No della Corte Costituzionale all’identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio. Solo microchip.

(Corte Costituzionale, sentenza 17 luglio 2013, n. 193)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani), e dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Norme regionali in materia di benessere dei giovani cani), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati il 2-4 ottobre 2012 e il 16-19 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 5 e il 22 ottobre 2012 ed iscritti al n. 132 e al n. 164 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione delle Regioni Lombardia e Veneto;

udito nell’udienza pubblica del 21 maggio 2013 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati dello Stato Filippo Bucalo e Gesualdo d’Elia per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Maria Lucia Tamborino per la Regione Lombardia, Luigi Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.− Il presente giudizio trae origine da due ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri.

2.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 2-4 ottobre 2012, ha promosso, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani).

Nel ricorso si rileva che la norma censurata sostituisce il comma 12 dell’art. 40 della legge della Regione Lombardia n. 26 del 1993 (Norme per la protezione della fauna selvatica, e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria – concernenti il periodo di allenamento e addestramento dei cani), stabilendo che l’attività di addestramento ed allenamento dei cani da caccia, sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, può iniziare fin dal primo di agosto.

Premette il ricorrente che l’attività di allenamento e addestramento dei cani è assimilabile in tutto e per tutto alla materia della caccia. Il suo svolgimento dovrebbe ritenersi consentito senza limiti di tempo solo nelle zone di addestramento all’uopo istituite dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 10, comma 8, lettera e), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio), secondo cui i piani faunistico-venatori indicano (tra l’altro) «le zone e periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare di cani anche su fauna selvatica naturale».

Il Presidente del Consiglio precisa che l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha affermato che consentire l’addestramento e l’allenamento dei cani nel periodo indicato dalla norma regionale impugnata «determina un evidente ed indesiderabile fattore di disturbo, in grado di determinare in maniera diretta e indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate» in quanto si svolge «durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici (dalla stagione degli accoppiamenti all’indipendenza della prole dalle cure parentali)», e che, pertanto, tale attività non dovrebbe essere consentita prima dell’inizio di settembre, escludendo in ogni caso i mesi che vanno da febbraio ad agosto, come chiarito nei pareri indirizzati alle regioni in merito alle proposte di calendario venatorio.

Ad avviso del ricorrente la norma regionale impugnata, prevedendo che l’attività di allenamento e addestramento dei cani possa svolgersi sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, anche in periodi di caccia chiusa, si porrebbe in netto contrasto con le citate disposizioni statali contenute nella legge n. 157 del 1992, la quale, dettando disposizioni per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale.

Il Presidente del Consiglio evidenzia, pertanto, la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.− La Regione Lombardia si è costituita in giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

La Regione preliminarmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso in quanto le argomentazioni del Presidente del Consiglio si basano su un parere dell’ISPRA che in concreto risulta essere una comunicazione di carattere personale, inviata all’on. Andrea Zanoni (deputato al Parlamento europeo) in risposta ad una sua richiesta del 10 agosto 2012, peraltro non depositata dal ricorrente.

Altro profilo di inammissibilità viene dedotto in relazione alla genericità delle censure sollevate con riguardo alla pretesa violazione dell’esclusiva competenza in materia ambientale.

La difesa della Regione, poi, contesta la lettura della norma censurata effettuata dal ricorrente, secondo la quale essa consentirebbe l’attività di addestramento anche nei periodi di caccia chiusa.

La Regione, sotto tale profilo, sostiene che l’arco temporale di svolgimento dell’attività di addestramento cani non deve necessariamente coincidere con il periodo della stagione venatoria.

Inoltre, sempre secondo la Regione, non vi sarebbe violazione di standard minimi di tutela che costituiscono limite alla potestà legislativa e regolamentare delle regioni, in quanto, per l’individuazione dei predetti standard, dovrebbe prendersi in considerazione il parere rilasciato dall’ISPRA nel 1994 «Documento orientativo sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria», inviato al Ministero dell’agricoltura e delle foreste e al Ministero dell’ambiente ai fini della successiva trasmissione alle Regioni. Tale parere del 1994 sarebbe stato pienamente rispettato dalla normativa regionale.

