Risarcimento danni da parte del locatore al condominio (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 15 giugno 2018, n. 15767).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

…, omissis …

Fatti di causa

1. D.G.S. e G.M. , in nome proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori D.G.N.R. , M.L. e P. , convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo con atto di citazione del 12 gennaio 1998 R.L. e R.G.B. , nella qualità di proprietari del locale concesso in locazione, e Settimo Cielo s.a.s. e C.G. , nella qualità di conduttori del locale, chiedendo il risarcimento del danno derivante dalle immissioni sonore oltre la normale tollerabilità derivanti dall’attività di discoteca esercitata nel locale, sottostante l’appartamento abitato dagli attori, nonché la cessazione delle lamentate immissioni.

2. Il Tribunale adito accolse la domanda condannando i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 10.737,17 e dichiarò cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di cessazione delle attività illecite.

3. Avverso detta sentenza proposero appello principale gli originari attori ed incidentale R.L. e R.G.B. .

4. Con sentenza di data 26 ottobre 2015 la Corte d’appello di Palermo accolse l’appello principale, condannando gli appellati al pagamento dell’ulteriore importo complessivo di Euro 59.684,11, oltre rivalutazione ed interessi, e condannando altresì la parte conduttrice a tenere indenni i proprietari.

Osservò la corte territoriale per quanto qui rileva che “il locatore è tenuto ad impedire il compimento di attività dannosa nell’immobile locato e risponde pertanto del proprio contegno omissivo, se e nella misura in cui la legge o il contratto gli conferiscono gli strumenti per prevenire o far cessare la detta attività”, in conformità alla regola di cui all’art. 40, comma 2, cod. pen. secondo cui non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Precisò che i contratti di locazione prevedevano all’art. 8 l’obbligazione per il locatario di usare l’immobile secondo l’ordinaria diligenza e di non recare danni o molestia alcuna ad altri e all’art. 15 attribuivano a tutte le clausole del contratto carattere essenziale, collegando così alla violazione di anche una soltanto di esse la conseguenza della risoluzione del contratto.

Osservò quindi che la deduzione in contratto dell’obbligazione di non recare molestie a terzi rendeva doverosa per la parte locatrice l’adozione di misure idonee a far cessare un siffatto uso, avendo tale disposizione negoziale il fine di preservare la parte locatrice dai riflessi negativi di un’attività illecita avviata dal conduttore, in via preventiva mediante la pretesa del rispetto del canone del neminem ledere quale impegno negoziale, in via successiva mediante il trasferimento sul conduttore dell’onere economico di un’eventuale condanna al risarcimento.

Aggiunse che, a fronte del rischio manifestato dai D.G. che l’attività comportante diffusioni sonore si stesse svolgendo in modo da recare molestia ai vicini, i locatori non dovevano limitarsi a controllare la formale regolarità amministrativa dell’attività esercitata ma dovevano attivarsi presso il conduttore, minacciandolo prima e poi attuando se del caso le misure consentite dal contratto fino all’estrema misura dell’azione di risoluzione del contratto.

Concluse sul punto che “una simile reazione avrebbe spiegato un immediato effetto deterrente nei confronti del locatario e, con ogni probabilità, avrebbe reso superfluo il successivo dirimente intervento del giudice.

Essa avrebbe, in ogni caso, sollevato i locatori da qualunque addebito di colpa e dalla conseguente condanna al risarcimento, correttamente adottata dal Tribunale”.

5. Hanno proposto ricorso per cassazione R.L. e R.G.B. sulla base di un motivo. Resistono con controricorso D.G.S. , G.M. , D.G.N.R. , D.G.M.L. , in proprio e nella qualità di eredi di P. D.G. . È stata depositata memoria di parte.

Ragioni della decisione

1. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 844 e 2043 cod. civ., nonché dell’art. 40, comma 2, cod. pen. .

Osservano i ricorrenti che l’azione risarcitoria, in quanto azione personale, va esercitata esclusivamente nei confronti dell’autore del fatto lesivo e che non sussiste il rapporto di causalità fra la supposta inerzia del locatore ed il danno evidenziato.

Aggiungono che non è configurabile l’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40 cod. pen., e cioè una posizione di garanzia del soggetto diretta ad evitare il prodursi dell’evento, atteso che non sussiste alcun obbligo del locatore di accertare preventivamente la correttezza dei futuri comportamenti del conduttore né di far cessare il fatto generatore del danno (che, peraltro, una volta verificatosi rende incongruente l’affermazione secondo cui il locatore avrebbe concorso alla realizzazione del fatto dannoso).

