Legittimato ad impugnare un provvedimento di sequestro in caso di bene in leasing è il concedente e non l’utilizzatore (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 24 gennaio 2018, n. 3295).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente

Dott. GENTILI Andrea – rel. Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Mar – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 224/16 RR reali del Tribunale di Lamezia Terme del 23 dicembre 2016;

letti gli atti di causa, ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FIMIANI Pasquale, il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 12 dicembre 2016, ha rigettato la richiesta di riesame presentata dal (OMISSIS) avverso il decreto con il quale il Gip del medesimo Tribunale aveva disposto il sequestro preventivo, per quanto ora interessa, finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni riferibili all’ (OMISSIS), sino alla concorrenza di Euro 1.817.097,35.

Il Tribunale, nel rigettare la richiesta di riesame, avendo premesso che l’ (OMISSIS) e’ indagato, in qualita’ di amministratore unico della (OMISSIS) Srl, per avere, relativamente agli anni di imposta 2011, 2012 e 2013, indicato, al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, nelle dichiarazioni dei redditi concernenti i predetti anni di imposta, elementi passivi inesistenti, ha osservato che le censure mosse dal ricorrente in sede di riesame cautelare avevano ad oggetto non tanto la sussistenza del fumus delicti, quanto le modalita’ e l’oggetto su cui era stato eseguito il sequestro; in relazione a cio’ il Tribunale ha considerato, quanto alla esecuzione del sequestro sui beni dell’indagato e non su quelli della Societa’, che deve ritenersi che sia stata compiuta da parte di coloro i quali hanno materialmente eseguito il sequestro una preventiva verifica in relazione alla esistenza o meno di beni di immediata spettanza societaria da sottoporre a sequestro, tanto piu’ che di tale esistenza il ricorrente non ha fornito alcun elemento dimostrativo.

Il Tribunale ha aggiunto che legittimamente il sequestro e’ stato eseguito su di una vettura in uso all’ (OMISSIS), sebbene la stessa fosse stata a lui concessa in leasing, in quanto il provvedimento impugnato ha ad oggetto non la confisca dell’autoveicolo ma la sola sua sottrazione alla disponibilita’ dell’indagato.

Infine con riferimento all’attivo di conto corrente bancario intestato all’ (OMISSIS), anch’esso attinto dal provvedimento di sequestro, poco rileva, ha concluso il Tribunale, che il detto rapporto fosse cointestato anche ad altro soggetto, posto che e’ indiscusso che le somme depositate sul conto in questione erano nella integrale disponibilita’ dell’ (OMISSIS).

Avverso la predetta ordinanza ha interposto ricorso per cassazione l’ (OMISSIS), assistito dal proprio difensore di fiducia, articolando tre motivi di impugnazione.

Col primo di essi il ricorrente ha dedotto la violazione di legge per avere il Tribunale del riesame valutato anche la ricorrenza del fumus delicti, sebbene il ricorso avesse ad oggetto esclusivamente la individuazione dell’oggetto del ricorso.

Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato la motivazione del ricorso sul presupposto che la stessa fosse difettiva in quanto contraddittoria, insufficiente, erronea o illogica. Cio’ con riferimento per un verso al fatto che i beni siano stati sequestrati in danno della ditta individuale condotta dall’ (OMISSIS), sebbene il sequestro fosse stato disposto a carico della (OMISSIS) in via prioritaria e solo in via subordinata sui beni dell’indagato e comunque non su quelli della ditta da lui gestita; per altro verso il ricorso e’ stato argomentato con riferimento al fatto che sia stata sequestrata anche un autovettura della quale l’ (OMISSIS) non era il proprietario ma semplicemente l’utilizzatore, essendo stata la stessa a lui concessa in leasing: sul punto il Tribunale non avrebbe fornito alcuna motivazione e non avrebbe tenuto conto della impossibilita’ di procedere alla successiva eventuale confisca del bene essendo questo in titolarità ad un soggetto estraneo al reato.

Sempre in relazione al secondo motivo di impugnazione, il ricorrente ha, altresi’, lamentato il fatto che sia stato sequestrato un rapporto di conto corrente e non le somme depositate presso l’istituto di credito in forza di esso; somme, peraltro, non suscettibili di essere ablate in quanto la cointestazione del conto corrente a piu’ soggetti ne avrebbe escluso la integrale sequestrabilita’ in relazione alla posizione di uno solo di essi.