A ciò la difesa regionale aggiunge la considerazione della natura facoltativa e non vincolante del parere dell’ISPRA e, comunque, l’emanazione del parere invocato dal ricorrente (del 2012) in data successiva a quella della approvazione della legge regionale impugnata.

4.− In data 26 aprile 2013 la Regione ha depositato memoria difensiva, ribadendo le argomentazioni esposte nell’atto di costituzione in giudizio.

5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato il 16-19 ottobre 2012, ha sollevato, in riferimento all’articolo 117, primo comma, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Norme regionali in materia di benessere dei giovani cani).

Nel ricorso si rileva che l’art. 2, comma 2, della impugnata legge regionale fa riferimento ad un tipo di identificazione dei giovani cani, effettuata mediante tatuaggio, che contrasterebbe sia con la normativa comunitaria, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, riguardanti le metodologie per l’identificazione dei cani, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Con riferimento al primo profilo, l’art. 4, comma 1, del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26 maggio 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di Polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che modifica la Direttiva 92/65/CEE del Consiglio), prevede infatti che, dopo un periodo transitorio (di otto anni) nel corso del quale sono consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico di identificazione (cosiddetto trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012 i cani si considerano identificati solo se dotati del microchip.

Con riferimento al secondo profilo, la disposizione regionale in esame contrasterebbe, in particolare, con l’ordinanza ministeriale del 6 agosto 2008 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 194 del 20 agosto 2008 (Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina) − la cui efficacia è stata da ultimo prorogata (con ordinanza del Ministro della salute del 14 febbraio 2013, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 51 del 1° marzo 2013) fino all’adozione da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni specifiche in materia di responsabilità e doveri dei proprietari e dei detentori di animali di affezione previsti ai nn. 1, 2 e 3 dell’Accordo sancito, in materia di identificazione e registrazione della popolazione canina e comunque non oltre il termine di dodici mesi, dalla Conferenza unificata del 24 gennaio 2013, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali) – che dispone, all’art. 1, comma 2, che il proprietario o il detentore di un cane deve provvedere a far identificare e registrare l’animale, nel secondo mese di vita, mediante l’applicazione del microchip.

Quanto all’art. 2, comma 3, della impugnata legge regionale, il ricorrente sostiene che esso eccederebbe dalle competenze regionali e violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto consente che cani di qualsiasi razza, ivi compresi quelli da addestrare all’attività venatoria, possano vagare liberi, privi di guinzaglio, ed essere addestrati secondo lo stile di razza su tutto il territorio regionale (ad eccezione delle zone nelle quali è vietata la caccia), senza porre alcun limite temporale a tale attività.

Il Presidente del Consiglio rileva un contrasto con l’art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992, che, ai fini della regolamentazione del prelievo venatorio, stabilisce che l’addestramento dei cani può essere consentito senza limiti di tempo solo nelle zone di addestramento all’uopo istituite dalle amministrazioni.

Dopo aver rammentato la riconducibilità dell’attività di allenamento e addestramento dei cani all’attività venatoria, il ricorrente segnala come al riguardo l’ISPRA abbia avuto modo di esprimersi, affermando che consentire l’allenamento e l’addestramento dei cani durante il periodo riproduttivo degli uccelli e dei mammiferi selvatici determina un evidente ed indesiderabile fattore di disturbo, in grado di comportare in maniera diretta od indiretta una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate, precisando inoltre che questa attività dovrebbe essere consentita solo nel periodo che precede l’apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dei primi giorni di settembre ed escludendo quindi i mesi che vanno da febbraio ad agosto.

Pertanto le disposizioni in esame che consentono il movimento e l’addestramento dei cani, ivi compresi i cani da addestrare all’attività venatoria, sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, senza limiti di tempo, anche durante i periodi in cui l’esercizio venatorio è vietato, senza circoscrivere detta attività alle zone di addestramento all’uopo istituite dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992, e senza rispettare il calendario venatorio, si porrebbero in netto contrasto con la citata disposizione statale, la quale, dettando norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio, stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale.

6.− La Regione Veneto si è costituita in giudizio, prospettando profili di inammissibilità e di infondatezza della questione.

