Scolaro di 11 anni, viene investito e ucciso da un autobus di linea, all’uscita della scuola: corresponsabile anche il Ministero. I magistrati danno la colpa anche all’amministrazione scolastica.

(Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 19 settembre 2017, n. 21593)

…, omissis …

Fatti di causa

1. Nel 2003 An. Sa. e As. Sa., in proprio e quali rappresentanti del figlio minore Alessio Sa., convenivano a comparire dinnanzi al Tribunale di Firenze Al. Ci., la Unipol Assicurazioni Spa, la Ferroviaria Italiana Spa, il Comune di Castelfocognano ed il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, per sentirli dichiarare responsabili, ciascuno per il rispettivo titolo, della morte del piccolo Mario Sa., quale figlio e fratello degli attori.

Riferivano che in data 15 novembre 2002 Mario Sa. (11 anni) veniva investito dall’autobus di linea della Ferroviaria Italiana Spa, assicurato con Unipol Assicurazioni Spa (compagnia assicuratrice altresì del Comune convenuto), condotto dal Al. Ci. all’uscita di scuola.

Si costituivano in giudizio i convenuti e veniva chiamata in causa su richiesta del Ministero la Faro Compagnia di assicurazioni e riassicurazioni Spa quale assicuratrice di quest’ultimo.

Il Tribunale adito, con sentenza 654 del 2009, dichiarava che la responsabilità del sinistro de qua era da ascriversi al Ci. per il 40%, al Comune nella stessa misura e al Ministero per il restante 20 % , sulla base di quanto era emerso nel processo penale svoltosi sui medesimi fatti a carico dell’insegnante dell’ultima ora e della preside nel corso del giudizio civile, liquidando il danno subito dal padre complessivamente in Euro 150.000, dalla madre in Euro 200.000 e dal fratello in Euro 70.000, sulla base delle tabelle di uso comune.

Condannava altresì la Faro a tenere indenne il Ministero dell’Istruzione e liquidava le spese di giudizio.

Ha ritenuto responsabile il Comune per non aver correttamente adempiuto all’onere della prova ai sensi dell’art. 2051 c.c..

Ha condannato il ministero perché ai sensi dell’articolo 3 del regolamento d’istituto non doveva essere interrotta la vigilanza della scuola fino all’affidamento dei minori al personale di trasporto o, in mancanza di questo, a soggetti pubblici responsabili. Nel caso di specie invece i ragazzi appena usciti dalla scuola sarebbero stati lasciati liberi sulla strada pubblica.

2. An. Sa. e As. Sa., in proprio e in qualità di rappresentanti del minore Alessio Sa., proponevano appello avverso la statuizione di primo grado lamentando un’inadeguata valutazione equitativa del danno sofferto dagli appellanti poiché il giudice di primo grado avrebbe dovuto fare applicazione dei massimi tabellari.

Si costituivano dinnanzi alla Corte di Firenze il Comune, il Ci., Unipol Spa, la Ferroviaria Spa ed il Ministero che presentava appello incidentale, mentre rimaneva contumace la liquidazione coatta amministrativa della Faro Spa.

La Corte di Firenze con sentenza 1052 del 20 giugno 2014 accoglieva il ricorso principale circa il quantum del danno non patrimoniale, ridefinendo le somme riconosciute in primo grado alla madre e al padre del Mario Samuele alla luce delle voci medie di danno riportate nelle Tabelle Ambrosiane che liquidava in Euro 244.600 a ciascun genitore, mentre ritenevano equa la somma stabilita in favore del fratello.

Respingevano invece l’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Istruzione sulla base delle evidenze emerse nel corso del giudizio penale intentato nei confronti della preside e dell’insegnante dell’ultima ora, conclusosi con sentenza dichiarativa di estinzione del reato per intervenuta prescrizione e dalla quale emergeva in ogni caso il profilo di colpevolezza degli imputati tracciato dal Tribunale.

3. Avverso tale pronunzia il Ministero soccombente propone ricorso per cassazione sulla base di 5 motivi.

3.1 Resistono con controricorso e ricorso incidentale, illustrato da memoria, An., Samuele e As. Sa., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale del minore Alessio Sa..

