Posto di blocco. Carabiniere si aggrappa al montante dello sportello dell’auto condotta dall’imputato che riparte a forte velocità dopo che il prevenuto aveva finto di obbedire all’alt che gli era stato intimato.

(Corte di Cassazione penale, sez. V, sentenza 13 settembre 2016, n. 38096)

 

…, omissis …

Sentenza

sul ricorso proposto da:

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata;

avverso la sentenza emessa il 16 dicembre 2014 dal Tribunale di Macerata, all’esito del processo celebrato nei confronti di: G.G., nato a (OMISSIS);

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELI Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PINELLI Mario, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito per l’imputato non ricorrente l’Avv. Pascucci Luca, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del P.M..

Ritenuto in fatto

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la condanna di G.G. a pena ritenuta di giustizia per i reati di resistenza a pubblico ufficiale (capo A)) e lesioni personali aggravate (capo B)).

Il P.M. ricorrente lamenta:

violazione dell’art. 81 c.p..

Il giudicante avrebbe errato nell’individuare il reato più grave ai fini del computo della pena, tenendo conto della riconosciuta identità di disegno criminoso tra i due addebiti. Infatti, secondo il Tribunale dovrebbe intendersi fatti più grave quello sub B), in ragione delle aggravanti contestate, salvo procedere ad una valutazione di equivalenza fra opposte circostanze (essendo state riconosciute in favore del G. le attenuanti generiche ai sensi dell’art. 62-bis c.p.); a quel punto, però, per limiti edittali di pena l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 337 c.p. appariva sanzionata con maggior rigore, fino ad un massimo di 5 anni di reclusione, rispetto a quella di lesioni personali ex art. 582, punita da 3 mesi a 3 anni.

L’errore appare tale da aver comportato in concreto l’individuazione di una pena inferiore, atteso che nella motivazione della sentenza impugnata si legge espressamente che la necessaria considerazione della gravità dei fatti accertati implica che la pena irrogando all’esito del procedimento debba essere determinata in misura prossima ai massimi edittali previsti dalla fattispecie non aggravata di lesioni, mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

Il P.M. evidenzia che nella fattispecie concreta erano senz’altro emersi elementi indicativi del dolo intenzionale, quanto alla riferibilità al G. dei fatti contestati, sul piano psicologico; ciò non di meno, il Tribunale risulta avere affermato che egli aveva avuto la possibilità di rappresentarsi, quanto meno in termini di mera eventualità, l’esito lesivo poi verificatosi in danno dei militari che lo stavano controllando. Richiamando le emergenze istruttorie acquisite in atti, il ricorrente segnala come uno dei Carabinieri si fosse aggrappato al montante dello sportello dell’auto condotta dall’imputato, ripartita a forte velocità dopo che il prevenuto aveva finto di obbedire all’alt che gli era stato intimato: la persona offesa era stata trascinata per alcuni metri, andando a collidere con altre vetture parcheggiate di lato, per essere poi investita dalla fiancata sinistra dell’auto del G. (una volta lasciata la presa).

Violazione degli artt. 62-bis e 133 c.p., nonché vizi della motivazione della sentenza impugnata.

Malgrado le contrarie asserzioni del giudicante, il G. non avrebbe palesato alcuna resipiscenza, né offerto un comportamento collaborativo: l’imputato si presentò alle forze dell’ordine solo la mattina seguente, avendo appreso dai propri familiari che i Carabinieri lo stavano cercando (consapevole dunque di essere stato identificato); inoltre, egli appare aver negato l’evidenza dei fatti, sostenendo nel corso del giudizio di non essersi avveduto della presenza del militare aggrappato al montante, quando invece aveva tenuto un’andatura a zig-zag proprio per liberarsene

violazione dell’art. 165 c.p., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione

Il Tribunale avrebbe omesso le verifiche dovute circa la possibilità del G. (esercente attività lavorativa presso una impresa edile di famiglia) di provvedere almeno parzialmente a risarcire i danni cagionati, come pure sulla determinazione in via provvisoria dell’entità dei danni suddetti: in tal modo, è stata irragionevolmente esclusa la prospettiva di subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale, per cui vi era stata espressa istanza della parte civile.

Con atto depositato il 19 maggio 2016, il difensore del G. ha curato una memoria nell’interesse del proprio assistito, mirando a confutare le argomentazioni esposte nel ricorso.

Secondo la difesa dell’imputato, in particolare, il primo motivo di impugnazione sarebbe infondato, avendo il P.M. offerto una interpretazione errata dei principi affermati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte: la tesi difensiva è che in tema di determinazione della pena ai sensi dell’art. 81 c.p., deve aversi riguardo alla violazione considerata più grave in astratto e non in concreto (.), dandosi rilievo escluso alla pena prevista dalla legge per ciascun reato, senza che possano venire in rilievo anche gli indici di determinazione della pena di cui all’art. 133 c.p.; inoltre, una volta che sia stata riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti, e che sia stato effettuato il doveroso giudizio di bilanciamento delle stesse rispetto alle aggravanti, l’individuazione in astratto della pena edittale non può prescindere dal risultato finale di tale giudizio, dovendosi calcolare nel minimo l’effetto di riduzione per le attenuanti e nel massimo l’aumento per le circostanze aggravanti.