Sotto il profilo della inammissibilità la Regione si limita a rilevare che si tratterebbe di norme che, in assenza delle necessarie disposizioni attuative-integrative della disciplina, sono inidonee a generare un vulnus alle prerogative costituzionali garantite allo Stato in materia ambientale.

Affrontando il merito, la difesa della Regione Veneto sostiene che la disciplina de qua, nella sua totalità, sarebbe estranea all’attività venatoria.

La difesa della Regione rimarca, quindi, che non sarebbe profilabile alcun contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. delle disposizioni contenute nell’art. 2, comma 3, della legge reg. n. 31 del 2012.

E ciò in quanto, in primo luogo, la norma regionale escluderebbe inequivocabilmente la praticabilità delle attività di movimento dei giovani cani nelle zone di protezione previste dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e nelle zone di protezione della fauna previste dalla legge n. 157 del 1992, in evidente conformità alla finalità di conservazione dell’ambiente e della fauna selvatica alle quali entrambe le regolazioni di tipo statale sono indiscutibilmente finalizzate.

In secondo luogo, lo stesso art. 2 citato, al comma 5, attribuisce alla Giunta regionale il compito di definire modalità attuative e limiti all’applicabilità della norma, in attinenza con la specificità delle razze e le peculiarità agronomiche, faunistiche e orografiche del territorio; mentre il successivo articolo 3 conferisce alla Provincia il potere di emanare, in aggiunta a quelli di spettanza della Giunta regionale, ulteriori limitazioni ai luoghi, agli orari ed al periodo di esercizio delle attività motorie de quibus. Ne conseguirebbe, a parere della Regione, che sia l’organo esecutivo regionale che la Provincia, nell’ambito delle rispettive competenze, potranno, con successivo autonomo intervento attuativo, introdurre quelle limitazioni giustificate dalla morfologia del territorio interessato dall’attività, al fine di mantenere inalterato l’obiettivo di tutela perseguito dal legislatore statale anche escludendo delle zone del territorio regionale e vietando l’esercizio delle attività de quibus nei periodi interessati dalla nidificazione.

Passando all’esame dell’art. 2, comma 2, la difesa della Regione osserva che la norma rinvia all’anagrafe canina ed al sistema di identificazione ai sensi dell’art. 4 della legge regionale 28 dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo) e che tale art. 4 contempla espressamente non solo la tecnica di identificazione mediante tatuaggio ma anche «altro sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale».

La difesa rileva che si rinviene traccia di tale altro sistema di identificazione nella circolare del Presidente della Giunta regionale n. 11 del 10 maggio 1994 e nella deliberazione della Giunta regionale n. 887 del 6 aprile 2004. A parere della Regione, posto che il rinvio alla normativa regionale non può che configurarsi come di tipo dinamico, esso opererebbe in riferimento all’ulteriore modello individuato dalla Giunta regionale, vale a dire il microchip. Da tanto conseguirebbe la conformità della norma censurata al sistema di identificazione vigente al momento dell’entrata in vigore della normativa regionale di cui si tratta.

7.− In data 21 maggio 2013 il Presidente del Consiglio ha depositato memoria, ribadendo le argomentazioni esposte nel ricorso.

Considerato in diritto

1.− I due giudizi di cui in epigrafe sono oggettivamente connessi e pertanto possono essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.

2.− Con il primo ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento dei cani).

3.− La disposizione impugnata sostituisce il comma 12 dell’art. 40 della legge regionale n. 26 del 1993, stabilendo che l’attività di allenamento e di addestramento dei cani è disciplinata dalle province, è consentita sull’intero territorio regionale non soggetto a divieto di caccia e può essere esercitata, non prima del 1° agosto, per cinque giornate settimanali con eccezione del martedì e del venerdì.

4.− Ad avviso del ricorrente, tale attività cinofila, assimilabile alla caccia, potrebbe essere svolta senza limiti di tempo solo nelle zone di addestramento istituite dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 10, comma 8, lettera e), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio).

Pertanto, secondo tale prospettazione, la norma regionale, prevedendo che l’attività di addestramento ed allenamento dei cani possa svolgersi sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, anche in periodi di caccia chiusa, si porrebbe in contrasto con la normativa statale contenuta nella legge n. 157 del 1992, che stabilisce standard minimi e uniformi di tutela della fauna in tutto il territorio nazionale.