Ragioni della decisione

4. Con il primo motivo il Ministero ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360, co.1, n 5 c.p.c.”

La Corte di Firenze avrebbe omesso qualunque tipo di valutazione in ordine alle difese dell’Amministrazione scolastica, fondando il proprio convincimento esclusivamente sul giudicato penale.

4.1. Sostiene il Ministero che l’incidente si è verificato all’esterno degli edifici scolastici, ove non si estende l’obbligo di vigilanza sui minori da parte del corpo docente o del personale dipendente del Ministero, in quanto l’amministrazione scolastica assume la custodia degli alunni all’interno della sede nello svolgimento delle attività scolastiche e non, come nel caso di specie, in luoghi di pertinenza dell’istituto scolastico.

Infatti il punto di raccolta degli alunni esterna al cancello della scuola non costituisce pertinenza dell’istituto e pertanto difettava in radice qualunque obbligo di custodia all’esterno della scuola. Tale profilo non è stato esaminato dal giudice del merito.

Il motivo è inammissibile.

Il motivo non è di specifico in violazione dell’art. 366 n. 6 e 369 n. 4 epe, poiché è orientamento consolidato di questa Corte, (ex multis Cass. 19881/2014), che la parte ricorrente debba indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extra-testuale da cui ne risulti l’esistenza, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la “decisività” del fatto stesso.

4.2. Con il secondo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n 4 epe”.

La Corte d’Appello non avrebbe motivato in relazione al rigetto dell’appello incidentale proposto dal Ministero riportandosi per relationem alla pronuncia penale sulla quale ha fondato il proprio convincimento circa la responsabilità dell’istituto scolastico e dunque del Ministero dell’Istruzione.

Il motivo è inammissibile.

Anche il secondo motivo di censura va dichiarato inammissibile in quanto non si indica, al fine di assolvere l’onere indicato dall’art. 366 n.6 c.p.c., la motivazione del giudice specificamente condivise dal giudice d’Appello, nonché le critiche a queste mosse con l’atto di gravame, necessario ad accertare che con le rese motivazioni in realtà il giudice avrebbe eluso i propri oneri motivazionali (così Cass. n.7074 del 2017).

4.3. Con il terzo motivo si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c.”.

I giudici di secondo grado avrebbero errato nel rigettare l’appello incidentale del Ministero volto a dimostrare l’assenza di responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico nella vicenda in esame perché l’incidente si è verificato all’esterno degli edifici scolastici a seguito della fine dello svolgimento delle attività scolastiche, quindi in un luogo in cui non si estende l’obbligo di vigilanza sui minori della scuola o del personale addetto alla vigilanza dipendente dal ministero.

Il motivo è infondato.

Come rilevato dal primo giudice e implicitamente condiviso dalla Corte Fiorentina sussiste un obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica con conseguente responsabilità ministeriale sulla base di quanto disposto all’art. 3 lettere d) ed f) del Regolamento d’istituto.

Le norme ora richiamate, infatti, rispettivamente pongono a carico del personale scolastico l’obbligo di far salire e scendere dai mezzi di trasporto davanti al portone della scuola gli alunni, compresi quelli delle scuole medie, e demandano al personale medesimo la vigilanza nel caso in cui i mezzi di trasporto ritardino.

Sulla scorta di quanto prescritto nel richiamato regolamento scolastico il giudice di primo grado e quello di secondo grado hanno logicamente dedotto che l’attività di vigilanza della quale l’amministrazione scolastica era onerata non avrebbe dovuto arrestarsi fino a quando gli alunni dell’istituto non venivano presi in consegna da altri soggetti e dunque sottoposti ad altra vigilanza, nella specie quella del personale addetto al trasporto.

4.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. in combinato con l’art. 651 cpp e con gli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n 3 c.p.c.”

La sentenza resa nel giudizio penale non avrebbe dovuto opporsi al Ministero in quanto trattasi di sentenza di assoluzione e non di condanna e non essendo questi intervenuto nel richiamato giudizio in qualità di responsabile civile, cosicché i Giudici di secondo grado avrebbero violato il disposto all’art. 651 cpp.

Il motivo è infondato.

