Mensa scolastica, frode per chi viola il capitolato nella preparazione dei pasti (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 14 aprile 2020, n. 12073).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Rel. Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Grecuccio Fernando Antonio, nato a (OMISSIS) (XX) il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 08/03/2019 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Martino Rosati;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Lecce, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna inflitta a Fernando Antonio Grecuccio dal Tribunale della stessa città il 3 marzo 2016, per il delitto di frode nelle pubbliche forniture.

Gli si addebita, nella sua qualità di legale rappresentante della ditta aggiudicataria dell’appalto per il servizio di refezione scolastica presso un comune di quella provincia, di avere utilizzato, per la preparazione dei pasti, prodotti diversi da quelli previsti nel relativo capitolato.

2. Egli ricorre per cassazione, con atto del proprio difensore, per i seguenti motivi.

2.1. Nullità della sentenza impugnata, in conseguenza dell’omessa motivazione sull’eccezione di nullità di quella di primo grado, derivata dall’illegittimo rigetto, disposto dal Tribunale con ordinanza impugnata unitamente alla sentenza, dell’istanza di rinvio dell’udienza del 24 settembre 2015, per impedimento legittimo ed assoluto del difensore.

2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione, per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Il capo d’imputazione fa espresso riferimento al «servizio di refezione scolastica ad anziani», mentre tutta l’istruttoria dibattimentale e la correlata statuizione di condanna riguardano condotte asseritamente tenute dal Grecuccio, attraverso la sua azienda, nell’espletamento del servizio di refezione scolastica.

Il Pubblico ministero non ha inteso emendare la contestazione; la società del ricorrente era assegnataria anche del servizio di refezione per gli anziani, per il quale il capitolato era differente ed è stato sempre rispettato; dunque – conclude la difesa ricorrente – la decisione della Corte distrettuale, secondo cui quello contenuto nel capo d’imputazione sarebbe un mero refuso, si presenta arbitraria ed immotivata.

2.3. Vizi di motivazione e violazione di legge, in punto di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, richiesta dalla difesa ai sensi dell’art. 603, commi 1 e 3, cod. proc. pen., ma negata da quella Corte con esclusivo riferimento al parametro di cui al comma 3, senza spiegare per quale ragione essa abbia ritenuto di essere in grado di decidere allo stato degli atti.

2.4. Violazione dell’art. 192, cod. proc. pen., e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza del reato, in quanto: l’unico testimone escusso avrebbe riferito su accertamenti non compiuti personalmente; i documenti acquisiti sarebbero inidonei a dimostrare la fornitura di alimenti diversi da quelli previsti; con fattura prodotta dall’interessato in dibattimento, è stato dimostrato il regolare approvvigionamento di alimenti biologici.

2.5. Violazione di legge e vizi della motivazione, in relazione al mancato riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, alla misura della pena ed all’esclusione della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La Corte distrettuale giustifica tali sue decisioni rinviando alle valutazioni del primo giudice e limitandosi a parlare di «reato odioso», in quanto posto in essere a danno di bambini.

Ma, al di là di tale giudizio morale, peraltro – sottolinea la difesa – relativo ad un reato non contro la persona, la sentenza non motiva sulla richiesta di attenuanti generiche.

Inoltre, quanto alla particolare tenuità del fatto, rinviando alle valutazioni del primo giudice, cade nelle medesime contraddizioni: questi, infatti, l’ha esclusa per la «gravità e pluralità delle frodi, della loro durata nel tempo, dell’intensità del dolo nell’esecuzione della frode», di cui, però, non v’è traccia nell’imputazione, poiché non sono ivi indicate né la continuazione, né circostanze aggravanti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perché, anzitutto, è manifestamente infondato.

A norma dell’art. 586, comma 1, cod. proc. pen., l’impugnazione contro le ordinanza emesse nel corso del dibattimento dev’essere proposta unitamente a quella contro la sentenza, a pena di inammissibilità.

Nel caso specifico, questo non è avvenuto, ciò che giustifica la mancanza di motivazione sul punto da parte dei giudici di appello. In ogni caso, la doglianza è generica.

La sentenza di primo grado – consultabile dal giudice di legittimità in ragione della natura processuale della questione devolutagli – illustra in dettaglio le ragioni per le quali è stata respinta l’istanza di rinvio per l’addotto impedimento del difensore ed il ricorso sorvola completamente su di esse.

2. Il secondo motivo è manifestamente destituito di fondamento. L’allegazione della divergenza tra contestazione e decisione si rivela all’evidenza pretestuosa, come la sentenza d’appello spiega adeguatamente.

Non è possibile immaginare, infatti, una «refezione scolastica ad anziani», secondo quanto recita il capo d’imputazione, essendo escluso che, tra le prestazioni oggetto dell’appalto, vi fosse quella in favore di un – improbabile – istituto scolastico per persone in età avanzata.