Essa si porrebbe altresì in contrasto con quanto sostenuto dall’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel parere formulato il 22 agosto 2012, con il quale si evidenzia che l’attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia durante il periodo riproduttivo determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo e quindi, in maniera diretta o indiretta, una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate. Secondo l’Istituto tale attività non dovrebbe essere consentita prima dell’inizio di settembre, con esclusione in ogni caso dei mesi che vanno da febbraio ad agosto, e le esigenze particolari della cinofilia venatoria dovrebbero trovare risposta nell’istituzione delle zone di addestramento previste dall’articolo 10 della legge n. 157 del 1992 dove l’attività è consentita senza limiti temporali.

Da tanto conseguirebbe, ad avviso del Presidente del Consiglio, la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.− La Regione Lombardia si è costituita in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso sia per la natura non ufficiale del parere dell’ISPRA del 2012 posto a fondamento delle censure formulate, sia per la genericità delle censure stesse.

Nel merito sostiene l’infondatezza della questione sollevata, assumendo che la norma è coerente con il parere ufficiale che l’ISPRA ha formulato nel 2004.

6.− Le eccezioni non sono fondate.

Le censure del ricorrente, di cui la Regione lamenta la genericità, per quanto succintamente, individuano in modo chiaro il thema decidendum, i vizi lamentati e i relativi parametri sia costituzionali (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) che interposti (art. 10 della legge n. 157 del 1992).

Quanto all’eccezione secondo cui il parere dell’ISPRA richiamato dal Presidente del Consiglio sarebbe del tutto informale e, quindi, non rilevante, anch’essa è infondata: il richiamo, infatti, si inserisce in un’argomentazione più complessa che fa perno sull’art. 10 della legge citata e, d’altro canto, implica soltanto che il ricorso fa proprie le argomentazioni di detto parere.

7.− Nel merito la questione è fondata.

7.1.− Anche se il contradditorio si è sviluppato prevalentemente nella prospettiva specifica della rilevanza del parere dell’ISPRA e della regolarità della sua acquisizione, la questione in esame, in sostanza, attiene alle modalità di adozione della disciplina dell’attività cinofila, alla stregua dei principi dettati dalla norma statale.

A tal fine assume rilievo la natura dell’attività in questione, e al riguardo costituisce un punto fermo l’affermazione di questa Corte, secondo cui: «nessun dubbio può sussistere [ … ] in ordine al fatto che l’“addestramento dei cani”, in quanto attività strumentale all’esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della “caccia”» (sentenza n. 350 del 1991).

Il principio è stato enunciato sotto la vigenza della precedente disciplina nazionale (la legge 27 dicembre 1977, n. 968 recante «Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia»), ma può essere rapportato alla legge n. 157 del 1992, posto che le due normative disciplinano in maniera analoga la materia. La prima disponeva che i piani regionali prevedessero, tra l’altro, le «zone di addestramento dei cani e per le gare degli stessi, anche su selvaggina naturale». La seconda, all’art. 10, comma 8, lettera s), nell’individuare il contenuto dei piani faunistico-venatori, prevede che esso comprenda anche «le zone e i periodi per l’addestramento, l’allenamento e le gare dei cani anche su fauna selvatica naturale o con l’abbattimento di fauna di allevamento appartenente a specie cacciabili».

Dall’affermazione di questa Corte deriva una significativa conseguenza, quella, cioè, che la disciplina dell’attività cinofila deve essere ricondotta in linea di principio nell’alveo di quella della attività venatoria: è in quest’ultima, dunque, che vanno ricercati i principi comuni all’intera materia.

7.2.− In questa prospettiva, fondamentale è anzitutto il comma 1 dell’articolo 10 della citata legge n. 157 del 1992, secondo cui «tutto il territorio agro-silvo-pastorale nazionale è soggetto a pianificazione faunistico-venatoria». Viene così affermato il concetto di caccia programmata, in ordine al quale questa Corte ha già chiarito che «con la legge n. 157 del 1992 “il legislatore ha inteso perseguire un punto di equilibrio tra il primario obiettivo dell’adeguata salvaguardia del patrimonio faunistico nazionale e l’interesse – pure considerato lecito e meritevole di tutela – all’esercizio dell’attività venatoria, attraverso la previsione di penetranti forme di programmazione dell’attività di caccia” (sentenza n. 4 del 2000)» (sentenza n. 142 del 2013).