Col terzo motivo di impugnazione il ricorrente ha censurato la ordinanza impugnata essendo stato eseguito il sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente, sebbene sarebbe stato possibile eseguirlo prioritariamente in forma strumentale alla confisca diretta, sui beni della (OMISSIS) costituenti il profitto del reato in discorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato e’, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.

Invero, con riferimento alle censure dedotte dall’ (OMISSIS), rileva il Collegio, quanto alla prima, che la stessa e’ palesemente inammissibile atteso che il Tribunale nel suo provvedimento da’ chiaramente atto che il fumus delicti deve darsi per pacificamente acquisito, quanto meno in questa fase cautelare, in quanto su di esso e sulla sua ricorrenza l’indagato non ha formulato questioni di sorta, avendo esclusivamente censurato la individuazione dell’oggetto materiale del sequestro.

Nessuna pronunzia essendo stata espressa in merito alla sussistenza del fumus, essendo stato esclusivamente rilevato che la questione non in ordine alla sua sussistenza non era stata sollevata, non puo’ affermarsi la esistenza di qualsivoglia ultrapetizione laddove il Tribunale si sia limitato a dare atto di cio’.

Deve, peraltro, rilevarsi la inammissibilita’ della doglianza, per come argomentata anche sotto il profilo della carenza di interesse del ricorrente, posto che, in ogni caso, una eventuale affermazione della sussistenza del fumus delicti potrebbe spiegare i suoi effetti esclusivamente nella presente fase cautelare – in relazione alla quale, tuttavia, le ragioni di rigetto della richiesta di riesame si sono fondate su ben altri argomenti – senza che la stessa possa incidere sulla successiva fase di merito del giudizio, stante la autonomia, rispetto alla decisione definitiva sulla responsabilità penale dell’attuale indagato, della fase cautelare del processo (sulla autonomia del giudizio cautelare rispetto a quello di merito in relazione alla verifica del fumus delicti: Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 8 maggio 2017, n. 22231).

Passando al secondo motivo di impugnazione, articolato su tre profili specifici, osserva il Collegio che, relativamente al primo, afferente alla esecuzione del provvedimento cautelare reale su beni asseritamente riferiti alla ditta individuale dell’ (OMISSIS), al di la’ della manifesta genericita’ del motivo – non essendo in alcun modo esplicitate le ragioni per le quali i beni staggiati sarebbero funzionali allo svolgimento della attività di impresa dell’ (OMISSIS) – se ne rileva la manifesta infondatezza.

Infatti i beni strumentali all’esercizio della impresa individuale, tali dovendosi ritenere i beni pertinenti a quella che il ricorrente ha definito la “ditta individuale (OMISSIS)”, non godono di alcuna autonomia, ai fini del diritto penale, rispetto alla restante porzione dei beni personali dell’indagato, per cui, trattandosi di beni ordinariamente suscettibili di essere oggetto, ricorrendone i restanti presupposti, di confisca per equivalente, gli stessi ben possono essere attinti dal provvedimento di sequestro preventivo finalizzato all’eventuale adozione del provvedimento ablatorio definitivo.

Il fatto, poi, che il sequestro de quo sia stato oggetto di annotazione presso la Camera di commercio costituisce fattore che, se indebitamente intervenuto, non giustificherebbe la impugnazione del provvedimento genetico ma esclusivamente la modalità materiali di sua esecuzione, per le quali non vi e’ spazio per il ricorso al giudice della cautela, dovendo il soggetto che si lamenti danneggiato da esse rivolgersi al Pm, organo che ha curato l’attuazione della misura, rientrando nelle prerogative di quest’ultimo trattare ogni questione concernente l’esecuzione del sequestro, potendo il giudice essere attivato, solo successivamente, in relazione alla verifica della legittimità o meno della risposta fornita dal Pm alla richiesta a lui fatta in merito alle materiali modalità di attuazione della misura (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 18 luglio 2016, n. 30405).

Relativamente alla censura avente ad oggetto la insequestrabilita’ della autovettura in uso al ricorrente, essendo stata la stessa concessa in uso al predetto in forza di un contratto di leasing, rileva la Corte la inammissibilita’ del profilo di lagnanza dedotto dal ricorrente stante la carenza di interesse in suo favore sul punto dedotto.

