveva stabilito di non poter esaminare l’esposto perché proveniente da soggetto privo di legittimazione.

2.2. Con ordinanza cautelare n. 573/2010 l’adito T.a.r. ordinava all’Amministrazione resistente di riesaminare nel merito l’istanza di autotutela.

2.3. Con un primo atto di motivi aggiunti, depositato il 7 settembre 2010, la sig.ra Bu. precisava ulteriormente le proprie doglianze anche alla luce dei documenti versati in atti da AAMS e dalla contro interessata.

2.4. L’AAMS di Ancona, in esecuzione della predetta ordinanza cautelare, respingeva nel merito l’istanza 13.01.2010 negando alla ricorrente l’invocata revoca/decadenza della autorizzazione alla rivendita rilasciata alla sig.ra Sa. (nota prot. 9258/MO in data 17.03.2010).

2.5. Con un secondo atto di motivi aggiunti del 26 gennaio 2011 la ricorrente impugnava anche tale provvedimento a contenuto negativo.

2.6. Infine, con l’atto di motivi aggiunti del 25 novembre 2011 la ricorrente impugnava il contratto – stipulato a trattativa privata, ai sensi dell’art. 31 l. n. 1293/1957, fra l’amministrazione e la sig.ra Ra. Ca. – il decreto di approvazione del contratto medesimo e la licenza di esercizio n. 241 del 15 settembre 2010.

3. Il T.a.r. per le Marche – dopo aver ingiunto alla resistente, con ordinanza n. 505/2011, il rilascio delle copie del provvedimento di autorizzazione al subentro di Ra. Ca. nella gestione della rivendita n. (omissis) e del relativo contratto stipulato fra le parti ex art. 31 legge n. 1293/1957 – all’udienza pubblica del 12 gennaio 2012 ha pronunciato la sentenza n. 79 del 27 gennaio 2012, con cui ha respinto nel merito il ricorso della Sig.ra Bu..

In particolare, il Giudice di primo grado, affermata in via preliminare la legittimazione della ricorrente a chiedere l’adozione di un provvedimento di decadenza della concessione intestata alla contro interessata, ha ritenuto prive di fondatezza tutte le censure avanzate nel ricorso principale, compensando fra le parti le spese di lite.

4. La sig.ra Bu. ha impugnato la pronuncia di primo grado, chiedendone l’annullamento sulla base dei seguenti motivi:

a) vizio della pronuncia per carenza di motivazione – violazione di legge dell’art. 3 l. 241/90 ed eccesso di potere per difetto di motivazione;

b) erroneità della pronuncia – violazione artt. 8 e 31 legge n. 1293/1957, art. 63 D.P.R. n. 1074/1958 e artt.2 e 6 del capitolato d’oneri;

c) erroneità della pronuncia – violazione artt. 8, 29 e 31 legge n. 1293/1957, art. 63 D.P.R. n. 1074/1958 nonché artt. 2 e 6 del capitolato d’oneri;

d) erroneità della pronuncia – violazione art. 31 legge n. 1293/1957 e dell’art. 69 D.P.R. n. 1074/1958 in relazione al passaggio della rivendita – travisamento della rivendita – travisamento dei fatti in ordine alla valutazione dei presupposti per il rilascio dell’autorizzazione alla cessione della rivendita – illegittimità derivata del contratto a trattiva privata, di tutti gli atti presupposti, collegati e conseguenti.

5. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, contestando la fondatezza del gravame ed eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione passiva del Ministero, del quale è stata chiesta l’estromissione dal giudizio.

6. Si è costituita in giudizio la sig.ra Sa., opponendosi all’appello e chiedendone il rigetto. La stessa ha presentato contestualmente appello incidentale, impugnando la sentenza di primo grado per i seguenti motivi:

a) omessa dichiarazione del difetto di legittimazione attiva in capo alla signora Bu. Pa.;

b) erroneità della pronuncia di primo grado laddove ha compensato le spese del giudizio tra le parti;

c) domanda di condanna per lite temeraria della sig.ra Bu. ex artt. 30 c.p.a. e 96 c.p.c..