Tale programmazione si articola, secondo la logica propria di questa attività, in più livelli: da quello statale (i principi fondamentali dettati appunto dalla legge n. 157 del 1992) a quello di indirizzo su base nazionale (il documento orientativo dell’ISPRA sui criteri di omogeneità e congruenza per la pianificazione faunistico-venatoria di cui al comma 11 dell’art. 10 della citata legge), a quello attuativo.

Quest’ultima fase è affidata, dal comma 2 dello stesso art. 10, alle regioni e alle province, le quali, «con le modalità previste nei commi 7 e 10, realizzano la pianificazione di cui al comma 1 mediante la destinazione differenziata del territorio».

Infine l’art. 10 della legge n. 157 del 1992 − dopo aver individuato, ai commi 3, 4 e 5, le quote destinate a protezione della fauna selvatica, a caccia riservata a gestione privata e a centri privati di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale − al comma 6 stabilisce che «sul rimanente territorio agro-silvo-pastorale le regioni promuovono forme di gestione programmata della caccia, secondo le modalità stabilite dall’articolo 14», articolo, quest’ultimo, che, oltre agli ambiti territoriali di caccia, prevede i cosiddetti calendari venatori.

Di adozione dei calendari si occupa l’art. 18 della legge n. 157 del 1992 che, al comma 1, individua le specie cacciabili e i relativi periodi e, al comma 2, prevede che i relativi termini − in talune ipotesi ed entro limiti determinati − siano passibili di modificazione da parte delle regioni, previa acquisizione del parere dell’ISPRA.

7.3.− Questa legge, dunque, dal punto di vista sostanziale, si muove in una prospettiva di tutela ambientale, e faunistica in particolare, e, sul piano giuridico-formale, delinea una complessa disciplina procedimentale, che garantisce un’istruttoria approfondita e trasparente – anche ai fini del controllo giurisdizionale – coerente con la visione ambientalista di fondo.

In relazione al primo profilo, infatti, questa Corte ha chiarito che «la disciplina statale che delimita il periodo entro il quale è consentito l’esercizio venatorio è ascrivibile al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando nella materia della tutela dell’ambiente vincolante per il legislatore regionale» (sentenza n. 191 del 2011 che richiama le sentenze n. 233 e n. 193 del 2010, n. 272 del 2009 e n. 313 del 2006).

In relazione al profilo formale, poi, questa Corte ha affermato che appare «evidente che il legislatore statale, prescrivendo la pubblicazione del calendario venatorio e contestualmente del “regolamento” sull’attività venatoria e imponendo l’acquisizione obbligatoria del parere dell’ISPRA, e dunque esplicitando la natura tecnica del provvedere, abbia inteso realizzare un procedimento amministrativo, al termine del quale la Regione è tenuta a provvedere nella forma che naturalmente ne consegue, con divieto di impiegare, invece, la legge-provvedimento» (sentenza n. 90 del 2013, che richiama la sentenza n. 20 del 2012; in seguito a quest’ultima, sentenze n. 116 e n. 105 del 2012). Da ultimo, questa Corte ha ulteriormente sottolineato «che l’articolo 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, nella parte in cui esige che il calendario venatorio sia approvato con regolamento “esprime una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega per tale ragione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” (sentenza n. 105 del 2012)» (sentenza n. 90 del 2013).

7.4.− È in questo quadro che va collocata la disciplina dell’attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia, in quanto rientrante – come si è osservato – nel concetto di attività venatoria: anch’essa, dunque, si deve ritenere soggetta alla pianificazione con le medesime modalità procedimentali e con le connesse garanzie sostanziali.