Si tratta, all’evidenza, di un lapsus calami, di cui la sentenza individua anche la plausibile origine nella dicitura della relativa delibera, in cui si parla di «servizio refezione scolastica/anziani», avendo essa ad oggetto l’affidamento di detto servizio sia per le scuole che per gli anziani del paese.

Inoltre, al di là di tale dicitura, occorre avere riguardo all’intero capo d’imputazione, in cui le violazioni addebitate all’imputato vengono dettagliatamente elencate con riferimento alla specifica offerta tecnica qualitativa per il servizio refettoriale scolastico, differente rispetto a quella riguardante l’analogo servizio per gli anziani.

E, proprio su tali ipotizzate violazioni, si è incentrata l’attività istruttoria dibattimentale, avendo l’interessato avuto modo, perciò, di difendersi adeguatamente.

Giova rammentare che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.

L’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto, pertanto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché, vertendosi in materia di garanzie e dì difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619).

3. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, è un istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente allorché il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, Ricci, Rv. 266820).

Ne consegue che, trattandosi, nello specifico, della riassunzione di prove già acquisite nel dibattimento di primo grado, la disciplina di riferimento è quella dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., che tanto consente solo quando il giudice ritenga «di non poter decidere allo stato degli atti»: ipotesi che ricorre unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (così, tra moltissime altre, Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228).

In ogni caso, la decisione sulla relativa istanza di parte non è autonomamente sindacabile in sede di legittimità, dovendo le eventuali censure rivolgersi alla motivazione della sentenza, laddove, in ipotesi, incompleta od illogica in ragione dell’omissione del supplemento d’istruttoria richiesto.

4. Il quarto motivo, esso pure, è inammissibile.

Laddove dubita della sufficiente capacità dimostrativa della testimonianza del funzionario della A.s.l. che ha coordinato le indagini, perché lo stesso non avrebbe partecipato direttamente alle relative attività materiali, propone una censura di mero fatto, non supportata da adeguati elementi di confutazione e, comunque, non sindacabile in questa sede.

Quanto, poi, alla valenza probatoria della produzione difensiva dibattimentale, riferibile alla somministrazione di pasti agli anziani, la relativa deduzione è priva di qualsiasi fondamento, poiché fondata anch’essa sulla fuorviante lettura della contestazione dianzi esaminata.

5. Analogo è il giudizio sul quinto motivo, in tutte le sue articolazioni.

5.1. La doglianza riguardante il diniego delle attenuanti generiche, a rigore, è motivo nuovo: nell’atto d’appello, infatti, vi si fa menzione soltanto nelle richieste finali, tuttavia non precedute, sullo specifico punto, dall’illustrazione delle relative ragioni giustificative.

Di qui, la spiegazione dell’assenza, in sentenza, di una specifica motivazione sul punto, che, tuttavia, si ravvisa – implicita ma inequivoca – in quella sottesa al diniego della particolare tenuità del fatto, trattandosi di valutazioni da condursi entrambe sulla base dei medesimi parametri dell’art. 133, cod. pen..

5.2. Sulla misura della pena, l’impugnazione è generica, limitandosi ad esprimere una manifestazione di dissenso, senza indicare specifiche ragioni critiche.

5.3. E’ del tutto infondata, invece, laddove si duole del mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto. Il delitto di frode nelle pubbliche forniture, laddove riguardi – come nella specie – contratti di somministrazione di beni o servizi, si realizza attraverso una pluralità di atti, senza tuttavia perdere la sua struttura unitaria, poiché ogni singolo inadempimento rappresenta soltanto l’aggravamento di un’offesa già inferta ed in essere, e perciò l’approfondimento di un disvalore della condotta già emerso e non, invece, un ulteriore autonomo momento di disvalore.

Ad un tempo, però, ciascuna omissione, proprio perché contribuisce ad accentuare la lesione arrecata al bene giuridico protetto dalla norma, non può consistere in un mero post factum penalmente irrilevante.

In siffatte ipotesi, dunque, il delitto di cui all’art. 356, cod. pen., assume la struttura di un reato “a consumazione prolungata”, che si realizza attraverso condotte reiterate, e comunque plurime: le une e le altre, indicate dall’art. 131- bis, comma 3, cod. pen., quali forme di manifestazione di quel «comportamento abituale», che, per espressa previsione ivi pure contenuta, esclude la possibilità di applicare la causa di non punibilità in questione, anche in caso di particolare tenuità di ciascuna singola azione od omissione.

6. Il ricorso, pertanto, dev’essere dichiarato inammissibile.

7. Ne consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in duemila euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.