Osservano inoltre che la clausola risolutiva contenuta nei contratti di locazione non poteva essere utilmente invocata in quanto genericamente riferita a tutte le obbligazioni nascenti dai contratti e che la pur disconosciuta azione giudiziale avviata dai ricorrenti si era protratta per anni ed era stata inidonea ad impedire il protrarsi dell’attività lesiva; aggiungono poi che l’esercizio di una facoltà riservatasi dal locatore non poteva assurgere ad obbligo di legge a carico del locatore stesso.

1.1 Il motivo è fondato. Il giudice di appello ha conferito rilevanza causale alla condotta dei locatori rispetto all’evento dannoso sotto il profilo del contegno omissivo. Viene presupposta all’uopo l’esistenza del dovere giuridico di impedire l’evento sulla base del diritto di pretendere dal conduttore il rispetto dell’obbligo contrattuale di non arrecare molestie ad altri, esercitando quale estremo rimedio l’azione di risoluzione del contratto.

1.2. Il punto di vista causale adottato dal giudice di merito è corretto in quanto, rispondendo il proprietario in sede reale di azione ai sensi dell’art. 844 cod. civ. ma non anche in quella personale di azione risarcitoria ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., il titolo della responsabilità non può che essere quello del fatto illecito e dunque in primo luogo il contributo causale alla verificazione dell’evento dannoso.

1.2.1. Sul punto vanno evidenziati i seguenti arresti giurisprudenziali.

1.3. L’azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’accertamento dell’illegittimità delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse, deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e può essere cumulata con la domanda verso altro convenuto per responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato (Cass. Sez. U. 27 febbraio 2013, n. 4848; 15 novembre 2016, n. 23245).

In un primo tempo è stato affermato che in tema di azione personale di risarcimento del danno da immissioni (intollerabili) ai sensi dell’art. 844 cod. civ., va riconosciuta la legittimazione passiva del proprietario del fondo da cui provengono le immissioni stesse, ancorché queste derivino solo dalle particolari modalità di uso del fondo da parte del conduttore del medesimo, quando sussiste il nesso oggettivo di causalità e non di mera occasionalità tra la condotta del proprietario e l’evento dannoso, e risulti, altresì, che l’eccedenza delle immissioni, rispetto ai limiti legali, sia imputabile a sua colpa per avere concesso il fondo in locazione con la consapevolezza della destinazione dello stesso ad attività di per sé molesta ai vicini e per non avere adottato alcun provvedimento idoneo ad indurre il conduttore ad apportare le modifiche e gli adattamenti necessari per eliminare le immissioni intollerabili (Cass. 24 gennaio 1985, n. 318).

Più di recente è stato affermato che in materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 cod. civ. per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell’immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi a carico di terzi (Cass. 28 maggio 2015, n. 11125).

Ad analoghe conclusioni la giurisprudenza è pervenuta leggendo la fattispecie in termini di art. 2051 cod. civ..

Il proprietario di un immobile concesso in locazione non può essere chiamato a rispondere, ex art. 2051 cod. civ., dei danni a terzi causati da macchinari utilizzati dal conduttore, quando non abbia avuto alcuna possibilità concreta di controllo sull’uso di essi, non potendo detta responsabilità sorgere per il solo fatto che il proprietario medesimo ometta di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi del caso al fine di impedire il verificarsi di danni a terzi, giacché essi costituirebbero atti inidonei ad incidere sul funzionamento della cosa dannosa (Cass. 1 aprile 2010, n. 8006).

Resta invece estranea all’impostazione causalistica una pronuncia che ha ritenuto responsabile il locatore sulla base della sua qualità di condomino.

Si è affermato che il condomino che abbia locato la propria unità abitativa ad un terzo risponde nei confronti degli altri condomini delle ripetute violazioni al regolamento condominiale consumate dal proprio conduttore qualora non dimostri di avere adottato, in relazione alle circostanze, le misure idonee, alla stregua del criterio generale di diligenza posto dall’art. 1176 cod. civ., a far cessare gli abusi, ponendo in essere iniziative che possono arrivare fino alla richiesta di anticipata cessazione del rapporto di locazione (Cass. 16 maggio 2006, n. 11383). Rileva in tal caso la violazione delle norme condominiali.