E se è pur vero che l’assimilazione dell’attività in questione non può essere spinta fino alla totale identificazione (così questa Corte, nella citata sentenza del 1991, e il Consiglio di Stato, nella decisione 17 aprile 2009, n. 4706), e che pertanto si può giustificare per essa una disciplina diversa da quella generale della caccia, ciò non esclude che tale disciplina debba essere dettata con le stesse modalità fin qui delineate. Solo così, infatti, l’acquisizione dei pareri tecnici – su cui si è concentrato il contraddittorio – diviene un passaggio naturale e formale di quella pianificazione che il legislatore ha voluto, come garanzia di un giusto equilibrio tra i molteplici interessi in gioco.

7.5.− La norma censurata, pertanto, disciplinando l’allenamento e addestramento dei cani da caccia con legge regionale, e quindi al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10 della legge n. 157 del 1992, e senza le relative garanzie procedimentali imposte dalla stessa legge (art. 18), integra una violazione degli standard minimi e uniformi di tutela della fauna fissati dal legislatore statale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

8.– Con il secondo ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 2 e 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Norme regionali in materia di benessere dei giovani cani), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

9.− Il censurato comma 3, secondo la prospettazione del ricorrente, eccederebbe dalle competenze regionali e violerebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, in quanto consente il movimento e l’addestramento dei giovani cani, ivi compresi quelli da destinare all’attività venatoria, sull’intero territorio regionale ove non è vietata la caccia, anche durante i periodi in cui l’esercizio venatorio è vietato; e ciò senza circoscrivere tali attività alle zone istituite dalle amministrazioni ai sensi dell’art. 10, comma 8, lettera e), della legge n. 157 del 1992.

Vengono sul punto richiamate le considerazioni espresse in materia dall’ISPRA, ad avviso del quale l’attività di allenamento e addestramento dei cani da caccia durante il periodo riproduttivo determina un evidente e indesiderabile fattore di disturbo in grado di determinare, in maniera diretta o indiretta, una mortalità aggiuntiva per le popolazioni faunistiche interessate, e, pertanto, tale attività dovrebbe essere consentita solo nel periodo che precede l’apertura della caccia in forma vagante, in ogni caso mai prima dell’inizio di settembre, con esclusione dei mesi che vanno da febbraio ad agosto.

10.− La Regione Veneto si è costituita, eccependo l’inammissibilità del ricorso, in quanto le censure hanno ad oggetto norme che, in assenza delle necessarie disposizioni attuative-integrative della disciplina da parte della Giunta regionale, sarebbero inidonee a generare un vulnus alle prerogative costituzionali garantite allo Stato in materia ambientale. Nel merito, la Regione sostiene che il movimento dei giovani cani sarebbe attività da ritenere estranea all’attività venatoria anche quando si tratta di cani da caccia.

11.− L’eccezione di inammissibilità è infondata, in quanto le previsioni della norma impugnata hanno un’efficacia diretta e immediata, quanto meno in ordine alle modalità di adozione della disciplina.

12.− Nel merito, la questione è fondata.

12.1.− La norma censurata ha ad oggetto, tra l’altro e per quanto qui interessa, l’attività di movimento dei giovani cani «ivi compresi quelli da destinare all’esercizio di attività venatoria» con «insegnamenti comportamentali secondo lo stile di razza». Tale attività, ad avviso di questa Corte, non può che identificarsi con quella di addestramento ed allenamento dei cani da caccia, poiché ad altro non può alludere il riferimento agli «insegnamenti comportamentali» quando si tratta di razza utilizzata per la caccia.

L’oggetto della norma quindi − contrariamente a quanto prospettato dalla regione resistente − è il medesimo di quello dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia n. 15 del 2012 di cui al ricorso connesso.

Ne consegue che le censure mosse dal ricorrente, in termini analoghi a quelle indirizzate avverso la norma di quest’ultima legge, sono fondate alla stregua delle medesime argomentazioni sviluppate nella motivazione della illegittimità della stessa. Anche in questo caso si deve pertanto concludere nel senso della illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

13.− Quanto al comma 2 dell’art. 2 della legge della Regione Veneto n. 31 del 2012, esso, ad avviso del ricorrente, rinviando all’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), che ammette il sistema di identificazione dei cani mediante tatuaggio, contrasterebbe sia con la normativa comunitaria, in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., sia con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di tutela della salute, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

14.− La Regione Veneto ha controdedotto sostenendo che la norma oggetto del rinvio (il citato art. 4) individua anche un «altro sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale» e che a tale individuazione si è provveduto con la delibera della Giunta n. 887 del 6 aprile 2004, che fa riferimento esclusivamente al microchip.

