Maresciallo dei Carabinieri, comandante di stazione, ruba energia elettrica per 500 euro sottraendola a quella fornita dalla società erogatrice alla stazione dei CC. anzidetta mediante allacciamento abusivo. Condannato ad 1 anno e mesi 4 di reclusione. Rimosso dal grado.

…, omissis …

Sentenza

sul ricorso proposto da:

D’A. F.

avverso la sentenza n. 110/2015 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 25/11/2015

visti gli atti, la sentenza e il ricorso

udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/07/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott…,

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Il GUP del Tribunale Militare di Verona, con sentenza pronunciata il 10 giugno 2015 all’esito di giudizio abbreviato, condannava alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione militare ed alla rimozione del grado, D’A. F., imputato del reato di cui all’art. 230 co. 1 e 2, 231 co. 1 n. 1, 47 n. 2 c.p.m.p. (furto militare pluriaggravato per avere, quale M.llo aiutante S.U.P.S. in servizio presso la stazione CC. di OMISSIS .., in qualità di comandante della stazione, nei mesi da aprile 2014 a luglio 2014, al fine di profitto, si impossessava di energia elettrica per euro 500,00 sottraendola a quella fornita dalla società erogatrice alla stazione dei CC. anzidetta mediante allacciamento abusivo, con le aggravanti del grado, del danno cagionato alla P.A. e del mezzo fraudolento utilizzato.

Motivava il giudice di primo grado: l’allacciamento abusivo era stato accertato dal comandante della compagnia; in tale occasione era stato altresì verificato che il contatore elettrico dell’alloggio di
servizio occupato dall’imputato con la sua convivente era fuori servizio.

Risulta altresì accertato che il 28.5.2014 l’alloggio occupato dall’imputato aveva subito la interruzione della erogazione elettrica per morosità.

La condotta in parola non può che essere attribuita all’imputato e non certo alla sua convivente, la quale, in ogni caso, giammai avrebbe operato senza il consenso del prevenuto; in ogni caso la convivente dell’imputato, sin dal primo momento, ha assunto un atteggiamento collaborativo nelle indagini e questo la rende del tutto affidabile quando nega di essere al corrente dei fatti di causa.

2. Avverso la sentenza di primo grado interponeva appello l’imputato, chiedendo di applicare alla fattispecie la recente novella di cui all’art. 131 bis c.p. e deducendo: che la intestataria dell’utenza elettrica era la sig.ra A., sua convivente; che nel periodo in cui si verificò la sottrazione non era presente nell’alloggio; che ricorreva nella fattispecie il difetto di giurisdizione giacché pendente, per la vicenda in esame, iscrizione al registro generale presso la Procura della Repubblica di V. per il reato di furto aggravato, reato più grave di quello contestato, di guisa che la giurisdizione a conoscere dei fatti di causa, attesa la rilevata connessione oggettiva ex art. 12 lett. b) c.p., era da riconoscersi al giudice ordinario e non già a quello militare; che non risultava adeguatamente provata la colpevolezza del prevenuto e comunque che la sanzione inflitta si appalesava eccessivamente severa.

3. Con sentenza del 25 novembre 2015 la Corte militare di appello, pur riducendo la pena ad anni uno di reclusione, rigettava nel resto il proposto gravame.

Motivava la corte di secondo grado: quanto alla giurisdizione, la dedotta iscrizione di notizia di reato presso la procura vicentina non risulta dimostrata né in alcun modo segnalata all’autorità giudiziaria militare.

In ogni caso nella fattispecie la condotta contestata comporta la contestazione di una ipotesi di furto speciale rispetto a quella codificata ex artt. 624 e 625 c.p. e, laddove se ne creasse la necessità, si dovrebbe affidare al giudice di legittimità la eventuale risoluzione del conflitto; quanto, invece, alla colpevolezza dell’imputato, essa risulta provata al di là di ogni ragionevole dubbio; l’alloggio di servizio era nella sua disponibilità, la convivente era intestataria formale dell’utenza perché fu lo stesso imputato a fornire tale nominativo al momento della conclusione del contratto di fornitura elettrica.

Agli atti del giudizio abbreviato è provato che l’imputato è stato presente nell’alloggio di servizio durante il periodo in cui vi fu l’erogazione abusiva; dal 28.5. l’erogazione di energia elettrica nell’alloggio dì servizio fu interrotta per la morosità dell’utente, mentre l’assenza dell imputato, a tutto concedere, si verificò dal 30.6 al 13 luglio e mentre l’erogazione abusiva cessò soltanto il 18 luglio; non ricorrono affatto le condizioni per l’applicazione dell’art. 131 bis c.p..

4. Avverso la sentenza di appello ricorre per cassazione l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse ne sostiene la illegittimità sviluppando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione degli artt. 13 co. 2 e 16 co. 3 c.p.p., sul rilievo che, nella fattispecie, non ricorre “la competenza” (così in ricorso) dell’autorità giudiziaria militare, ma quella del giudice ordinario.

E’ agli atti la prova della pendenza di procedimento penale a carico dell’imputato per la medesima vicenda di cui al presente giudizio, procedimento iscritto sub n. 14/005447, e ciò impone l’applicazione dell’art. 13 co. 2 c.p.p., norma questa la quale, come è noto, disciplina la connessione tra reati militari e reati comuni, stabilendo il principio che essa connessione opera quando il reato militare è più grave avuto riguardo ai criteri di cui all’art. 16 co. 3 c.p.p., applicando i quali si deduce la giurisdizione, nella fattispecie in esame, del giudice ordinario.

Non ricorre, come affermato dal giudice a quo, alcun concorso apparente di norme, ma due diversi fatti di reato rimessi alla cognizione di due giudici diversi.

A tal fine appare dirimente la constatazione della contestazione dell’art. 81 c.p. da parte del solo giudice ordinario, il quale, per tali ragioni, è l’unico legittimato a conoscere dei fatti di causa.

5. Il ricorso è inammissibile.

6. La difesa ricorrente limita l’impugnazione alla sola questione della giurisdizione, negando in particolare che nella fattispecie ricorra quella del giudice militare.

7. Ebbene, l’eccezione difensiva appare formulata in termini di palese genericità ed è per questo manifestamente infondata giacché il ricorrente non ha affatto dimostrato il contenuto della imputazione e la pendenza del dedotto procedimento davanti al giudice ordinario, né in atti risulta documentato l’una (l’imputazione) e l’altra (la pendenza del procedimento.

7.1. Di qui la inammissibilità, innanzi anticipata, del ricorso in esame, cui consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa per le ammende, somma che la torte reputa equo fissare in euro 1.500,00.

P. Q. M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.