Ad avviso del difensore del G., il secondo ed il terzo profilo di doglianza debbono reputarsi inammissibili, involgendo questioni di fatto, ed analogamente dovrebbe concludersi in ordine al quarto motivo, stante la pacifica giurisprudenza di legittimità secondo cui non sono ricorribili per cassazione le decisioni in tema di provvisionale.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è in parte fondato.

1.1 Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, infatti, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Cass., Sez. U, n. 25939 del 28 febbraio 2013, Ciabotti, Rv. 255347).

Si tratta, in buona sostanza, del procedimento che il P.M. ricorrente indica come doveroso, e che non risulta essere stato osservato dal Tribunale di Macerata; peraltro, a dispetto della volontà di rappresentare che la pronuncia impugnata avrebbe correttamente applicato l’art. 81 cpv. c.p., anche i principi segnalati dalla difesa del G. nella memoria da ultimo depositata appaiono del tutto in linea con quelli affermati nella sentenza Ciabotti, appena richiamata.

La composizione del contrasto di giurisprudenza tra la necessità di individuare in astratto la violazione più grave, piuttosto che con riferimento alle peculiarità del caso sub judice, non può dirsi neppure rimessa in discussione da una sentenza successiva (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 38581 del 4 giugno 2014, Paci), la cui massima ufficiale – Rv. 262223 – è nel senso che ai fini della determinazione della pena base, la violazione più grave deve essere individuata in concreto con riferimento alla pena da infliggere per ciascuna di esse, dopo la valutazione di ogni singola circostanza e secondo i criteri indicati nell’art. 133 c.p., senza alcun riguardo alla valutazione compiuta dal legislatore, al titolo ed alle relative pene edittali. Tale decisione, rimasta comunque isolata, non si fa carico in motivazione della necessità di superare l’opposto indirizzo esegetico fatto proprio, un anno prima, dal massimo organo di nomofilachia.

Ne deriva che il Tribunale di Macerata, una volta ritenuto di concedere al G. le attenuanti generiche in regime di equivalenza rispetto alle circostanze di segno contrario, avrebbe dovuto avere riguardo ai limiti edittali di pena previsti per entrambi i delitti in rubrica, senza tenere conto di aumenti da correlare ad eventuali aggravanti (elise dal bilanciamento anzidetto); a quel punto, il fatto più grave sarebbe stato da ravvisare in quello sanzionato, fino ad un massimo di 5 anni di reclusione, dall’art. 337 c.p..

La sentenza impugnata, al contrario, prima indica il reato di maggiore gravità, ai fini della individuazione della pena da porre a base del computo, e solo dopo enumera le ragioni (l’incensuratezza del G., il suo ravvedimento, l’estemporaneità ed occasionalità della condotta) fondanti il giudizio di meritevolezza delle attenuanti ex art. 62-bis c.p.; per poi aggiungere, come sottolineato dal ricorrente, che la gravità dei fatti imponeva di irrogare una sanzione prossima ai massimi edittali previsti dalla fattispecie non aggravata di lesioni (tanto da fissare la pena base in 2 anni e 6 mesi di reclusione).

Ove fosse mancato quest’ultimo inciso, sarebbe stato possibile ritenere che il giudice di merito avesse indicato quel trattamento sanzionatorio volendone rappresentare comunque la congruità; tuttavia, la motivazione della pronuncia chiarisce che, secondo il Tribunale, pena congrua è quella vicina al massimo per il reato da ritenere più grave.

Ergo, se questo è il percorso argomentativo (non avendo altrimenti senso spiegare che si ha riguardo ai limiti edittali di cui alla fattispecie non aggravata di lesioni, da prendere in considerazione proprio all’esito dell’individuazione del reato di maggiore gravità, come effettuata in base alle valutazioni – scorrette – compiute appena prima), non vi è dubbio che ci si trovi dinanzi ad una erronea applicazione della legge penale, con la conseguente necessità dell’annullamento con rinvio, in parte qua, della sentenza in epigrafe.

1.2 Le ulteriori doglianze non possono invece trovare accoglimento, atteso che:

all’imputato risulta contestato comunque un reato doloso, indipendente dalla forma intenzionale, diretta od eventuale della riferibilità psicologica del fatto all’autore (nè sembra che il giudicante, pur essendo incorso nella violazione di legge penale sopra descritta, abbia inteso attenuare la dosimetria della pena in ragione di una presunta, modesta intensità del dolo ex art. 133 c.p., comma 1, n. 3).

Il pur non immediato ravvedimento, con ammissione di responsabilità, e la non contestata occasionalità del comportamento delittuoso ben potevano giustificare la concessione al G. delle attenuanti generiche, peraltro ritenute solo equivalenti alle aggravanti in rubrica, tanto più che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchè anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (Cass., Sez. 2, n. 3609 del 18 gennaio 2011, Sermone, Rv. 249163).

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Cass., Sez. 3, n. 18663 del 27 gennaio 2015, D.G., Rv. 263486), principi che debbono essere ribaditi anche laddove si discuta degli effetti indiretti che un’eventuale provvisionale – invocata ma esclusa – avrebbe avuto sulla disciplina del beneficio della sospensione condizionale.

2. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Macerata.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2016