7. L’appellante Bu. depositava ulteriore memoria in data 2.01.2018.

8. All’udienza del 25 gennaio 2018 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

9. Seguendo la tassonomia propria delle questioni, è preliminare l’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, sotto il profilo della carenza di interesse ad agire e legittimazione della signora Bu., disattesa dall’impugnata sentenza e riproposta criticamente nel primo motivo dell’appello incidentale.

9.1. Al riguardo, l’appellata – appellante in via incidentale Sa. – sostiene che andrebbe esclusa la legittimazione attiva della sig.ra Bu. in quanto la stessa riveste una posizione tale che non potrebbe direttamente e automaticamente beneficiare della cessazione del rapporto tra la P.A. e il terzo concessionario. Si sostiene, infatti, che l’eventuale revoca interesserebbe solo la titolarità della rivendita, non certo l’esistenza della rivendita n. (omissis) che persisterebbe.

Invero, l’eventuale vacanza di titolarità obbligherebbe certamente l’Amministrazione a provvedere al ripristino della stessa nei modi previsti dalla normativa (art. 28 della l. 1293 del 22 dicembre 1957; art. 7 della l. n. 25 del 29 gennaio 1986) e, solo nell’impossibilità di provvedere in uno dei modi suddetti, essa avrebbe la facoltà di riassegnare la rivendita mediante asta pubblica (artt. 56 e 51 del d.P.R. n. 1074 del 14 ottobre 1958).

Non sarebbe configurabile qualsivoglia nesso diretto tra la revoca della titolarità della concessione alla signora Sa. An. Ma. e l’assegnazione alla signora Bu. Pa. d’una rivendita ordinaria di generi di monopolio.

9.2. Il Collegio ritiene fondato il primo motivo dell’appello incidentale, sebbene in virtù di un percorso argomentativo in parte divergente da quello proposto.

9.3. Come chiarito dall’Adunanza plenaria n. 9 del 2014, “il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l’instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, ma anche che non appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius”.

Ebbene, fermo rimanendo l’accertamento delle ordinarie condizioni dell’azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam), assume importanza centrale proprio il riscontro dell’interesse ad agire che presuppone l’inadempimento dell’obbligo di provvedere. Invero, in linea generale, perché si radichi l’interesse, è necessario che sia configurabile un obbligo di provvedere, un termine (officioso, perché individuato in via immediata dalla disciplina di settore, ovvero ritraibile dalla presenza di una istanza di parte non evasa nei termini direttamente o indirettamente divisati dall’art. 2, l. 241 del 1990) e la sua violazione (in termini è la costante giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4309; sez. V, 4 agosto 2014, n. 4143; sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561; sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511; sez. V, 27 giugno 2012, n. 3787; Cons. giust. amm., 26 aprile 2012, n. 430; Cons. giust. amm., 19 aprile 2012, n. 396; Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2010, n. 1468 e n. 1469; sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351; Corte cost., 17 luglio 2002, n. 355).

9.3. Tuttavia, l’obbligo di procedere a carico dell’amministrazione (e simmetricamente la legittimazione al ricorso della parte che agisce in giudizio) non si configura, tra i vari casi enucleati dalla giurisprudenza, a fronte di sollecitazioni all’adozione di provvedimenti di autotutela.

Invero, i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi l’adozione dell’atto.

Da ciò ne deriva che la richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 6 settembre 2017, n. 380; Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2016, n. 4642; Id., 22 gennaio 2015 n. 273; Id., 3 ottobre 2012, n. 5199; sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469; sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4227; sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 4453; sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.; in particolare su: istanza di riesame di un provvedimento edilizio, sez. V, 17 giugno 2014 n. 3095; istanza di riesame, annullamento o revoca d’ufficio di un provvedimento divenuto inoppugnabile per mancata tempestiva impugnazione, sez. III, 22 ottobre 2009 n. 1658, sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7250, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1610).

Coerentemente, del resto, si ritiene che il denunciante non assuma la veste di contro interessato nel giudizio instaurato dal destinatario dell’ordine di demolizione ovvero del diniego del titolo edilizio seguito a tale denuncia vantando un interesse di mero fatto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5198 del 2016).