Invero, sebbene sia stato in diverse occasioni affermato, ed anche ribadito, da questa Corte il principio secondo il quale il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, non puo’ avere ad oggetto beni che l’imputato detiene in virtu’ di un contratto di leasing, dovendo questi ultimi ritenersi appartenenti a terzi estranei al reato (ex multis: Corte di cassazione, Sezione 6 penale, 29 gennaio 2013, n. 4297; idem Sezione 3 penale, 14 settembre 2012, n. 35473; idem Sezione 1 penale, 15 novembre 2012, n. 44516), deve, tuttavia, rilevarsi che soggetto legittimato a fare valere siffatta insequestrabilita’ non e’ l’utilizzatore del bene, bensi’ il concedente (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 11 gennaio 2013, n. 1475).

Posto, infatti, che la ratio della impossibilita’ di sottoporre a sequestro a carico dell’utilizzatore il bene da costui detenuto in forza di un contratto di lesing, ove non sia dimostrata la mala fede del concedente, risiede nel fatto che il bene stesso non e’ appartenente al destinatario del sequestro ma ad un terzo soggetto, ne deriva, quale ineludibile conseguenza, che eventuale titolare del diritto alla restituzione del bene, in caso di revoca o annullamento del provvedimento cautelare, sia il soggetto che vanti un diritto assoluto sul bene stesso, quindi, con riferimento ad una fattispecie del tipo di quella ora in esame, il concedente.

Cio’ posto, considerato che legittimato ad impugnare un provvedimento di sequestro e’ chi avrebbe diritto alla restituzione del bene (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, 18 maggio 2017, n. 22231; idem Sezione 3 penale, 19 agosto 2016, n. 35072), in una fattispecie quale la presente siffatta legittimazione compete esclusivamente al concedente, di tal che il ricorso proposto in tal senso dall’ (OMISSIS), mero utilizzatore, e’ inammissibile.

Quanto al profilo della esecuzione del sequestro sulle somme di danaro oggetto di conto corrente bancario cointestato, va, anche qui, confermata la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale e’ sufficiente, onde giustificare la esecuzione del sequestro sui beni di un determinato soggetto, che questi abbia la immediata disponibilità di essi, sicche’, come appunto già affermato da questa Corte, con orientamento del tutto condiviso, va ulteriormente ribadito che le somme di denaro, depositate su conto corrente bancario cointestato con un soggetto estraneo al reato, sono soggette a sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, in quanto quest’ultimo si estende ai beni comunque nella disponibilità dell’indagato, non ostandovi le limitazioni provenienti da vincoli o presunzioni operanti, in forza della normativa civilistica, nel rapporto di solidarietà tra creditori e debitori articolo 1289 c.c. – o nel rapporto tra istituto bancario e soggetto depositante – articolo 1834 c.c. (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 6 dicembre 2011, n. 45353; idem Sezione 6 penale, 17 novembre 2008, n. 42819).

Con riferimento, infine al terzo motivo di impugnazione, col il quale e’ lamentata la omessa preventiva verifica della possibilità, prima di procedere al sequestro per equivalente dei beni dell’ (OMISSIS), di eseguire il provvedimento cautelare sui beni della società da questo gestita, eventuale diretta beneficiaria del profitto del reato in provvisoria contestazione a carico dell’odierno ricorrente, rileva il Collegio come al riguardo – dovendosi in tal senso la motivazione del presente provvedimento discostarsi in parte rispetto alle ragioni addotte dal Tribunale onde respingere il relativo motivo di riesame, non potendosi affermare, come invece fatto dal Tribunale, che esista una sorta di presunzione di verifica da parte di chi abbia eseguito il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in ordine alla insussistenza di beni sui quali procedere nella forma del sequestro diretto – valga il principio, già ricostruito da questa Corte, secondo il quale, quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto, non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 28 settembre 2016, n. 40362).

Poiche’ nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun bene, immediatamente riferibile alla (OMISSIS) Srl e suscettibile di essere considerato costituente il profitto del reato, sul quale si sarebbe potuto eseguire il sequestro diretto, il motivo di impugnazione ora in esame va dichiarato infondato.

Alla derivante dichiarazione di infondatezza del presente ricorso fa seguito, oltre al suo rigetto, visto l’articolo 616 c.p.p., anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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