Ruba una cassaforte con preziosi e denaro al suo interno e si oppone nella fuga all’azione di un carabiniere che tentava di bloccarlo ed identificarlo, proseguendo la marcia alla guida di un auto con tentativo di investire il militare.

(Corte di Cassazione penale, sez. II, sentenza 7 dicembre 2015, n. 48320)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENTILE Mario – Presidente –
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere –
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. PARDO Ignazio – Consigliere –
Dott. RECCHIONE Sandra – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G., nato a (OMISSIS);

avverso la ordinanza n. 660/15 in data 06/07/2015 del Tribunale di Catanzaro in funzione di giudice del riesame;

visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere dr. Luigi Agostinacchio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. GIARANELLA Antonio che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 06/07/2015, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di Catanzaro ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Cosenza in data 18/06/2015 con la quale era stata applicata a C. G. la misura cautelare personale della custodia in carcere in relazione ai reati di rapina aggravata in concorso (capo a) e di resistenza a pubblico ufficiale.

Il ricorrente è indagato perchè in concorso con T.C. I., immediatamente dopo aver commesso un furto in abitazione con sottrazione anche di una cassaforte contenente denaro e preziosi, adoperava violenza e minacce nei confronti della persona intervenuta per impedire la fuga e recuperare la refurtiva nonchè si opponeva all’azione di un carabiniere che tentava di bloccarlo ed identificarlo, proseguendo la marcia alla guida di un auto con tentativo di investire il militare.

Il Tribunale ha condiviso il ragionamento del primo giudice, richiamando integralmente la motivazione sulla sussistenza della gravità indiziaria, basata sulle risultanze investigative (verbali di arresto in flagranza di reato, perquisizione e sequestro; denuncia della persona offesa; verbali di s.i.t. rese dalle persone presenti ai fatti; verbale di rinvenimento e consegna dei beni sottratti al legittimo proprietario). Ha altresì evidenziato che il C. in sede d’interrogatorio aveva reso sostanziale confessione, ammettendo i fatti contestati.

In punto di esigenze cautelari il giudice del riesame ha ravvisato il concreto ed attuale pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose, valorizzando nel caso concreto la particolare intensità del dolo dell’indagato (dagli atti emergeva non già la occasionalità del delitto ma la preventiva organizzazione del furto, consapevolmente diretto al denaro ed ai preziosi contenuti in cassaforte) nonchè l’atteggiamento estremamente violento nei confronti delle parti lese.

2. Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore del C. sulla base dell’unico motivo della violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 60 c.p.p., lett. b) ed e).

Contesta il ricorrente le argomentazioni del giudice di merito in relazione al quadro cautelare, sottolineando il carattere isolato dell’episodio delittuoso e l’ampia confessione resa durante l’interrogatorio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

Deve premettersi che il ricorrente non contesta la consistenza dei gravi indizi di colpevolezza – in relazione a fatti peraltro ammessi – ritenendo non adeguatamente motivata la decisione in ordine alla custodia cautelare in carcere.

Richiama a tal fine principi giurisprudenziali noti alla Corte ed indica quali unici elementi a sostegno della propria tesi il carattere isolato dell’episodio delittuoso e l’ammissione di responsabilità, senza soffermarsi sui punti della motivazione che ribadiscono la necessità dell’applicazione della massima misura custodiale e confutare le ragioni a sostegno della decisione a riguardo.

Il motivo pertanto si caratterizza per la sua genericità limitandosi appunto a trattare principi generali in materia ed a dolersi, altrettanto genericamente e con espressioni apodittiche, della carenza motivazionale del provvedimento impugnato senza di fatto controbattere agli specifici elementi indicati dal Tribunale del riesame.

I Giudici del merito, infatti, hanno adeguatamente motivato in ordine all’esigenza cautelare legata alla necessità di prevenire la reiterazione di analoghe condotte delittuose valorizzando sul punto la particolare intensità del dolo e l’atteggiamento estremamente violento del C., sostanziatosi nel carattere allarmante della minaccia di morte rivolta alla persona che tentava di fermarlo nonchè nella condotta pericolosa posta in essere nei confronti del carabiniere durante la fuga in auto.

Sono state in pratica richiamate le specifiche modalità e circostanze del fatto quali aspetti della condotta criminosa da cui poter ricavare il pericolo di recidiva con motivazione congrua e priva di contraddizioni.

Il giudizio prognostico decisamente sfavorevole è stato riscontrato anche dai numerosi precedenti penali, anche specifici, dai quali il ricorrente è compromesso (non risulta pertanto veritiera l’occasionalità del reato dedotta in ricorso) nonchè dalle argomentazioni addotte per giustificare la rapina (l’indagato fa ricorso alla commissione di reati contro il patrimonio per far fronte a condizioni economiche particolarmente disagiate).

La motivazione risulta adeguata con riferimento anche al carattere imprescindibile della custodia cautelare in carcere, escludendosi nel provvedimento impugnato la possibilità di affidamento dell’indagato circa l’adempimento delle prescrizioni correlate alla misura degli arresti domiciliari, seppure facendo ricorso agli strumenti di controllo elettronico di cui all’art. 275 bis cod. proc. pen.; ciò in ragione dei numerosi precedenti penali, fra i quali figura anche il reato di evasione, oltre che della gravità della condotta contestata.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di esigenze cautelari che la modalità della condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto (Cass. Sez. 6, sent. n. 12404 del 17.2.2005, dep. 4.4.2005, rv 231323) ed appare altresì adeguata a spiegare la scelta della custodia cautelare in carcere quale unica misura idonea a prevenire il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie;

inoltre, in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica dimostrazione (peraltro in questa sede esistente) delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonchè dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che, nella singola fattispecie, fanno ragionevolmente ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo superata e assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle subordinate misure cautelari (Cass. Sez. 1, sent. n. 45011 del 26.9.2003, dep. 21.11.2003, rv. 227304; Sez. 6, sent. n. 17313 del 20/04/2011, dep. 05/05/2011, Rv. 250060).

3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di Euro 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

Poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2015