9.4. In senso contrario non possono valere le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in ordine alla doverosità della decisione, da parte del comune, sull’esercizio di poteri repressivi, sollecitato da terzi, in materia di D.I.A. – S.C.I.A. (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 625 del 2017 che fa leva sulla unicità del rimedio, ex art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, stante l’impossibilità di impugnativa diretta della D.I.A. da parte del terzo leso; in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 3281 del 2017); ovvero da parte delle autorità amministrative indipendenti (in relazione alle quali, comunque, la giurisprudenza richiede, ai fini della legittimazione, la prova del danno derivante al terzo dal mancato esercizio del potere di reprimere una attività direttamente lesiva della propria sfera giuridica, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ordinanza cautelare 7 dicembre 2011, n. 5364; sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751; sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4597).

La natura eccezionale di tali fattispecie, disciplinate da specifiche normative, impedisce di estendere analogicamente tali previsioni in deroga ai principi generali sopra richiamati.

9.5. Più in generale, si ribadisce l’impossibilità di configurare la tutela del c.d. interesse strumentale nell’attuale ordinamento del processo amministrativo, caratterizzato dalla peculiare disciplina delle condizioni delle azioni (in particolare interesse ad agire e legittimazione), che mira alla realizzazione del giusto processo ex art. 111 Cost..

Univoca è la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, specie §§ 5 ss., e 9.2. ss.; Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 272, oltre alla già menzionata Ad. plen. n. 9 del 2014) nel senso:

a) di non consentire la tutela del c.d. interesse strumentale perché in contrasto con le esigenze di evitare l’abuso del processo ed il sindacato su poteri non ancora esercitati dalla amministrazione;

b) di considerare il processo quale risorsa scarsa da attingere solo dopo essere stato superato il filtro delle condizioni dell’azione in cui è insito un giudizio di meritevolezza della pretesa;

c) di esigere che il processo sia volto a tutelare interessi concreti ed attuali e non futuri ed incerti, di mero fatto quando non emulativi, per giunta rimessi ad una incoercibile nuova determinazione dell’Amministrazione.

9.6. Da tutto quanto considerato deriva l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del diniego di autotutela oggetto del presente giudizio.

9.7. Invero, l’interesse dell’appellante-ricorrente in primo grado a vedere revocata o decaduta la concessione di rivendita ordinaria di tabacchi e generi di monopolio (n. (omissis)) rilasciata alla sig.ra Sa. An. Ma. (poi ceduta alla signora Ra. Ca.) deve essere qualificato come di mero fatto, tale, pertanto, da non essere sufficiente a fondare la legittimazione ad agire da parte dell’istante nel presente giudizio.

10. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado discende l’improcedibilità dei tre atti di motivi aggiunti al ricorso medesimo e dell’appello principale.

11. La pronuncia sulle spese del doppio grado di giudizio, conseguenza inevitabile dell’accoglimento dell’appello proposto dalla signora Sa., rende superfluo (e dunque improcedibile), l’esame del secondo motivo dell’appello incidentale, afferente all’erroneità della pronuncia di primo grado laddove ha compensato le spese del giudizio tra le parti.

12. Non può trovare accoglimento, infine, il terzo motivo dell’appello incidentale, volto ad ottenere la condanna della signora Bu., per lite temeraria, al risarcimento dei danni da determinarsi in via equitativa: invero, in assenza di prova specifica del danno subito in conseguenza della lamentata condotta processuale – che costituisce elemento essenziale della fattispecie disciplinata dall’art. 96, comma 1, c.p.c. (cfr. ex plurimis Cass., sez. lav., 2 dicembre 2015, n. 24526, secondo cui la parte istante “….deve altresì assolvere all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato….”) – la domanda deve ritenersi infondata.

13. Le spese di ambedue i gradi di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, comma 1, c.p.a., ricorrendone i presupposti applicativi, anche in relazione ai profili di sinteticità e chiarezza, secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462; sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757; sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733; sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, 2 novembre 2016; sez. VI, 12 maggio 2017, n. 11939)].

14. La condanna dell’appellante principale, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 6336/2012), come in epigrafe proposto:

a) accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado e improcedibili i tre atti di motivi aggiunti;

b) dichiara improcedibile l’appello principale;

c) condanna la signora Pa. Bu. alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 6.000,00 (seimila/00), in favore di ciascuna parte costituita, anche ai sensi dell’art. 26, comma 1 c.p.a., oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018.

Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2018.