A parere della Regione, posto che il rinvio non può che configurarsi come di tipo dinamico, esso opererebbe in riferimento al modello individuato dalla Giunta regionale, risultando, per l’effetto, la norma censurata, conforme al dettato comunitario e nazionale.

15.− La questione è fondata.

15.1.− L’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993, cui la norma impugnata rinvia, contempla espressamente il sistema di identificazione mediante tatuaggio, sia pure in alternativa ad «altro sistema di identificazione indicato dalla Giunta regionale».

Ciò è in palese contrasto con l’art. 4, comma 1, del Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio n. 998/2003 del 26 maggio 2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di Polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia e che modifica la direttiva 92/65/CEE del Consiglio). La norma comunitaria, infatti, prevede che, dopo un periodo transitorio (di otto anni), nel corso del quale sono consentiti quali mezzi di identificazione dei cani sia il tatuaggio sia il sistema elettronico di identificazione (cosiddetto trasponditore o microchip), a decorrere dal 3 luglio 2012 i cani si identificano solo con il microchip.

A tale regolamento si è uniformata l’ordinanza del 6 agosto 2008 del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 194 del 20 agosto 2008 (Ordinanza contingibile ed urgente concernente misure per l’identificazione e la registrazione della popolazione canina), la cui efficacia è stata da ultimo prorogata (con ordinanza del Ministro della salute del 14 febbraio 2013 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 51 del 1° marzo 2013) fino all’adozione da parte delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni specifiche in materia di responsabilità e doveri dei proprietari e dei detentori di animali di affezione previsti ai nn. 1, 2 e 3 dell’Accordo sancito, in materia di identificazione e registrazione della popolazione canina, e comunque non oltre il termine di dodici mesi, dalla Conferenza unificata del 24 gennaio 2013, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

Tale ordinanza, dopo aver stabilito, all’art. 1, comma 1, l’obbligo di provvedere all’identificazione ed alla registrazione dei cani, in conformità alle disposizioni adottate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dispone, al successivo comma 2, che il proprietario o il detentore di un cane deve provvedere a far identificare e registrare l’animale, nel secondo mese di vita, mediante l’applicazione del microchip.

15.2.− Né vale obiettare – come fa la Regione – che attualmente l’unico sistema identificativo utilizzabile è rappresentato dal microchip, in quanto la deliberazione della Giunta regionale n. 1751 del 14 agosto 2012 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo. Identificazione dei cani mediante microchip. Linee guida. Modifica del Tariffario Unico Regionale delle prestazioni rese dai Settori, Presidi, Servizi delle Aziende ULSS del Veneto), in parziale modifica della già citata deliberazione n. 887 del 2004, prevede che «con il microchip dovranno essere identificati tutti i cani iscritti per la prima volta alla BAC regionale e quelli, già identificati con il sistema demografico, ma il cui tatuaggio non risulti più leggibile».

Difatti la natura dinamica del rinvio operato dalla legge impugnata – cui si appella la stessa Regione – comporta la possibilità di reintroduzione del sistema di identificazione con tatuaggio, tramite l’adozione di una nuova deliberazione di Giunta.

La norma impugnata è quindi costituzionalmente illegittima nella parte in cui consente, attraverso il rinvio al procedimento di identificazione ai sensi dell’art. 4 della legge regionale n. 60 del 1993, che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 31 luglio 2012, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 «Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria» concernenti il periodo di allenamento e addestramento cani);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani), nella parte in cui prevede che le attività di movimento di giovani cani da esso consentite possano riguardare i giovani cani da destinare all’esercizio della attività venatoria;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 2, della legge della Regione Veneto 10 agosto 2012, n. 31 (Disciplina della attività di movimento dei giovani cani) nella parte in cui, rinviando all’art. 4 della legge della Regione Veneto 28 dicembre 1993, n. 60 (Tutela degli animali d’affezione e prevenzione del randagismo), consente che si possa procedere alla identificazione dei giovani cani mediante tatuaggio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2013.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI