Non importa che ci siano figli da accudire: il boss resta in carcere.

Se sussistono esigenze cautelari di particolare rilevanza, a nulla rileva la necessità di custodire la prole in ragione anche delle condizioni lavorative dell’altro coniuge: si resta in carcere.

Con la sentenza numero 11472/2016, depositata il 18 marzo, la Corte di cassazione ha infatti respinto la richiesta di un uomo, parte di una cosca mafiosa e responsabile di numerose estorsioni, di ottenere gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

L’uomo aveva tentato di fare leva sul fatto che la moglie dell’indagato non era in grado di accudire autonomamente i loro figli e che uno di questi non aveva neanche conosciuto il padre e aveva bisogno (come da certificazione del pediatra) di familiarizzare con il genitore. 

Per i giudici tali circostanze passano in secondo piano stante la sussistenza, nel caso di specie, di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, ravvisate già dal Tribunale nella sistematicità della condotta, continua e ininterrotta, con la quale il ricorrente avrebbe commesso decine di estorsioni e nell’appartenenza dei familiari dell’uomo ad un’organizzazione criminale mafiosa da diverse generazioni.

Del resto è ormai consolidato che la sussistenza di particolari condizioni soggettive che di per sé sconsiglierebbero la restrizione in carcere non assume rilevanza in presenza di effettive situazioni di pericolo per la tutela dei cittadini, di non comune, spiccatissimo e allarmante rilievo.

La questione relativa all’assistenza della prole, quindi, nel caso di specie perde di importanza e il ricorrente resta in carcere.