In materia di rapporti tra processo penale e civile, come recentemente sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità nella sentenza n 9358 del 2017, la sentenza di proscioglimento dell’imputato per intervenuta prescrizione del reato, passata in giudicato, non è vincolante nel giudizio civile di danno anche quando lo stesso si svolga nelle forme del giudizio di rinvio conseguente a quello penale ex art. 622 cpp, giacché rispetto ad esso non è ipotizzabile un vincolo paragonabile a quello derivante dall’enunciazione del principio di diritto ex art. 384 comma 2 c.p.c..

Nella specie la Corte d’Appello di Firenze ha richiamato quanto accertato in sede penale circa la colpevolezza dell’insegnante dell’ultima ora e della preside nonostante il giudice penale le avesse prosciolte per intervenuta prescrizione del reato loro imputato, non essendo questi in alcun modo vincolato all’esito del medesimo e dunque potendo liberamente scegliere di discostarsi dalla pronuncia dichiarativa di intervenuta prescrizione.

Erra pertanto la ricorrente nel ritenere violato l’art. 651 cpp, dal momento che la Corte fiorentina non ne ha fatto applicazione alcuna al caso in oggetto, richiamando invece e più semplicemente le risultanze sulla colpevolezza delle imputate cui si giungeva nel giudizio penale e ponendo le stesse a fondamento della responsabilità indiretta del Ministero.

4.5. Con il quinto ed ultimo motivo si censura “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”

La ricorrente lamenta assenza totale di motivazione da parte della Corte di Firenze sul mutamento dei parametri di calcolo del danno non patrimoniale rispetto al giudice di prime cure, avendo questi applicato un criterio più vicino al valore medio del danno da perdita di un figlio senza giustificarne il maggior danno riscontrato rispetto al valore minimo che veniva invece utilizzato dal primo giudice.

Il motivo è infondato.

La Corte di Firenze ha operato una rivalutazione del danno non patrimoniale lamentato ritenendo che dai dati concretamente emersi nel corso della vicenda controversa sarebbe stato più confacente ad una corretta stima del sofferto danno l’applicazione del valore medio del danno da perdita di un figlio riportato dalla Tabelle ambrosiane.

In questi termini i Giudici di secondo grado motivano la valutazione equitativa del danno, che seppur rimessa alla discrezionalità dell’Organo giudicante viene ricondotta in termini di oggettività attraverso l’utilizzo dei criteri legislativamente prescritti dalle Tabelle e adeguatamente adoperate dai Giudicanti nell’impugnata sentenza.

Come pacificamente ritenuto da questa Corte il sindacato sulla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c. si arresta dinnanzi ad una motivazione dalla quale emerge non solo l’applicazione dei criteri legislativamente prescritti ma anche i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati (ex multis Cass. n. 5090 del 2016 e n 8213 del 2013).

Pertanto seppur in maniera sintetica ed essenziale l’iter logico argomentativo alla base delle considerazioni operate nella pronuncia è facilmente deducibile.

5. Con ricorso incidentale i ricorrenti, censurano “violazione e falsa applicazione degli artt. 1226 c.c. 2056 c.c. 32 Cost. in relazione all’art. 360 n 3 c.p.c.”

Non sarebbero evidenti le ragioni per cui la Corte di Firenze avrebbe applicato al caso di specie i valori medi e non il massimo così disattendendo i contenuti dispositivi degli articoli su richiamati.

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Il giudice chiamato a pronunciarsi sul proposto gravame ha operato una nuova valutazione dei criteri applicati dal Tribunale di primo grado motivando, in maniera succinta ma chiara, che alla luce dei dati oggettivamente emersi nell’esaminata questione il riconoscimento dei valori medi riconosciuti nelle Tabelle di Milano avrebbero meglio ristorato il sofferto danno da perdita di un figlio.

Il sindacato di legittimità di questa Corte si arresta di fronte ad una motivazione dalla quale si evince l’iter logico sotteso alla valutazione equitativa del danno ex artt. 1226 c.c. e 2056 c.c.

6. Pertanto la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. In virtù della reciproca soccombenza dispone la compensazione delle spese.

P.Q.M. 

la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Spese compensate. 

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, ed invece della sussistenza per i ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 23 maggio 2017.

Depositato in cancelleria il 19 settembre 2017.

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