1.4. La conclusione del giudice di appello è stata, come si è visto, nel senso che il locatore dell’immobile ha concorso mediante omissione alla realizzazione del fatto dannoso.

L’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico spetta al giudice di merito, mentre compete a questa Corte, salvo il sindacato in ordine alla denuncia di vizio motivazionale, il controllo se nello svolgimento del giudizio di fatto il giudice di merito abbia rispettato le connotazioni normative del rapporto causale fra condotta e danno.

La censura non ha ad oggetto il giudizio di fatto ma la sussunzione delle circostanze di fatto, così come accertate dal giudice di merito, all’interno del paradigma della causalità omissiva.

1.5. Anche all’omissione, al pari dell’azione, indipendentemente dall’esistenza di una norma che imponga il compimento di una determinata azione, deve essere riconosciuto valore causale rispetto alle modificazioni del mondo esteriore il cui verificarsi non sia stato impedito. Ecco perché non impedire un evento (che si ha l’obbligo giuridico di impedire) “equivale” a cagionarlo, come recita l’art. 40, comma 2, cod. pen..

Naturalmente occorre accertare che, ove posta in essere la condotta in realtà omessa, l’evento non si sarebbe verificato. La positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso ovvero a ridurne le conseguenze (Cass. 28 luglio 2017, n. 18753; 2 febbraio 2010, n. 2360).

Nell’imputazione di un evento dannoso per omissione colposa il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta omissiva del comportamento dovuto; il giudice, pertanto, è tenuto ad accertare se l’evento sia ricollegabile all’omissione (causalità omissiva) nel senso che esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l’agente avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con esclusione di fattori alternativi.

L’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa attraverso l’enunciato “controfattuale”, che pone al posto dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno lamentato dal danneggiato (Cass. 18 luglio 2011, n. 15709).

Tale valutazione va effettuata sulla base della regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” (Cass. Sez. U. 11 gennaio 2008, n. 576).

1.6. L’accertamento del giudice di merito è stato nel senso che la proposizione dell’azione di risoluzione della locazione, previo esercizio della relativa diffida, da parte del locatore “avrebbe spiegato un immediato effetto deterrente nei confronti del locatario e, con ogni probabilità, avrebbe reso superfluo il successivo dirimente intervento del giudice.

Essa avrebbe, in ogni caso, sollevato i locatori da qualunque addebito di colpa e dalla conseguente condanna al risarcimento, correttamente adottata dal Tribunale”. Ciò che il giudice di merito ha valutato è stato un “effetto di deterrenza”, il quale avrebbe potuto spiegare efficacia non nei confronti dell’evento dannoso ma della condotta del conduttore che ha cagionato il danno.

Il giudice di merito non ha valutato il concorso causale dell’omissione rispetto all’evento dannoso, ma una sorta di condizionamento che il contegno omesso avrebbe potuto esercitare sull’azione compiuta dall’autore del fatto illecito che è valutazione estranea al contributo causale dell’omissione rispetto all’evento.

Ed invero fra il contegno omesso e l’evento si interpone la condotta produttrice del danno, spiegandosi l’efficacia del contegno, che il locatore avrebbe dovuto assumere, non rispetto all’evento, ma rispetto alla condotta del conduttore.

Esercitandosi l’incidenza eziologica della condotta omessa non rispetto all’evento ma rispetto all’azione che lo ha prodotto, non è configurabile un concorso causale dell’omissione rispetto all’evento.

Trova in tali limiti conferma la giurisprudenza più recente che, anche sotto il profilo del danno cagionato da cosa in custodia, ha escluso la responsabilità del proprietario della cosa locata per omissione di formale diffida nei confronti del conduttore autore delle immissioni.

2. Non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito. Non è stato accertato il concorso del contegno degli odierni ricorrenti rispetto all’evento dannoso.

3. La domanda nei confronti di R.L. e R.G.B. va quindi rigettata.

3.1. Le peculiarità della vicenda e l’assenza di un consolidato ed univoco indirizzo giurisprudenziale costituiscono giusto motivo di compensazione del giudizio di legittimità e dei gradi di merito.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza.

Decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda nei confronti di R.L. e R.G.B.; compensa integralmente le spese processuali del giudizio di legittimità e dei gradi di merito.